IL  CRISTIANESIMO  A  MILANO

Il confessore Dionigi, l'usurpatore Aussenzio e l'elezione del governatore Ambrogio

 

1. Dionigi e Aussenzio

Torniamo al concilio milanese del 355, quando Dionigi non volle condannare Atanasio, e fu mandato in esilio dall'imperatore Costanzo con Eusebio di Vercelli e Lucifero di Cagliari. Costanzo voleva ricondurre tutti a una formula di fede contraria a Nicea, il cosiddetto omeismo, che asserisce che il Figlio semplicemente "simile" al Padre [homoios, omeo, cioè simile]. A questo scopo Costanzo pose a Milano un vescovo omeo, Aussenzio, un cappadoce, che era stato ordinato prete ad Alessandria dal rivale e sostituto dell'esule Atanasio, Gregorio. Aussenzio ebbe l'abilità di rimanere in sede sino al 374, anche dopo la morte di Costanzo nel 361. Finché Costanzo visse, Aussenzio ne sostenne esplicitamente la politica religiosa fu infatti tra i vescovi che nel concilio di Rimini nel 359 spinsero gli altri ad approvare una esplicita formula di fede omea. Nel 364 o 365 dovette difendersi dall'azione intentata contro di lui da una decina di vescovi, riuniti in concilio a Milano insieme a Eusebio di Vercelli e a Ilario di Poitiers: l''imperatore Valentiniano I, interpellato, non volle intromettersi e lasciò Aussenzio in sede. Un'esplicita condanna (pur presentata come iniziativa dei soli vescovi dell'Italia settentrionale) fu poi comminata ad Aussenzio da un concilio romano tenutosi sotto papa Damaso (ca 370). In quell'occasione l'epistola sinodale fu recata ad Alessandria dal diacono milanese Sabino, che aveva partecipato a quell'assise come rappresentante della comunità nicena di Milano. Anche in Milano era quindi viva la reazione ad Aussenzio, almeno da parte di alcuni. Conosciamo anche il sacerdote Filastrio, che viene ricordato come il capo dei filoniceni di Milano e che sarebbe successivamente divenuto vescovo di Brescia. E sappiamo infine di Evagrio, un nobile di Antiochia, grazie alla cui azione vigilante, come asserisce Gerolamo, "Aussenzio fu come sepolto ancor prima che morisse", cioè benché ancora in vita, fu tuttavia drasticamente limitato nel suo raggio d'influenza. La situazione religiosa a Milano doveva essere quindi alquanto mossa e contrastata: da un lato l'autorevolezza e l'influsso di Aussenzio su molti in quasi vent'anni di episcopato, d'altro lato la presenza nicena che ne attendeva la morte per riprendere la guida della comunità.

 

2. L'elezione di Ambrogio

Per il racconto dell'elezione di Ambrogio, ci affidiamo al suo biografo, Paolino di Milano:

In quel tempo era morto il vescovo Aussenzio, aderente all'eresia ariana: egli deteneva ingiustamente il governo della Chiesa di Milano da quando il confessore di beata memoria Dionigi era stato cacciato in esilio. Poiché il popolo si stava sollevando in rivolta nella designazione del nuovo vescovo, Ambrogio, preoccupato di sedare il tumulto affinché la popolazione della città non ne fosse sconvolta con grave pericolo proprio, si recò alla chiesa; e qui, mentre parlava alla folla si dice che all'improvviso sarebbe risuonata in mezzo al popolo la voce di un bambino: "Ambrogio vescovo!". A quella voce tutti voltarono lo sguardo verso di lui, acclamando: "Ambrogio vescovo!". E così, proprio quelli che poco prima fra grandi disordini, erano fra di loro in dissidio (infatti sia gli ariani, sia i cattolici bramavano che fosse ordinato vescovo uno della loro parte, cercando di avere la meglio sugli avversari), improvvisamente, con una concordia mirabile ed incredibile, trovarono consenso su di lui (Paolino, Vita di Ambrogio, 6: Paolino di Milano, Vita di sant'Ambrogio. A cura di Marco Navoni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996, p.59).

