ALLE  ORIGINI  DELLA  LITURGIA

Le testimonianze nella "Didaché", in Giustino martire e nella "Traditio apostolica"

 

1. La "Didaché"

La "Didaché" è uno scritto composito, in cui un anonimo autore giudeo-cristiano ha riunito materiali che gli derivavano dalla tradizione e che riteneva utili per l'edificazione dei convertiti. Ha l'aspetto di un "vademecum" per i missionari itineranti di ambito giudeo-cristiano; vi troviamo infatti gli elementi essenziali di una iniziazione cristiana: una introduzione morale sulla via del bene e del male, la liturgia battesimale ed eucaristica (con istruzioni anche su preghiera e digiuno), le istituzioni ecclesiali con apostoli, profeti e dottori, e poi vescovi e diaconi, una conclusione a tema escatologico (su cui non ritorniamo). Come opera complessiva, fu composta probabilmente in ambiente siro-occidentale, entro il I secolo: contiene infatti parti molto arcaiche, che ci riportano a stretto contatto con la prima generazione cristiana:

Essa "è contemporanea degli apostoli", afferma perentoriamente l'editore forse più autorevole (André Tuilier). Insomma, direttamente o indirettamente La Didaché affonda le radici negli strati più profondi delle origini cristiane, là dove è ancora viva e fluida la tradizione su Gesù, è ancora vitale il legame con la spiritualità, l'etica e la liturgia giudaiche, e dove ancora risuona l'eco diretta dell'eucharistia protocristiana e dell'annuncio ispirato dei profeti cristiani [Didaché. Insegnamento degli apostoli. Introduzione, testo, traduzione e note di Giuseppe Visonà, Milano Paoline, 2000, p. 24].

1.1. Le due vie, della vita e della morte (1-6).

Questo minitrattato descrive la via della vita, fondata sull'amore di Dio e del prossimo, e la via della morte, riassunta in un catalogo di vizi da evitare. Alla base di questa dottrina, che per altro si può ritrovare in tutte le culture (bene e male), sta un trattato di etica giudaica influenzato dalla tradizione "dualista" di Qumran (è sviluppato nella Regola della comunità o Manuale di disciplina).  Con molte somiglianze il minitrattato del "Due vie" appare in altri testi cristiani (alla fine della c.d. Lettera di Barnaba, in uno scritto latino intitolato "Dottrina degli apostoli" e altrove) come a ricordare che era un testo vivo, variamente utilizzato e utilizzabile. L'impronta dualista, entrando in ambito cristiano, si attenua sino a scomparire. Nel Manuale di disciplina si parla del principe delle luci e dell'angelo della tenebra, da cui dipendono rispettivamente i figli della giustizia e i figli della vanità che procedono gli uni sulle vie della luce, gli altri sulle vie della tenebra. Nella Lettera di Barnaba rimane ancora parte di questa terminologia, ma ormai svuotata della contrapposizione cosmico-ontologica radicale:

Ci sono due vie di insegnamento e di potere: quella della luce e quella delle tenebre. C'è molta differenza tra le due vie. A una sono preposti gli angeli di Dio portatori di luce, all'altra gli angeli di Satana. Il primo è Signore da sempre e per sempre, l'altro è principe del presente tempo dell'iniquità [Lettera di Barnaba, XVIII, 1-2: Epistola di Barnaba. Introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici a cura di Francesco Scorza Barcellona, Torino, SEI, 1975 (Corona Patrum, 1) pp. 118-121].

Nella Didaché tutto è riportato a una semplice differenziazione morale:

Vi sono due vie, una della vita e una della morte, ma tra le due c'è una grande differenza [Didaché, I, 1: Visona cit., pp. 284-285].

Nella descrizione delle due vie si può percepire il tono giudeo-cristiano con riferimenti all'insegnamento della Legge e dei profeti, o anche alle espressioni dei salmi: il timore del Signore, il "custodire i precetti" del Signore, il tenersi lontano da "ciò che non è a lui gradito", l'umiltà e la mitezza, la comunione con i fratelli, la carità compassionevole verso il povero e l'oppresso. Tutto il materiale è sostanzialmente di derivazione giudaica; è però un testo "cristiano" perché è rielaborazione di giudeo-cristiani che utilizzano la loro antica tradizione per vivere ormai la novità del vangelo. Tanto che, in una sezione specifica (a differenza del resto), vengono utilizzate espressioni tipicamente evangeliche, insegnamenti di Gesù. Qui appare la singolarità della Didaché: perché queste espressioni provengono dalla tradizione orale (si muovono autonomamente rispetto all'una o all'altra recensione sinottica, non per un complicato desiderio di variare e ricomporre i testi, ma semplicemente perché la Didaché attinge a fonti antecedenti ai vangeli!) e sono serenamente armonizzate nel restante insegnamento di origine giudaica. Ecco la parte iniziale della via della vita, in cui - dopo il primo paragrafo - è inserita la sezione "evangelica".

