OCTOSEGIMA ADVENIENS
Paolo VI
INTRODUZIONE
1. L’80 anniversario della pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum, il cui
messaggio continua ad ispirare l’azione per la giustizia sociale, ci spinge a
riprendere e a prolungare l’insegnamento del nostri predecessori, in risposta ai
nuovi bisogni di un mondo in trasformazione. La chiesa, infatti, cammina con
l’umanità e ne condivide la sorte nel corso della storia. Annunciando agli
uomini la buona novella dell’amore di Dio e della salvezza nel Cristo, essa
illumina la loro attività con la luce del vangelo, aiutandoli in tal modo a
corrispondere al divino disegno d’amore e a realizzare la pienezza delle loro
aspirazioni.
Appello universale a maggiore giustizia
2. Con fiducia, noi vediamo lo Spirito del Signore continuare la sua opera nel
cuore degli uomini e radunare dovunque comunità cristiane coscienti delle loro
responsabilità nella società. In tutti i continenti, tra tutte le razze, le
nazioni, le culture, in mezzo ad ogni sorta di condizioni, il Signore continua a
suscitare autentici apostoli del vangelo. Ci è stato dato di incontrarli, di
ammirarli, di incoraggiarli durante i nostri recenti viaggi. Abbiamo avvicinato
le folle e ascoltato i loro appelli, grida di miseria e di speranza al tempo
stesso.
In queste circostanze, i gravi problemi del nostro tempo ci sono apparsi con un
nuovo rilievo, come particolari, certo, a ciascuna regione, ma tuttavia comuni
ad una umanità che si interroga sul suo avvenire, sull’orientamento e il
significato dei mutamenti in corso. Differenze evidenti sussistono nello
sviluppo economico, culturale e politico delle nazioni: accanto a regioni
fortemente industrializzate, altre sono ancora allo stadio agricolo; accanto a
paesi che conoscono il benessere, altri lottano contro la fame; accanto a popoli
ad alto livello culturale, altri continuano ad occuparsi della eliminazione
dell’analfabetismo. Da ogni parte sale un’aspirazione a maggiore giustizia e si
alza il desiderio di una pace meglio assicurata, in un mutuo rispetto tra gli
uomini e tra i popoli.
Diversità di situazioni dei cristiani nel mondo
3. Certamente, molto diverse sono le situazioni in cui, volenti o nolenti, i
cristiani si trovano impegnati, a seconda dei paesi, dei sistemi socio-politici,
delle culture. In alcuni paesi essi sono ridotti al silenzio, tenuti in sospetto
e per così dire messi al margine della società, inquadrati senza libertà in un
sistema totalitario. Altrove essi rappresentano una debole minoranza, la cui
voce si fa difficilmente sentire. In altre nazioni, dove la chiesa ha una
situazione riconosciuta e talvolta in maniera ufficiale, essa stessa si trova
esposta ai contraccolpi della crisi che scuote la società, ed alcuni dei suoi
membri sono tentati da soluzioni radicali e violente, nella convinzione di
poterne sperare uno sbocco più felice. Mentre certuni, senza rendersi conto
delle ingiustizie presenti, si sforzano di prolungare la situazione esistente,
altri si lasciano sedurre da ideologie rivoluzionarie, che promettono, non senza
illusione, un mondo definitivamente migliore.
4. Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola
unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la
nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane
analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce
delle parole immutabili del vangelo, attingere principi di riflessione, criteri
di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della chiesa, quale
è stato elaborato nel corso della storia, e particolarmente in questa era
industriale, a partire dalla data storica del messaggio di Leone XIII "sulla
condizione degli operai", di cui abbiamo l’onore e la gioia di celebrare oggi
l’anniversario. Spetta alle comunità cristiane individuare, con l’assistenza
dello Spirito santo, - in comunione coi vescovi responsabili, e in dialogo con
gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà - le scelte
e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali,
politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi.
In questa ricerca dei cambiamenti da promuovere, i cristiani dovranno innanzi
tutto rinnovare la loro fiducia nella forza e nell’originalità delle esigenze
evangeliche. Il vangelo non è sorpassato per il fatto che è stato annunciato,
scritto e vissuto in un contesto socio-culturale differente. La sua ispirazione,
arricchita dall’esperienza vivente della tradizione cristiana lungo i secoli,
resta sempre nuova per la conversione degli uomini e per il progresso della vita
associata, senza che per questo si giunga a utilizzarla a vantaggio di scelte
temporali particolari, dimenticando il suo messaggio universale ed eterno.
