IL  GRANO,  L'ORZO  ED  ALTRI  CEREALI

 

 

 

 

Nel brano del Deuteronomio, che enumera le attrattive della Terra Promessa (Dt. 8,7-8) al primo posto troviamo l'acqua, il bene più indispensabile; seguono "sette piante", di cui le prime sono cereali, cioè grano ed orzo, le altre cinque alberi da frutto, (vite, olivo, fico, melograno, palma da datteri).

Col nome cereali (che deriva da Cerere, la dea romana delle messi) si indica convenzionalmente un gruppo di dieci piante che hanno un ruolo fondamentale nell'alimentazione dell'uomo e degli animali: riso, mais, frumento, orzo, avena, segale, miglio, panico, sorgo, grano saraceno. Le prime nove appartengono alla famiglia delle Graminaceae, l'ultima alle Poligonaceae.

La storia dei cereali si identifica con la più remota storia dell'uomo, col suo passaggio da cacciatore o pescatore nomade ad agricoltore stabile: un'evoluzione basata su due elementi fondamentali, l'osservazione di piante con semi commestibili (e riproducibili) e l'invenzione dell'aratro. Le diverse condizioni climatiche hanno fatto prevalere l'una o l'altra specie, ma questi eventi si verificarono in modo analogo in varie parti del mondo, sempre iniziando nelle regioni dove il terreno era più fertile per la presenza dei "grandi fiumi": la Mesopotamia, la valle del Nilo, del Giordano, dell'Indo e del Gange, del fiume Giallo.

In varie zone della Siria, dell'Anatolia e della Mesopotamia sono stati ritrovati grani di cereali risalenti a circa 8000 anni a.C..

Il mito di Cerere risale a quello della dea greca Demetra; questa e l'egiziana Iside, quasi certamente sono a loro volta collegate al culto di Cibele, l'antica "dea madre" delle popolazioni dell'Asia Minore.

La Bibbia in moltissime occasioni parla di cereali o loro derivati (farina, focacce, pane), riferendosi ovviamente, a quelli coltivati fin dai tempi antichi in Israele, Egitto, Mesopotamia. Le piante sono quattro, o forse cinque specie. La corrispondenza dell'antico nome ebraico con il nome botanico in qualche caso è sicura, in altri dubbia.

 

 

 

Il MIGLIO (Panicum miliaceum) e PANICO (Panicum italicum) sono due specie biologicamente vicine e nelle citazioni antiche possono essere indicate con lo stesso nome "Dohan" (anche se il miglio è più probabile). Queste Graminacee originarie dell'Asia centro-meridionale sono state forse uno dei primi "grani" utilizzati dall'uomo: la loro coltivazione richiede pochissime cure, quindi è adatta a popolazioni primitive e seminomadi.

 

 

 

Il SORGO (Sorgum durra e specie affini) è una pianta con grosse pannocchie, di origine africana (dove è tuttora molto diffusa), anche questa di facile coltivazione: in ebraico è "durah" e non risulta sicuramente nella Bibbia, ma potrebbe essere un'alternativa di "dohan".

 

 

 

L'ORZO (Hordeum vulgare) corrisponde sicuramente all'ebraico "sa 'arah". Ha spighe abbastanza simili a quelle del grano; in confronto a questo, ha molto minori esigenze climatiche, tanto che si coltiva dalla Scandinavia all'Equatore. Era noto fin dai tempi antichissimi sia in Cina che nell'area Mesopotamica; ne fecero largo uso gli Assiri e Babilonesi, Ebrei, Greci e Romani, da solo o misto con altri cereali.

 

 

 

Il FRUMENTO  (il GRANO per eccellenza) dal punto di vista botanico appartiene al genere Triticum: un genere che comprende numerose specie, attualmente classificate su base citologica (cioè dal numero dei cromosomi) in tre grandi gruppi, dai quali derivano tutte le qualità coltivate. Oggi in tutto il mondo si coltiva prevalentemente il Triticum vulgare o sativum, cioè il grano tenero per farina da pane; ma un tempo erano assai più diffusi il Triticum durum (grano duro), il Triticum monococcum o farro piccolo, il Triticum dicoccum o grande farro, il Triticum spelta o spelta ed altre specie asiatiche ed africane oggi scomparse. In genere, l’ebraico "hittah" viene tradotto come grano; "kusemet" come farro o spelta.

I testi biblici si riferiscono talvolta ad un solo cereale, più spesso ad un gruppo di essi.

 

Per esempio, la ricca agricoltura egiziana è descritta con precisione a proposito di una delle "piaghe d'Egitto" inviate per punire il Faraone:

"fece piovere grandine su tutto il paese... il lino e l'orzo furono colpiti, perché l'orzo era in spiga e il lino era in fiore, ma il grano e la spelta non erano stati colpiti, perché tardivi..." (Es. 9,25-31).