Il grido del bambino-profeta può avere il valore simbolico della voce innocente che esprime la volontà di Dio; ma può insieme conservare un'eco reale della scherzosa trovata del monello di turno che, intrufolatosi fra gli adulti di quella seriosa e contrastata assemblea, gridò quel che voleva. In ogni caso resta singolare la pronta adesione del popolo a un'idea così inattesa. Nella reazione della folla si coglie infatti l'apprezzamento corale per questo uomo politico che, governando la città, aveva dato una mirabile prova di imparzialità, di equilibrio e di onestà; si intuì che, scelto a guidare la Chiesa di Milano, avrebbe potuto ricreare armonia e ricondurre a unità d'intenti e di fede la comunità ecclesiale.

Egli, accortosi di ciò uscì di chiesa e si fece preparare una tribuna [...]. Poi, contro il suo solito, ordinò che venissero torturate alcune persone. Ma, nonostante facesse ciò, il popolo nondimeno gridava: "I1 tuo peccato ricada su di noi!". [...] Allora egli, tornando a casa turbato, volle darsi alla filosofia. [...] Ma in seguito fu distolto dal fare ciò, e allora introdusse pubblicamente in casa sua alcune prostitute, con questo solo scopo però, che il popolo, a quella vista, desistesse dal proprio progetto. Ma il popolo gridava sempre di più: "Il tuo peccato ricada su di noi!" (ivi,7: ediz. Marco Navoni, p. 61).

I gesti di Ambrogio ci descrivono - per l'opposto - il suo comportamento retto di amministratore: era rispettoso nei processi e non usava la tortura, e amministrava la giustizia in modo equo; se ora voleva ritirarsi a una vita privata a proprio tornaconto (questo il significato del darsi alla filosofia nel senso di coltivare interessi privati) vuol dire che aveva invece mostrato di curare con attenzione gli interessi e i bisogni della gente; se ora sembrava concedersi una vita morale corrotta, vuol dire che si era potuta constatare in lui una dirittura morale senza ombre. E ci si accorge che la gente non recedette dalla primitiva intuizione: il loro non era stato un colpo di testa ma una scelta convinta. Venne poi il tentativo di fuga:

Ma egli, vedendo che non riusciva per nulla a mandare ad effetto il suo piano, si preparò alla fuga. Uscito dalla città a notte fonda, pensando di dirigersi verso Pavia, al mattino si ritrovò invece alla porta di Milano, chiamata Romana. [...] Ritrovato, fu preso in custodia dal popolo e fu mandata una relazione a Valentiniano, il clementissimo imperatore allora regnante; questi accolse con grandissima gioia la notizia che venivano richiesti per l'episcopato magistrati da lui inviati... Dal momento che la risposta alla relazione era ancora in sospeso, Ambrogio tentò nuovamente la fuga e restò nascosto per un po' di tempo nel podere di un certo Leonzio, appartenente all'ordine senatorio. Ma non appena giunse la risposta alla relazione, fu lo stesso Leonzio a consegnarlo. Infatti era stato dato ordine al vicario di sistemare con sollecitudine la questione. Questi allora, volendo a tutti i costi eseguire quanto gli era stato ingiunto, pubblicò un editto con il quale intimava a tutti di consegnare Ambrogio, se volevano che le loro persone e i loro beni fossero risparmiati. Pertanto, consegnato e condotto a Milano, comprendendo quale fosse la volontà di Dio nei suoi confronti e che non avrebbe potuto opporvi resistenza più a lungo, chiese di non essere battezzato se non da un vescovo cattolico: cercava infatti di evitare ad ogni costo l'eresia ariana, ritenendola fonte di inquietudini. E così fu battezzato. E si dice che abbia esercitato tutti i ministeri ecclesiastici: all'ottavo giorno fu ordinato vescovo con grandissimo favore e immensa gioia da parte di tutti (ivi,8-9: ediz. Marco Navoni, p.61-65).