Il messaggio specifico della chiesa
5. Nelle perturbazioni e incertezze dell’ora presente, la chiesa ha un messaggio
specifico da proclamare, un appoggio da offrire agli uomini nei loro sforzi per
prendere in mano ed orientare il proprio avvenire. Dall’epoca in cui la Rerum
novarum denunciava in maniera vigorosa e categorica lo scandalo della condizione
operaia nella nascente società industriale, l’evoluzione storica ha fatto
prendere coscienza di altre dimensioni e di altre applicazioni della giustizia
sociale, come già è stato costatato dalla Quadragesimo anno e dalla Mater et
magistra.
Il recente concilio, da parte sua, si è adoperato a rilevare tali dimensioni e
applicazioni, specialmente nella costituzione pastorale Gaudium et spes. Noi
stessi abbiamo prolungato questi orientamenti nell’enciclica Populorum
progressio: "Oggi il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prender
coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale". "Una
rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico impone alla
chiesa di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le
dimensioni di questo grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione
solidale in questa svolta della storia dell’umanità". Questo dovere di cui noi
abbiamo viva coscienza, ci spinge oggi a proporre alcune riflessioni e
suggerimenti, suscitati dall’ampiezza dei problemi posti al mondo contemporaneo.
6. Toccherà del resto al prossimo sinodo dei vescovi studiare, anch’esso, più da
vicino e approfondire la missione della chiesa dinanzi alle gravi questioni che
solleva oggi la giustizia nel mondo. Ma l’anniversario della Rerum novarum ci
offre, ora, l’occasione di confidare le nostre preoccupazioni e i nostri
pensieri su questo problema a lei, signor cardinale, nella sua qualità di
presidente della commissione "Iustitia et pax" e del consiglio dei laici. In
tale modo vogliamo anche incoraggiare questi organismi della santa sede nella
loro azione ecclesiale a servizio degli uomini.
Ampiezza dei mutamenti attuali
7. Il nostro scopo, senza peraltro dimenticare i problemi permanenti già
affrontati dai nostri predecessori, è di attirare l’attenzione su alcune
questioni, le quali, per la loro urgenza, la loro ampiezza e la loro
complessità, devono essere al centro delle preoccupazioni dei cristiani negli
anni prossimi, affinché, insieme con gli altri uomini, essi s’impegnino a
risolvere le nuove difficoltà che coinvolgono l’avvenire stesso dell’uomo.
Occorre collocare i problemi sociali posti dall’economia moderna condizioni
umane di produzione, equità negli scambi dei beni e nella ripartizione delle
ricchezze, significato degli accresciuti bisogni di consumo, attribuzione delle
responsabilità - in un contesto più largo di nuova civiltà. Nei mutamenti
attuali, così profondi e così rapidi, l’uomo si scopre nuovo ogni giorno e si
interroga sul senso del proprio essere e della sua sopravvivenza collettiva. Pur
esitando a raccogliere le lezioni di un passato ch’egli giudica chiuso e troppo
diverso, ha nondimeno bisogno di rischiarare il proprio avvenire - ch’egli sente
tanto insicuro quanto mutevole - con la luce di verità permanenti, eterne, che
di certo lo superano, ma di cui può, se lo vuole, trovare egli stesso le tracce.
I. NUOVI PROBLEMI SOCIALI
L’urbanesimo
8. Un fenomeno di grande importanza attira la nostra attenzione, sia nei paesi
industrializzati come nelle nazioni in via di sviluppo: l’urbanesimo. Dopo
lunghi secoli, la civiltà agricola va declinando. Ma si dedica sufficiente
attenzione al buon ordinamento e al miglioramento della vita dei rurali, la cui
condizione economica di inferiorità e talvolta di miseria provoca l’esodo verso
i tristi ammassamenti delle periferie, dove non troveranno né impiego né
alloggio?
L’esodo permanente dalle campagne, la crescita dell’industria, la continua
spinta demografica, l’attrazione dei centri urbani conducono a concentramenti di
popolazione, dei quali a fatica si riesce ad immaginare l’ampiezza, tanto che
già si parla di megalopoli, raggruppanti parecchie decine di milioni di
abitanti. Certo, ci sono delle città, la cui dimensione assicura un migliore
equilibrio della popolazione. In grado di offrire una occupazione ai rurali che
si rendessero disponibili a seguito dei progressi dell’agricoltura, esse
permettono un buon ordinamento dell’ambiente umano, tale da evitare la
diffusione del proletariato e l’ammassamento dei grandi agglomerati.