 

L'importanza dell'orzo nel territorio della Giudea risulta evidente nella storia di Rut, un piccolo libro ambientato all'epoca dei Giudici, che ancor oggi nella tradizione ebraica si legge nella festa "delle settimane" o "della mietitura".

Noemi, una donna di Betlemme, era emigrata nella terra di Moab con il marito e due figli, che sposano donne moabite; gli uomini della famiglia muoiono e Noemi decide di tornare alla sua terra. Una delle sue nuore, Rut, la segue affermando:

"dove vai tu andrò anch'io, dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio..." (Rut 1,16).

 

Ed esse:

"arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mieter l'orzo" (Rut 1,23).

 

La giovane va a spigolare l'orzo in un campo che appartiene a Booz, un parente della suocera; questi, saputa la sua storia, la protegge ordinando ai suoi servi:

"lasciatela spigolare tra i covoni e non le fate affronto, anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli..." (Rut 2,23-26).

 

Infine Booz riscatta la terra di Noemi e sposa Rut; dal loro matrimonio nasce un figlio che sarà padre di Jesse, che è padre di Davide. Così Rut la moabita diviene, attraverso Davide, un'antenata del Messia.

 

In tutte le storie dell'Antico e del Nuovo Testamento è evidente una stretta interdipendenza tra l'uomo e la terra, e di entrambi da Dio: gli alberi da frutto e i cereali - le piante più necessarie alla vita dell'uomo - sono quelle che esprimono più concretamente questo rapporto.

Le principali feste religiose ebraiche accompagnano i ritmi agricoli: la "festa degli azzimi", cioè la Pasqua, in primavera; quella "della mietitura" o "delle settimane", a distanza di sette settimane o cinquanta giorni dalla Pasqua (da cui il nome greco "Pentecoste"); quella "del raccolto" o "delle capanne" in autunno. Lo schema di queste celebrazioni viene dettato a Mosè prima della partenza dall'Egitto (Es. 12,8-23, 14-17); il rituale è poi precisato in Deuteronomio (16) e in Levitico (2 e 3).

Gesù si serve del tema della "semina" e del raccolto in due importanti parabole: quella del "seminatore", in cui la Parola di Dio è paragonata ad un seme che può cadere in un luogo sassoso o tra spine o in un terreno buono (Mt. 13,3-8; Mc. 4,3-8; Lc. 8,5-8) e quella della "zizzania" seminata dal nemico (il diavolo) insieme con il seme buono (Mt. 13,24-30).

 

 

 

Ma i significati simbolici e trascendenti sono collegati soprattutto al principale prodotto del grano (o di altri cereali): il pane.

 

IL PANE DA ABRAMO A GESU'

 

Il pane ha un posto importante in tutta la tradizione ebraica e cristiana. Ancora oggi, gli Ebrei prima di mangiare recitano la benedizione: "Benedetto sei tu, Signore, che fai uscire il pane dalla terra"; e i Cristiani pregano, secondo l'insegnamento di Gesù: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Nelle Scritture i vari significati del pane (concreto, simbolico, trascendente) si alternano e talvolta si sovrappongono.

 

In Genesi leggiamo che:

"Melchisedec, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram..." (Gn. 14,17-18).

 

In questa emblematica figura del re-sacerdote dal nome cananeo molti hanno voluto vedere un'anticipazione del Messia e del sacrificio Eucaristico.

 

Poco dopo, sempre in Genesi, assistiamo a una scenetta familiare: ad Abramo, presso le Querce di Mambre, si presentano "tre uomini" ed Abramo dice loro:

"accomodatevi sotto l'albero e permettete che vada a prendere un boccone di pane... poi andò in fretta nella tenda da Sara e disse: presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce..." (Gn. 18,4-7).

 

Gli antichi Ebrei usavano infatti mangiare pani (o piuttosto focacce) piccoli e rotondi, non lievitati, preparati dalle donne.

Ben diversa la situazione in Egitto, dove fu portato Giuseppe, poi raggiunto dai suoi fratelli. Tra i popoli dei "grandi fiumi", gli antichi egiziani furono senza dubbio quelli che maggiormente valorizzarono il grano. Il Nilo era il grande protagonista dell’agricoltura: le stagioni venivano denominate, secondo il comportamento del fiume, "inondazione", "germinazione del seme", "raccolta del grano". Fu creato un complesso sistema di irrigazione e fu perfezionato il primitivo aratro. Gli Egiziani furono i primi a fabbricare il pane. Probabilmente fu accidentale – e ritenuta di origine magica – la scoperta che la pasta inacidita faceva fermentare l’impasto; comunque, quando altri popoli usavano ancora i cereali abbrustoliti o in focacce, gli Egiziani già cuocevano in forno diverse qualità di pane. Scritti e pitture murali ce ne danno testimonianza. Il Faraone era il "signore del grano"; il pane era l’elemento fondamentale dell’economia nazionale e con varie quantità di pane e di birra si pagavano operai, funzionari, sacerdoti. Il pane veniva offerto agli dei e veniva posto nella tomba dei defunti.