Dalla narrazione possiamo raccogliere anzitutto la necessità di avere il benestare dell'imperatore. Poi, e soprattutto, è fondamentale la svolta finale di Ambrogio, descritta da Paolino con la frase: "comprendendo quale fosse la volontà di Dio"; dietro a questa espressione dobbiamo cogliere una effettiva "conversione" di Ambrogio. Si trattò infatti di rinunciare a una propria carriera e a un proprio compito, che intuiamo vissuto con gusto oltre che con apprezzamento altrui; si trattò di cambiare vita e di fidarsi di una chiamata nonostante l'impreparazione teologica e l'inesperienza pastorale, di cui era ben cosciente; si trattò di accettare un compito che si annunciava per niente facile ed estremamente esigente: gli era chiesto di dedicare vita ed energie, cuore e intelligenza, a quell'agitata Chiesa milanese: ne valeva la pena? era poi opportuno, era doveroso? e veniva dall'Alto quella chiamata? accettando, si fidò della chiamata che era stata espressa dalla gente ma che infine veniva ad apparire come una chiamata di Dio stesso: si fidò della chiamata e si affidò a Colui che lo chiamava! Più tardi, rivelerà egli stesso qualcosa dei suoi sentimenti di allora:

Io sono stato chiamato all'episcopato dal frastuono delle liti del foro e dal temuto potere della pubblica amministrazione. Perciò temo di essere giudicato un ingrato, se amo di meno, mentre mi è stato rimesso di più... Conserva, Signore, la tua grazia, custodisci il dono che mi hai fatto nonostante le mie ripulse. Io sapevo che non ero degno d'essere chiamato vescovo, perché mi ero dato a questo mondo. Ma per tua grazia sono ciò che sono, e sono senz'altro l'infimo (cfr. 1Cor 15,9) fra tutti i vescovi e il meno meritevole; tuttavia, siccome anch'io ho affrontato qualche fatica per la tua santa Chiesa, proteggine il risultato. Non permettere che si perda, ora che è vescovo, colui che, quand'era perduto, hai chiamato all'episcopato, e concedimi anzitutto di essere capace di condividere con intima partecipazione il dolore dei peccatori. Questa, infatti, è la virtù più alta... Anzi, ogni volta che si tratta di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che, mentre piango su un altro, io pianga su me stesso (Ambrogio, La penitenza, II, 8, 67 e 73: SAEMO 17, pp.265,267,269). Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami (Ambrogio, Lettera fuori coll.1.4 ai Vercellesi, 65: SAEMO 21, p.297).

Ambrogio scelse di ricevere il battesimo e l'ordinazione episcopale da un vescovo cattolico: si collocava quindi, pur senza voler creare contrasti, nella linea di fede del concilio di Nicea. Fu così battezzato la domenica 30 novembre 374 e ordinato la successiva domenica 7 dicembre.

 

3. Nascita e giovinezza di Ambrogio

Ambrogio nacque a Treviri, terzogenito (dopo Marcellina e Satiro) di un omonimo funzionario imperiale di famiglia senatoria romana al seguito di Costantino II, verosimilmente nel 339/340, poco prima della disfatta di Costantino e della morte del padre. La madre vedova rientrò allora a Roma con i tre figli; con Satiro, Ambrogio passò poi a Sirmio nell'Illirico per esercitare la professione di avvocato; e circa nel 370 giunse a Milano, diventando governatore della provincia di Emilia-Liguria. In quanto governatore competeva a lui di far rispettare le leggi, di sovrintendere alla riscossione delle tasse e di mantenere l'ordine pubblico. Quanto alla sua formazione religiosa, benché non fosse battezzato come usavano molti allora, sappiamo che la sua famiglia era cristiana da antica data, avendo fra l'altro dato alla Chiesa una martire di nome Sotere. Inoltre a Roma sua sorella Marcellina si era consacrata a Dio nelle mani di papa Liberio; del fratello Satiro infine Ambrogio descriverà le virtù umane e cristiane celebrandone le esequie. Ambrogio, da nobile romano, non ci si apre abitualmente in confidenze personali. Così, se possiamo immaginare in lui una sua convinta formazione ai valori romani, non abbiamo invece informazioni sulla sua famiglia (salve qualche aneddoto in Paolino). Ma nulla proibisce di cogliere un velato cenno a sua madre in questa pagina famosa:

"Onora tuo padre e tua madre": voi siete per me come i genitori, perché mi avete dato l'episcopato; voi, ripeto, siete come figli o genitori, uno per uno figli, tutti insieme genitori. Effettivamente di gran cuore vi vorrei chiamare sia miei figli sia miei genitori, voi che ascoltate e mettete in pratica la parola di Dio: figli, perché sta scritto: "Venite, figli, ascoltatemi" (Sal 33,12); genitori, perché il Signore ha detto: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8,21)... "Onora tuo padre e tua madre": onorali con dimostrazioni di rispetto, in modo da astenerti da ogni offesa, perché nemmeno con l'espressione del viso si deve mancare alla pietà dei genitori... Onora i tuoi, perché il Figlio di Dio ha onorato i suoi; hai letto infatti: "E stava loro sottomesso" (Lc 2,51). Se Dio stava sottomesso a due poveri servitori, come devi comportarti tu con i tuoi genitori? Cristo onorava Giuseppe e Maria non per un debito di natura, ma per un dovere di pietà, e inoltre onorava Dio suo Padre nel modo in cui nessuno mai poté onorarlo, al punto da essere "obbediente fino alla morte" (Fil 2,8); perciò anche tu onora i genitori. L'onore però non consiste soltanto nelle manifestazioni di rispetto, ma anche nella generosità...: onore significa dar aiuto secondo i meriti. Sostenta tuo padre, sostenta tua madre. E quand'anche avrai sostentato tua madre, non compenserai mai i dolori, non compenserai gli strazi che ha patito per te; non compenserai gli atti di amore con cui essa ti ha portato in grembo; non compenserai il nutrimento che ti ha dato, premendo soavemente le poppe sulle tue labbra con tenerezza di affetto; non compenserai la fame che ha sopportato per te, quando non voleva mangiare nulla che ti potesse nuocere, né toccar nulla che le danneggiasse il latte. Per te essa ha digiunato, per te ha mangiato, per te ha rifiutato il cibo che pur desiderava, per te ha preso il cibo che non le piaceva, per te ha vegliato, per te ha pianto: e tu permetterai che essa viva nel bisogno? O figlio, che terribile giudizio vai a cercare, se non sostenti colei che ti ha partorito! Tu devi quello che hai a colei alla quale devi quello che sei (Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, VIII, 73-75: SAEMO 12, pp. 345,347).

 

4. I primi passi del vescovo Ambrogio: la verginità consacrata

Ambrogio prestò attenzione alla verginità consacrata fin dagli inizi del suo episcopato. Egli vi vedeva anche una decisione di efficace impatto sociale: queste donne infatti, in nome di una loro dignità, compivano una scelta autonoma e proficua apprezzata e riconosciuta dalla Chiesa e manifestata con orgoglio dinanzi alla società, proprio in un contesto di forte decadenza dell'istituto matrimoniale e di confusa ricerca di un ruolo femminile nella società. Per riconoscere i valori della verginità e la figura di donna a cui pensa Ambrogio, seguiamo una lunga pagina dal suo trattato su L'educazione della vergine: pur da collocare nel suo tempo, rivela una libertà di pensiero e una stima rara in quei secoli, quando veniva fortemente rimarcata la responsabilità di Eva nella caduta originaria:

Noi spesso accusiamo il sesso femminile di essere stato la causa del peccato, e non consideriamo quanto più giustamente l'accusa si ritorca contro di noi [maschi]. Ricominciando dall'inizio ed esaminando le origini delle cose, scopriremo quanto onore sia stato attribuito alla donna e quanta grazia ella trovò, pur nella misera fragilità della condizione umana... Dio lodò tutte le sue opere, il cielo, la terra i mari, la notte e il giorno: questo perché fosse impiegato per il lavoro, quella per il riposo; lodò le bestie selvatiche, ma quando si giunse all'uomo, per cui tutto è stato creato, risulta che sia stato l'unico a non essere lodato... Per questo dunque all'inizio l'uomo non è lodato, perché prima deve essere messo alla prova, non nella pelle esteriore, ma nell'uomo interiore; sotto questo aspetto deve essere elogiato... Giustamente dunque è rinviata la sua lode, perché gli sia resa in seguito con l'aggiunta degli interessi, e la dilazione non è perdita, ma guadagno. Perciò nessuno si disprezzi come fosse di nessun conto, né si apprezzi in base all'aspetto del proprio corpo... Dunque l'uomo si distingua ed eccella in quanto degno di ammirazione non per l'aspetto esteriore, ma per le sue doti interiori... Le sue opere risplendano davanti a Dio, e unisca buone azioni a una continua operosità; e pertanto la sua lode non è fatta all'inizio, ma alla fine: nessuno, se non avrà combattuto come si deve, sarà coronato... Dio, dopo aver fatto l'uomo e averlo posto nel paradiso perché lo coltivasse e custodisse, disse che non era bene che l'uomo fosse solo: "Facciamogli - dice - un aiuto che gli sia adeguato", (Gen 2,18). Dunque, senza la donna l'uomo non ha lode, nella donna è elogiato. Infatti nel dire che non è bene che l'uomo sia solo, evidentemente conferma che il genere umano è cosa buona, purché al sesso maschile si accosti quello femminile. Si consideri anche questo, che l'uomo è stato fatto di terra e fango la donna è stata tratta dall'uomo. Certamente anche la carne era fango, ma l'uomo fu fatto da qualcosa di informe, la donna da una realtà già formata... Certamente non possiamo negare che la donna abbia peccato. Ma perché ti meravigli per la caduta del sesso debole, dal momento che è caduto il sesso forte? La donna ha una scusa quando pecca, l'uomo non l'ha. Quella come dice la Scrittura, fu ingannata dal serpente che era più astuto di tutti, tu, uomo, fosti ingannato dalla donna; cioè: quella fu tratta in inganno da una creatura superiore, tu, da una inferiore. Infatti tu fosti tratto in inganno da una donna, quella invece da un angelo, anche se cattivo. Se tu non hai potuto resistere a una inferiore di te, come avrebbe potuto resistere lei a uno superiore? La tua colpa la assolve (Ambrogio, L'educazione della vergine,  3,16- 4,25 passim: SAEMO 14/II, pp.123,125,127,129).

Si passa poi a commentare le parole di Dio a Eva: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli" (Gen 3,16):

La donna accetta il peso della propria condanna ed eseguisce il dovere inerente alla propria condizione di condannata a una pena. La donna lotta per te con i suoi dolori e dalla pena trae la ricompensa; e così i figli, per i quali soffre, le procurano la libertà. In tal modo dall'ingiuria deriva la grazia e dalla debolezza la salvezza. Infatti sta scritto: "Sarà salva grazie alla generazione dei figli" (1Tim 2,15). Perciò quelli che ha partorito nel dolore li genera insieme alla salvezza e quelli che ha partorito con dolore li genera per la lode (ivi, 4,29: SAEMO 14/|II, p.131).

Il vescovo si figura, al di là della condannata che espia, la donna coinvolta nell'opera di salvezza; e, scavalcando i secoli e i piani di lettura, nella discendenza di Eva vede tutto il genere umano sino al suo compimento in Cristo e nella Chiesa. Così rinnovata, Eva assume le fattezze della Chiesa: nel suo dolore, così simile a quello di Cristo, ella genera ormai figli partecipi di questa novità e di questa salvezza. Ora il vescovo può concludere la riflessione guardando alla donna, e alle vergini in particolare, in una luce assolutamente positiva pervasa dalla pienezza del mistero: le si rivolge come a nuova Eva, a nuova Sara (madre di Isacco) e come alla stessa vergine Maria. Il brano è preceduto da un'ulteriore constatazione: dopo il peccato le donne appaiono più zelanti degli uomini nell'espiare, in preghiere e digiuni!