La via della vita è questa: primo, amerai Dio che ti ha creato (cfr. Dt 6,5); secondo, amerai il prossimo tuo come te stesso (cfr. Lv 19,18); tutto ciò che vorresti non fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri (cfr. Tb 4,15). L'insegnamento di queste parole è il seguente: benedite coloro che vi maledicono, pregate per i vostri nemici, digiunate per coloro che vi perseguitano (cfr. Mt 5,44; Lc 6,28). Che merito avete infatti se amate coloro che vi amano? Non fanno lo stesso anche i pagani? (cfr. Mt 5,46-47; Lc 6,32-33). Voi, piuttosto, comportatevi amorevolmente con coloro che vi odiano (cfr. Mt 5,44; Lc 6,27) e non avrete nemico. Guardati dal seguire gli impulsi naturali della carne: se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli anche l'altra (cfr. Mt 5,39; Lc 6,29) e sarai perfetto; se uno ti costringe a fare un miglio tu va, con lui per due (cfr. Mt 5,41); se uno ti prende il mantello, dagli anche la tunica (cfr. Mt 5,40; Lc 6,29); se uno prende quello che è tuo, non richiederlo indietro (cfr. Lc 6,30), perché non puoi. A chiunque ti chiede, da' e non richiedere indietro (cfr. Mt 5,42; Lc 6,30), perché il Padre vuole che tutti abbiano parte dei suoi doni. Beato colui che dà secondo il precetto perché è incolpevole. Ma chi riceve stia bene attento, perché se riceve per bisogno non avrà colpa, ma se non ha bisogno dovrà rendere ragione del perché e a quale scopo ha ricevuto: gettato in prigione verrà esaminato su tutto quello che ha fatto e non uscirà di lì fino a che non abbia restituito fino all'ultimo centesimo (cfr. Mt 5,26; Lc 12,59). È anche a questo riguardo che è stato detto: "Sudi l'elemosina nella tua mano fino a che tu non sappia bene a chi la dai" (cfr. Sir 12,1,). Secondo Precetto della dottrina: non ucciderai, non commetterai adulterio, non corromperai i fanciulli, non fornicherai, non ruberai, non praticherai la magia, non farai incantesimi, non ucciderai tuo figlio con l'aborto né lo sopprimerai appena nato, non desidererai la roba del prossimo. Non spergiurerai, non renderai falsa testimonianza, non sarai maldicente, non serberai rancore. Non sarai doppio nei pensieri e nelle parole, perché la doppiezza è un laccio di morte. La tua parola non sarà menzognera né vana, ma sarà confermata dall'azione. Non sarai avido né rapace né ipocrita né scostumato né tracotante. Non concepirai disegni perversi contro il tuo prossimo. Non odierai nessuno, ma gli uni li riprenderai - per essi pregherai -, gli altri li amerai più della tua anima [Didaché, I, 2 - II, 7: Visona cit., pp. 284-295].

1.2. Tradizioni liturgiche sul battesimo, sul digiuno, sulla preghiera e sulla cena eucaristica (7-10).

Si tratta di tradizioni assai antiche, soprattutto quelle sulla cena eucaristica. Per il battesimo la descrizione è scarna, ma ben chiara. Interessante la presenza della formula trinitaria per il battesimo, che compare solo in Mt 28,79 e in questo passo della Didaché (senza che si possa determinare se qui la Didaché dipenda direttamente dal vangelo o, come per il Due vie, dal materiale pre-evangelico).