9. La crescita smisurata delle città accompagna l’espansione industriale, senza
identificarsi con essa. Basata sulla ricerca tecnologica e sulla trasformazione
della natura, l’industrializzazione prosegue senza sosta il suo cammino, dando
prova di una creatività inesauribile. Mentre talune imprese si sviluppano e si
concentrano, altre si spengono o si spostano, creando nuovi problemi sociali:
disoccupazione professionale o regionale, riqualificazione e mobilità delle
persone, adattamento permanente dei lavoratori, disparità di condizioni nei
diversi settori dell’industria. Utilizzando gli strumenti moderni della
pubblicità, una competizione senza limiti lancia instancabilmente nuovi prodotti
e cerca di attirare il consumatore, mentre i vecchi impianti industriali, ancora
in grado di produrre, diventano inutili. Mentre vasti strati di popolazione non
riescono ancora a soddisfare i loro bisogni primari, ci si sforza di crearne di
superflui. Ci si può allora chiedere, con ragione, se nonostante tutte le sue
conquiste, l’uomo non rivolga contro se stesso i risultati della sua attività.
Dopo aver affermato un necessario dominio sulla natura, non diventa ora schiavo
degli oggetti che produce?
I cristiani nella città
10. La nascita di una civiltà urbana, che accompagna la crescita della civiltà
industriale, non è, infatti, una vera sfida alla saggezza dell’uomo, alla sua
capacità organizzativa, alla sua immaginazione rispetto al futuro? Nel seno
della società industriale, l’urbanesimo sconvolge i modi di vita e le strutture
abituali dell’esistenza: la famiglia, il vicinato, i quadri stessi della
comunità cristiana. L’uomo sperimenta una nuova solitudine, non di fronte ad una
natura ostile, per dominare la quale ci sono voluti dei secoli, ma nella folla
anonima che lo circonda e in mezzo alla quale egli si sente come straniero.
Tappa indubbiamente irreversibile nello sviluppo delle società umane,
l’urbanesimo pone all’uomo difficili problemi: come dominarne la crescita,
regolarne l’organizzazione, ottenerne l’animazione per il bene di tutti? In
questa crescita disordinata nascono, infatti, nuovi proletariati. Essi si
installano nel cuore delle città, talora abbandonato dai ricchi; si accampano
nelle periferie, cintura di miseria che già assedia in una protesta ancora
silenziosa il lusso troppo sfacciato delle città consumistiche e sovente
scialacquatrici. Invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole,
la città sviluppa le discriminazioni e anche l’indifferenza; fomenta nuove forme
di sfruttamento e di dominio, dove certuni, speculando sulle necessità degli
altri, traggono profitti inammissibili. Dietro le facciate si celano molte
miserie, ignote anche ai più vicini; altre si ostentano dove intristisce la
dignità dell’uomo: delinquenza, criminalità, droga, erotismo.
11. Sono, in realtà, i più deboli le vittime delle condizioni di vita
disumanizzanti, che degradano le coscienze e nuocciono all’istituzione
familiare: la promiscuità degli alloggi popolari rende impossibile un minimo di
intimità; i giovani focolari attendono invano un’abitazione decente e a prezzo
accessibile, si demoralizzano e la loro unità può anche trovarsi compromessa; i
giovani fuggono da una casa troppo esigua e cercano nella strada delle
compensazioni e delle compagnie incontrollabili. È un grave dovere dei
responsabili cercare di dominare e di orientare questo processo.
È urgente ricostruire, a misura della strada, del quartiere, o del grande
agglomerato, il tessuto sociale in cui l’uomo possa soddisfare le esigenze della
sua personalità. Centri di interesse e di cultura devono essere creati o
sviluppati a livello di comunità e di parrocchie, in quelle diverse forme di
associazione, circoli ricreativi, luoghi di riunione, incontri spirituali
comunitari, in cui ciascuno, sottraendosi all’isolamento, ricreerà dei rapporti
fraterni.
12. Costruire oggi la città, luogo di esistenza degli uomini e delle loro
dilatate comunità, creare nuovi modi di contatto e di relazione, intravedere
un’applicazione originale della giustizia sociale, prendere la responsabilità di
questo avvenire collettivo che si annuncia difficile, è un compito al quale i
cristiani devono partecipare. Agli uomini ammassati in una promiscuità urbana
che diviene intollerabile, occorre portare un messaggio di speranza, attraverso
una fraternità vissuta ed una giustizia concreta. Che i cristiani, coscienti di
questa nuova responsabilità, non perdano coraggio davanti alla immensità della
città senza volto, ma si ricordino del profeta Giona, il quale percorse in lungo
e in largo Ninive, la grande città, per annunciarvi la buona novella della
misericordia divina, sostenuto nella sua debolezza dalla sola forza della parola
di Dio onnipotente. Nella bibbia, invero, la città è sovente il luogo del
peccato e dell’orgoglio: orgoglio di un uomo che si sente abbastanza sicuro per
costruire la sua vita senza Dio e persino per affermarsi potente contro di lui.