"Vigilate - dice - e pregate per non entrare in tentazione" (Mt 26,41). Il Signore ha detto questo l'uomo udì, la donna praticò. Ogni giorno le donne digiunano, fanno anche digiuni non prescritti; riconoscono il loro peccato, si procurano un rimedio. Una sola volta la donna mangiò un frutto dell'albero proibito e ogni giorno paga con il digiuno. Tu che l'hai seguita nell'errore, seguila anche quando si ravvede. Avete mangiato entrambi, perché digiuna lei sola? Cioè: entrambi avete peccato, perché lei sola cerca rimedio all'errore? Vieni, o Eva, ormai sobria; vieni, o Eva, anche se in te stessa un tempo intemperante, ora però sei astinente nella tua prole. Vieni, o Eva, ormai tale da non poter essere esclusa dal paradiso, ma da essere rapita in cielo. Vieni, o Eva, ormai Sara, che partorisci figli non nel dolore, ma nell'esultanza; non nell'afflizione, ma con sorriso: ti nasceranno molti Isacchi. Vieni di nuovo, o Eva, ormai Sara, di cui si possa dire al marito: "Ascolta Sara, tua moglie" (Gen 21,12). Anche se sei soggetta al marito, perché è giusto che tu lo sia, tuttavia subito hai scontato la condanna, tanto che si ordina a suo marito di ascoltarti. Se Sara per aver partorito un figlio, figura di Cristo, meritò di essere ascoltata dal marito, quanto progredì il sesso femminile quando generò Cristo, restando vergine! Vieni dunque, o Eva ormai Maria, che non solo ci ha dato l'incentivo della verginità ma ci ha anche portato Dio. Perciò lieto ed esultante per tanto dono Isaia dice: "Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio e sarà chiamato Emmanuele" (Is 7,14), "che significa Dio con noi" (Mt 1,23). Da dove viene questo dono? Certamente non dalla terra, ma dal cielo Cristo ha preso questo vaso mediante il quale potesse scendere sulla terra, e così lo consacrò tempio del pudore. È disceso mediante una sola vergine, ma ne ha chiamate molte. Per questa ragione Maria, nel mistero del Signore, ha avuto questo nome speciale che significa "Dio della mia discendenza" (ivi, 4,31, - 5,33 passim: SAEMO 14/II, pp.133,135).

 

5. La spiritualità della verginità consacrata

Si tratta di temi specifici sulla verginità consacrata, tuttavia con indicazioni più generali sull'insegnamento di Ambrogio riguardo alla spiritualità. Anzitutto bisogna identificare Chi sia l'autore e il creatore della verginità:

Chi possiamo credere che sia il suo autore, se non l'immacolato Figlio di Dio, la cui carne non ha visto la corruzione, la cui divinità non ha conosciuto contaminazione? (Ambrogio, Le vergini, I,5,21 SAEMO 14/I, p.123).

Viene poi la ricerca di Cristo, che dovrà essere lunga e continua, e insieme fiduciosa e consapevole di non poter essere delusa, e infine interiore, coltivata e radicata nel silenzio del cuore:

Guarda come Cristo ami essere ricercato e non ami le chiacchiere. Dunque quella vergine (cioè la sposa del Cantico) aprì le porte al Verbo di Dio, ma "egli passò oltre - dice - e l'anima mia uscì dietro la sua parola", (Cant 5,6): uscì dal mondo, uscì dal secolo, rimase in Cristo. "L'ho cercato - dice - e non l'ho trovato" (ivi); infatti Cristo vuole essere cercato a lungo (Ambrogio, La verginità, 84: SAEMO 14/II,p.69). Tu, o vergine, appena inizierai a cercare lo troverai presente, perché non può accadere che venga meno a coloro che lo cercano, lui che si è mostrato a coloro che non lo cercavano ed è stato trovato da coloro che non chiedevano di lui. Mentre consideri e pensi, egli si presenta... Cerca Cristo, o vergine: nei buoni pensieri, nelle buone opere, che risplendano di fronte al Padre tuo che è nei cieli. Cercalo nelle notti, cercalo nel tuo letto (cfr. Cantt 3,1), perché viene di notte e bussa alla tua porta (cfr. Cantt 5,2). Egli infatti vuole che tu sia sveglia in ogni momento, vuole trovare la porta della tua mente aperta. Ma vuole che sia anche aperta quella porta che è la tua bocca, che si apra e proclami la lode del Signore, la grazia dello Sposo, la confessione della croce, quando reciti il Simbolo, quando nella tua camera canti i salmi. Dunque, quando verri ti trovi sveglia, cosicché tu sia pronta. Dorma la tua carne, vegli la fede, dormano le seduzioni del corpo, vegli la saggezza del cuore. Le tue membra olezzino della croce di Cristo e del profumo della sua sepoltura (Ambrogio, Esortazione alla verginità, 9,57-58: SAEMO 14/II, p.245).