 

Alla lavorazione erano addetti operai specializzati. Quando Giuseppe è messo in prigione, insieme con lui c’è il "capo dei panettieri" che gli racconta di aver sognato:

"tre canestri di pane bianco, e nel canestro che stava di sopra ogni sorta di cibi per il Faraone, quali si preparavano dai panettieri..." (Gn. 40,16-17).

 

Nella predicazione di Gesù il pane – sia concreto che simbolico – ha un posto importantissimo.

 

Il pane per gli affamati

 

Davide, quando si reca a Moab, chiede al sacerdote Achimelech se ha del pane per sfamare i suoi uomini e il sacerdote:

"gli diede il pane sacro, perché non c’era altro pane che quello dell’offerta" (I Sam. 21,4-7).

 

Gesù si riferisce a questo precedente nell’episodio delle "spighe strappate", narrato nei Vangeli:

"passo tra le messi in giorno di sabato e i suoi discepoli ebbero fame, e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano; ciò vedendo, i farisei dissero: ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito… ed Egli rispose: non avete letto quello fece Davide, quando ebbe fame insieme con i suoi compagni, come entrò nella casa di Dio e mangiò il pane dell’offerta che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? Ora io vi dico che qui c’è qualcosa di più grande del tempio; se aveste compreso che cosa significa "misericordia io voglio e non sacrificio", non avreste condannato individui senza colpa…" (Mt. 12,1-8; Mc. 2,23-28; Lc. 6,1-5).

 

Una prima "moltiplicazione dei pani" viene compiuta dal Signore per mezzo di Eliseo.

"Da Baal-Salisa venne un uomo che offrì primizie all’uomo di Dio, venti pani d’orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: dallo da mangiare alla gente. Ma colui che serviva disse: come posso mettere questo davanti a cento persone? Quegli rispose: dallo da mangiare alla gente, poiché così dice il Signore; ne mangeranno e ne avanzerà ancora" (II Re 4.42-43).

 

Gesù compie la moltiplicazione dei pani presso il lago di Tiberiade, dove una grande folla (quattro o cinquemila uomini) lo ha seguito. La scena, pur essendo sostanzialmente uguale (Gesù benedice il pane e i pesci, li fa distribuire e tutti si saziano) è narrata nei Vangeli con qualche variante: in Luca e in Giovanni l’episodio avviene una sola volta, ci sono cinque pani e due pesci ed avanzano dodici ceste di pane; in Matteo e in Marco il miracolo si ripete due volte e in una di queste compare il numero sette per i pani e per gli avanzi. Secondo i commentatori, si tratterebbe di due diverse tradizioni: dodici è il numero delle tribù d’Israele e degli Apostoli, mentre il sette allude alle nazioni di Canaan e ai diaconi ellenistici (Mt. 14,13-21 e 15,32-39; Mc. 6,30.44 e 8,1-9; Lc. 9,10-17; Gv. 6,11-13).

 

Prima di iniziare la sua predicazione, Gesù si ritira nel deserto e digiuna per quaranta giorni: il diavolo, come prima tentazione gli propone:

"se sei il Figlio di Dio, fa che queste pietre diventino pane …"

 

Gesù lo respinge dicendo:

"sta scritto, non di solo pane vivrà l’uomo" (Mt. 4,1-4; Lc. 4,3-4; Mc. 1,12-13).

 

Come molte volte, il messaggio di Gesù si collega alle scritture: in questo caso, al monito di Mosè al suo popolo:

"ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna che non conoscevi e che i tuoi padri non avevano conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di quanto esce dalla bocca del Signore…" (Dt. 8,2-3).

 

Il pane di vita

 

Dopo aver compiuto la moltiplicazione dei pani ed altri miracoli, Gesù si rivolge alla folla nella sinagoga di Cafarnao ed afferma:

"in verità vi dico, non Mosè vi ha dato il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero; il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo… Io sono il pane della vita, io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno…" (Gv. 6,32… 48).

 

E’ il discorso che prelude all’istituzione dell’Eucarestia nell’ultima cena (Mt. 26,26; Mc. 14,22; Lc. 22,19). Anche dopo la morte e risurrezione di Gesù, ad Emmaus, i discepoli lo riconoscono quando a tavola spezza il pane e lo dà a loro (Lc. 24,30).

   

 

  

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