Ma essa è anche Gerusalemme, la città santa, il luogo dell’incontro con Dio, la
promessa della città che scende dall’alto.
I giovani
13. Vita urbana e mutazione industriale mettono d’altronde in viva luce delle
questioni finora mal percepite. Quale sarà, per esempio, il posto della donna e
quello dei giovani in questo mondo in gestazione? Dovunque si manifesta
difficile il dialogo tra una gioventù portatrice di aspirazione, di
rinnovamento, ed anche di insicurezza per l’avvenire, e le generazioni adulte.
Chi non vede, in ciò, la presenza di una fonte di gravi conflitti, di rotture,
di atteggiamenti rinunciatari, anche in seno alla famiglia, e il porsi di un
problema sui metodi dell’autorità, sull’educazione alla libertà, sulla
trasmissione di valori e di credenze, che tocca le radici profonde della
società?
Il posto della donna
Parimenti, in molti paesi, è oggetto di ricerche e talvolta di vive
rivendicazioni uno statuto della donna che faccia cessare una discriminazione
effettiva e stabilisca dei rapporti di uguaglianza nei diritti e il rispetto
della sua dignità. Non parliamo di quella falsa uguaglianza che negherebbe le
distinzioni poste dal Creatore, e che sarebbe in contraddizione con la funzione
specifica, così fondamentale, della donna tanto al centro del focolare come in
seno alla società. Al contrario, l’evoluzione delle legislazioni deve andare nel
senso della protezione della vocazione propria della donna stessa e, insieme,
del riconoscimento della sua indipendenza in quanto persona, dell’uguaglianza
dei suoi diritti in ordine alla partecipazione alla vita culturale, economica,
sociale e politica.
I lavoratori
14. La chiesa lo ha riaffermato solennemente nell’ultimo concilio: "La persona
umana è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le
istituzioni ". Ogni uomo ha diritto al lavoro, alla possibilità di sviluppare le
proprie qualità e la propria personalità nell’esercizio della sua professione,
ad un’equa rimunerazione che permetta "a lui e alla sua famiglia condurre una
vita degna sul piano materiale, sociale, culturale e spirituale", all’assistenza
in caso di bisogno per motivi di malattia o di età. Se, per la difesa di questi
diritti, le società democratiche accettano il principio del diritto sindacale,
esse non sono, peraltro, sempre aperte all’esercizio di tale diritto. Si deve
ammettere la funzione importante dei sindacati: essi hanno per scopo la
rappresentanza delle diverse categorie di lavoratori, la loro legittima
collaborazione all’incremento economico della società, lo sviluppo del senso
delle loro responsabilità per la realizzazione del bene comune. Tuttavia, la
loro azione non è priva di difficoltà: qua e là può manifestarsi la tentazione
di approfittare di una posizione di forza per imporre, segnatamente con lo
sciopero - il cui diritto come ultimo mezzo di difesa resta certamente
riconosciuto -, delle condizioni troppo pesanti per l’insieme della economia o
del corpo sociale, o per voler rendere efficaci delle rivendicazioni d’ordine
direttamente politico. Quando si tratta, in particolare, di pubblici servizi,
necessari alla vita quotidiana di un’intera comunità, bisognerà saper valutare
il limite oltre il quale il torto causato diventa inammissibile.
Le vittime dei mutamenti
15. Progressi sono già stati compiuti, per introdurre nei rapporti umani una
maggiore giustizia ed una più ampia partecipazione alle responsabilità. Ma in
questo campo immenso, molto resta ancora da fare. Occorre pertanto proseguire
attivamente nella riflessione, nella ricerca, negli esperimenti, sotto pena di
restare in ritardo rispetto alle legittime aspirazioni dei lavoratori, le quali
si vanno maggiormente affermando, mano a mano che si sviluppa la loro
formazione, la coscienza della loro dignità, il vigore delle loro
organizzazioni.