Riguardo al battesimo, battezzate così: dopo aver esposto tutte queste cose, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in acqua corrente. Se non hai acqua corrente, battezza in altra acqua; se non puoi in acqua fredda, battezza in acqua calda. Se non disponi né dell'uno né dell'altra, versa per tre volte sul capo nel nome di Padre, Figlio e Spirito Santo. Prima del battesimo digiunino colui che battezza, il battezzando e, se lo possono, anche alcuni altri. Ordina però, che chi deve ricevere il battesimo digiuni un giorno o due prima [Didaché, VII, 1-4: Visonà cit., pp. 314-317].

Seguono, per concatenamento, indicazioni sul digiuno, che non deve essere compiuto al lunedì e al giovedì, come i giudei (chiamati "ipocriti"), ma al mercoledì e al venerdì. Anche la preghiera non deve essere come quella degli  "ipocriti", ma, come ha comandato il Signore, deve esprimersi nel Padre nostro: la Didaché lo trascrive nella versione secondo Mt 6,9-13 (ma probabilmente la Didaché lo riceve direttamente dalla tradizione liturgica) e lo conclude con la famosa dossologia: "Tua è la potenza e la gloria nei secoli". Viene infine il testo dell'eucaristia, che verosimilmente ci fornisce le preghiere di una celebrazione eucaristica sacramentale, ma assai primitiva. Esso è costituito da tre preghiere di ringraziamento: le prime due rispettivamente sul calice e sul pane, la terza dopo aver assunto le sacre specie. L'aspetto primitivo è dato dalla vicinanza fra il testo di queste preghiere e il testo delle preghiere usate in ambito giudaico per benedire la mensa; e pure la sequenza è quella ebraica: calice, pane, poi pranzo, infine il calice conclusivo. È lo schema giudaico ricordato da Paolo in  1Cor 10,16: " I1 calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?  E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?"; uno schema che è in parte richiamato anche in Lc 22,17-20:

Preso un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio". Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me"' Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22,17-20).

Nelle preghiere della Didaché vanno notate sia la forte "patina" giudaica (di termini e concetti) sia la piena novità cristiana (la precisazione, quattro volte: "per mezzo di Gesù, tuo servo").

Riguardo all'eucaristia, rendete grazie così.

Prima sul calice: "Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la santa vite di Davide, tuo servo, che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù, tuo servo. A te la gloria nei secoli".

Sul pane spezzato: "Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro per la vita e la conoscenza che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù, tuo servo. A te la gloria nei secoli. Come questo pane spezzato era disperso sui monti e, raccolto, è divenuto uno, così la tua Chiesa sia raccolta dalle estremità della terra nel tuo regno. Perché tua è la gloria e la potenza per mezzo di Gesù Cristo nei secoli. Nessuno mangi o beva della vostra eucaristia se non i battezzati nel nome del Signore. Infatti anche a questo riguardo il signore ha detto: "Non date ciò che è santo ai cani" (cfr. Mt 7,6).

Dopo esservi saziati, rendete grazie così:

"Noi ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo santo nome, che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l'immortalità che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù, tuo servo. A te la gloria nei secoli. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa per il tuo nome e hai dato cibo e bevanda in godimento agli uomini, affinché ti rendessero grazie, ma a noi hai fatto grazia di un cibo e una bevanda spirituali e della vita eterna per mezzo di Gesù, tuo servo. Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente. A te la gloria nei secoli. Ricordati, Signore, della tua Chiesa: liberala da ogni male, perfezionala nel tuo amore e raccoglila, santificata dai quattro venti nel tuo regno, che hai preparato per lei. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli".

 "Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna alla casa di Davide. Chi è santo venga, chi non lo è si penta. Maranatha. Amen, [Didaché, IX, 1 - X, 6: Visonà cit., pp. 322-331]

1.3. Sezione disciplinare (11-15)

La sezione disciplinare riconosce, nella comunità le figure degli apostoli e dei profeti, dei vescovi e dei diaconi. Gli apostoli sono missionari itineranti (non i soli Dodici): la loro figura, pur di alto profilo ("come il Signore") va sfumando, e la Didaché ne parla poco:

Ogni apostolo (apòstolos) che giunge presso di voi sia accolto come il Signore. Non si tratterrà se non un solo giorno e, se ve ne fosse bisogno, un secondo, ma se si ferma tre giorni è un falso profeta (pseudoprofétes). Partendosene, l'apostolo non prenda con sé se non il pane sufficiente per arrivare alla sosta successiva. Se invece chiede denaro, è un falso profeta [Didaché, XI, 4-6: Visonà cit., pp. 332-335].