La ricerca approda all'incontro, descritto come incontro fra lo Sposo e la sposa:

L'anima del giusto è sposa del Verbo. Se essa lo desiderasse, se lo bramasse, se pregasse assiduamente e pregasse senza protestare, se fosse totalmente rivolta al Verbo, ecco che all'improvviso le parrebbe di udire la voce di Lui, che pur non vede. Ecco che, con una percezione profonda, riconoscerebbe il profumo della sua divinità. È questa una sensazione che provano spesso quelli che hanno una fede viva. All'improvviso le narici dell'anima sono impregnate da una grazia spirituale e l'anima avvrte alitare su di sé il soffio della presenza di Colui che essa cerca; ed esclama: "Ecco, è Lui quello che io vado cercando; è Lui quello che io desidero" (Ambrogio, Commento al Salmo CXVIII, VI, 8; SAEMO 9, p.247).

Vediamo comparire in questi brani la simbologia del profumo. In un brano dall'Esortazione alla verginità il profumo è specificamente assunto come simbolo dell'offerta della vita nella consacrazione verginale. Si tratta del discorso che Ambrogio tenne a Firenze nel 394, quando consacrò una chiesa, e a loro volta delle vergini consacrarono la loro vita a Dio: offerta di se stessi (nella vita, nella verginità) e offerta dell'eucaristia si connettono strettamente.

Ora ti prego, o Signore, affinché tu quotidianamente custodisca questa tua casa, questi altari che oggi sono dedicati queste pietre spirituali in ciascuna delle quali ti viene consacrato un tempio vivente (cfr lPt 2,5); e ricevi nella tua divina misericordia le preghiere che i tuoi servi ti rivolgono in questo luogo. Sia per te come profumo di santità ogni sacrificio che ti viene offerto in questo tempio con fede integra e pio zelo. E mentre guardi quella vittima di salvezza, per la quale è cancellato il peccato di questo mondo, rivolgi il tuo sguardo su queste vittime di pia castità e proteggile con il tuo incessante aiuto, perché siano per te vittime accette in soave odore (cfr Ef 5,2), gradite a Cristo Signore; e degnati di conservare integri il loro spirito, la loro anima e il loro corpo fino al giorno del Signore nostro Gesù Cristo tuo Figlio (Ambrogio, Esortazione alla verginità, 94: SAEMO 14/II  p.271).

Infine un richiamo fondamentale al fatto che tutto è grazia, tutto è dono, anche la spiritualità più raffinata anche la consacrazione verginale, quindi ogni vocazione: è l'umiltà sostanziale che salva dalla superbia ed è il sostegno responsabilizzante che sprona all'adesione. Infatti, spiega Ambrogio, in qualsiasi punto si sia del proprio cammino spirituale, agli inizi, in fase intermedia o verso il traguardo, tutto comunque è di Cristo, tutto è suo dono, come indica anche la prosa ritmata che scandisce la parte principale dei testo:

Tutto abbiamo in Cristo. Ogni anima gli si avvicini. O che sia ammalata per i peccati del corpo, o come inchiodata dai desideri mondani, oppure ancora imperfetta, ma sulla via della perfezione grazie all'assidua meditazione, o che qualcuna sia ormai perfetta per le sue numerose virtù, ogni cosa è in potere del Signore, e Cristo è tutto per noi: se vuoi curare una ferita, egli è medico; se sei riarso dalla febbre, è fontana; se sei oppresso dall'iniquità, è giustizia; se hai bisogno di aiuto, è forza; se temi la morte, è vita; se desideri il cielo, è via; se fuggi le tenebre, è luce; se cerchi cibo, è alimento (Ambrogio, La verginità, 16,99: SAEMO 14/II, pp.79,81).

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