Campeggia invece la figura carismatica del profeta, che è stabile nella comunità, anche se può venire da fuori: è indicato come "sommo sacerdote" e non può essere giudicato, pena peccare contro lo Spirito. Il fatto che i profeti non devono rendere conto a nessuno è all'origine del loro successivo declino (per la difficoltà di essere armonicamente "integrati" in una comunità guidata istituzionalmente); per ora si comincia a garantirsi che siano "autentici":

Ai profeti lasciate che rendano grazie come vogliono. [...] Non mettete alla prova né giudicherete nessun profeta che parli in spirito, perché qualunque peccato verrà perdonato, ma questo peccato non verrà perdonato (cfr. Mt 12,31). Tuttavia non chiunque parla in maniera ispirata è un profeta, ma solo se si comporta come il Signore. Dal comportamento, dunque, si riconoscerà il falso dal vero profeta. Il profeta che, messo alla prova e risultato vero, opera per il mistero terreno della Chiesa, senza tuttavia insegnare a fare quello che fa lui, non sarà tuttavia giudicato, perché ha il suo giudizio presso il Dio. Allo stesso modo, infatti, si comportarono anche gli antichi profeti. [...] Ogni vero profeta che voglia stabilirsi presso di voi ha diritto al suo nutrimento (cfr. Mt 10,10; Lc 10,7; 1 Tm 5,18). Allo stesso modo, il vero maestro (didàskalos) ha diritto anche lui, come l'operaio, al suo nutrimento. Prenderai pertanto le primizie di tutti i prodotti del torchio e dell'aia, dei buoi e delle pecore e le darai ai profeti. Essi infatti sono i vostri sommi sacerdoti (archiereis) [Didaché, X, 7; XI, 7-9; XII, 11; XIII, 1-3 : Visonà cit., pp. 330-341. passim].

Vengono infine i vescovi e i diaconi, con il loro ruolo "funzionale": essi sono scelti fra i membri della comunità stessa. Mancano per ora i presbiteri (che troviamo poi in Ignazio): probabilmente essi non sono ancora sentiti come un ufficio ecclesiastico (sono ancora semplicemente gli "anziani": altra arcaicità). Parlando di vescovi e diaconi si riprende qualche indicazione riguardo all'eucaristia, ma per parlare della penitenza necessaria a chi voglia accostarsi degnamente alla cena eucaristica. Dei vescovi e diaconi si difende il ruolo, a fronte dei profeti che sono la figura predominante.

La domenica, giorno del Signore (katà kyriakèn Kyrìou, nel "giorno del Signore" del Signore), riunitevi per spezzare il pane e rendere grazie dopo avere confessato i vostri peccati, in modo che il vostro sacrificio sia puro. Chiunque abbia qualcosa in sospeso con il suo compagno non si unisca a voi prima che si siano riconciliati (cfr. Mt 5,23-24), affinché il vostro sacrificio non sia contaminato. Questo, infatti, è il sacrificio di cui il Signore ha detto: "In ogni luogo e tempo offritemi un sacrificio puro, poiché un grande re io sono, dice il Signore, e il mio nome è mirabile tra le genti" (Mt 1,11.14). Eleggetevi, dunque, vescovi (episkòpous) e diaconi (diakònous) degni del Signore, uomini miti, non attaccati al denaro, veritieri e provati. Essi, infatti, svolgono per voi lo stesso ministero dei profeti e dei maestri. Perciò non disprezzateli, perché sono quelli tra voi che condividono l'onore dei profeti e dei maestri [Didaché, XIV, 1 - XV, 2: Visonà, cit., pp. 344-347].

 

2. L'evoluzione successiva della liturgia eucaristica

Sono fondamentali due testi: la descrizione dell'eucaristia nell'Apologia di Giustino martire (+ 155 ca.) [vedi Lezione 4], e il testo liturgico dell'eucaristia nella Tradizione apostolica attribuita a Ippolito, uno scritto liturgico e disciplinare che sembra essere stato composto a Roma negli anni 218-220 (nel contesto dell'ordinazione del vescovo è riportata la più antica anafora eucaristica a noi nota: essa, adattata e integrata con il Santo, è diventata l'attuale seconda preghiera eucaristica).

2.1. La liturgia eucaristica nell'Apologia di Giustino martire

Nel giorno chiamato del Sole si fa l'adunanza di tutti nello stesso luogo, dimorino in città o in campagna, e si leggono le memorie degli apostoli e gli scritti dei profeti, finché il tempo lo permette. Quando il lettore ha terminato, chi presiede con un sermone ci ammonisce ed esorta all'imitazione di quei begli esempi. Poi tutti insieme ci leviamo e innalziamo preghiere; e, avendo noi terminato le preghiere, si porta pane, vino ed acqua e il capo della comunità fa similmente orazioni e azioni di grazie con tutte le sue forze, e il popolo acclama dicendo l'Amen, e si fa a ciascuno la distribuzione e la spartizione delle  cose consacrate e se ne manda per mezzo dei diaconi anche ai non presenti. I ricchi, invero, e quelli che vogliono, ciascuno a suo piacere dà ciò che vuole, e quello che si raccoglie viene depositato presso il capo; ed egli soccorre gli orfani e le vedove, e quelli che sono bisognosi per malattia o per altra ragione, quelli che sono carcerati e gli ospiti forestieri, e senza eccezione ha cura di tutti quelli che hanno bisogno. Ci aduniamo tutti nel giorno del sole, perché è il primo giorno in cui Dio, avendo mutato la tenebra e la materia, creò il mondo e Gesù Cristo nostro salvatore nello stesso giorno risuscitò dai morti; infatti la vigilia del giorno di Saturno lo crocifissero e nel giorno dopo quello di Saturno, il quale è il giorno del sole, comparso agli apostoli suoi e discepoli insegnò queste cose, che abbiamo presentate anche al vostro esame [Giustino, Prima Apologia, 67, 3-7: M. Simonetti - E. Prinzivalli, Letteratura cristiana antica, Piemme, Casale Monferrato, 1996, I, pp. 223-225].

2.2. La liturgia eucaristica nella Tradizione apostolica attribuita a Ippolito

Dopo che è stato fatto vescovo, tutti gli diano il bacio della pace salutandolo: "È diventato degno!". I diaconi gli presentino l'offerta ed egli, imponendo le mani su di essa insieme con tutti i presbiteri, rendendo grazie dica: "Il Signore sia con voi". Tutti rispondano: "E con il tuo spirito". "In alto i cuori". "Sono rivolti al Signore". "Rendiamo grazie al Signore". "È cosa buona e giusta".  E quindi prosegua: "Ti rendiamo grazie, o Dio, per mezzo del tuo diletto figlio Gesù Cristo (per dilectum puerum tuum Iesum Christum), che negli ultimi tempi hai inviato a noi come salvatore, redentore e messaggero della tua volontà (cfr. Is 9,5); egli è il tuo Verbo inseparabile, per mezzo del quale hai creato tutte le cose e fu di tuo gradimento; che hai mandato dal cielo nel seno di una vergine e, accolto nel grembo, si è incarnato e si è manifestato come tuo figlio, nato dallo Spirito Santo e dalle Vergine. Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le mani nella passione per liberare dalla sofferenza coloro che confidano in te. Mentre si consegnava liberamente alla passione per distruggere la morte, spezzare le catene del demonio, calpestare l'inferno, illuminare i giusti, fissare la norma e manifestare la risurrezione, preso il pane ti rese grazie e disse: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo che sarà spezzato per voi". Allo stesso modo fece col calice dicendo: "Questo è il mio sangue che sarà, versato per noi. Quando fate questo, fatelo in memoria di me". Ricordando dunque la sua morte e la sua risurrezione, ti offriamo il pane e il calice e ti rendiamo grazie per averci fatti degni di stare alla tua presenza e di renderti culto. E ti preghiamo di inviare il tuo Spirito Santo sull'offerta della santa Chiesa. Unendo in una sola cosa (in unum congregans), dona a coloro che partecipano dei santi misteri la pienezza dello Spirito Santo per confermare la loro fede nella verità, affinché ti lodiamo e ti glorifichiamo per Gesù Cristo tuo figlio (per puerum tuum Iesum Christum), per il quale gloria e onore a te con lo Spirito Santo nella tua santa Chiesa ora e nei secoli dei secoli. Amen. [Tradizione apostolica, 4: Pseudo-Ippolito, Tradizione apostolica. Introduzione, traduzione e note a cura di Elio Peretto, Roma, Città Nuova, 1996 (Collana di resti patristici, 133), pp. 108-111].

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