L’egoismo e il dominio sono, tra gli uomini, tentazioni permanenti. È pertanto
necessario un discernimento sempre più avvertito per cogliere alla radice le
situazioni frutto d’ingiustizia, e per instaurare progressivamente una giustizia
sempre meno imperfetta. Nei mutamenti industriali, che reclamano un adattamento
rapido e costante, coloro che vengono a trovarsi colpiti saranno più numerosi e
meno in grado di fare intendere le proprie voci. Verso questi nuovi "poveri" -
minorati e disadattati, vecchi, emarginati di origine diversa - si dirige
l’attenzione della chiesa, per riconoscerli, aiutarli, diffondere il loro posto
e la loro dignità in una società indurita dalle competizioni e dall’attrattiva
del successo.
Le discriminazioni
16. Nel numero delle vittime di situazioni d’ingiustizia quantunque il fenomeno,
purtroppo, non sia nuovo - si devono mettere coloro che sono oggetto di
discriminazione, di diritto o di fatto, a causa della loro razza, della loro
origine, del loro colore, della loro cultura, del loro sesso o della loro
religione. La discriminazione razziale riveste in questo momento un carattere di
più forte attualità, a motivo della tensione che essa solleva tanto all’interno
di certi paesi quanto sul piano internazionale. Con ragione gli uomini ritengono
ingiustificabile e rifiutano come inammissibile la tendenza a conservare o ad
introdurre una legislazione o dei comportamenti ispirati sistematicamente ai
pregiudizi razziali: i membri dell’umanità hanno la stessa natura e, di
conseguenza, la stessa dignità, con i medesimi diritti e doveri fondamentali, e
con identico destino soprannaturale. In seno ad una patria comune, tutti devono
essere uguali davanti alla legge, trovare uguale accesso alla vita economica,
culturale, civica, sociale, e beneficiare di una equa ripartizione della
ricchezza nazionale.
Diritto all’emigrazione
17. Pensiamo altresì alla situazione precaria di un grande numero di lavoratori
emigrati, la cui condizione di stranieri rende ancor più difficile, da parte dei
medesimi, ogni rivendicazione sociale, nonostante la loro reale partecipazione
allo sforzo economico del paese che li accoglie. È urgente che nei loro
confronti si sappia superare un atteggiamento strettamente nazionalistico, per
creare uno statuto che riconosca un diritto all’emigrazione, favorisca la loro
integrazione, faciliti la loro promozione professionale e consenta ad essi
l’accesso ad un alloggio decente, dove, occorrendo, possano essere raggiunti
dalle loro famiglie.
A questa categoria si aggiungono le popolazioni che, per trovare lavoro,
sottrarsi ad una catastrofe o ad un clima ostile, abbandonano le loro regioni e
si trovano sradicate presso altre genti. È dovere di tutti, e specialmente dei
cristiani, lavorare con energia per instaurare la fraternità universale, base
indispensabile di una giustizia autentica e condizione di una pace duratura:
"Non possiamo invocare Dio, Padre di tutti gli uomini, se rifiutiamo di
comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine
di Dio. La relazione dell’uomo con Dio Padre e quella dell’uomo con gli altri
uomini, suoi fratelli, sono tanto connesse che la Scrittura dice: "Chi non ama,
non conosce Dio" (1Gv 4,8)".
Creare impieghi
18. Con la crescita demografica che si avverte soprattutto nelle giovani
nazioni, il numero di coloro che non riescono a trovar lavoro e sono costretti
alla miseria o al parassitismo, andrà aumentando nei prossimi anni, a meno che
un risveglio della coscienza umana non dia vita a un movimento generale di
solidarietà attraverso una efficace politica di investimenti, di organizzazione
della produzione e della commerciabilità, come pure, del resto, di formazione.
Ci è nota l’attenzione dedicata a questi problemi nei consessi internazionali, e
vivamente auspichiamo che i loro membri non tardino a far seguire alle proprie
dichiarazioni un’azione concreta.
È inquietante costatare in questo campo una specie di fatalismo, che
s’impadronisce persino dei responsabili. Tale sentimento conduce talvolta a
soluzioni maltusiane, esaltate da un’attiva propaganda a favore della
contraccezione e dell’aborto. In simile critica situazione, occorre invece
affermare che la famiglia, senza la quale nessuna società può sussistere, ha
diritto ad una assistenza che le assicuri le condizioni di un sano sviluppo. "È
certo - dicevamo nella nostra enciclica Populorum progressio - che i poteri
pubblici, nell’ambito della loro competenza, possono intervenire, mediante la
diffusione di una appropriata informazione e l’adozione di misure adeguate,
purché siano conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta
libertà della coppia: perché il diritto al matrimonio e alla procreazione è un
diritto inalienabile, senza del quale non si dà dignità umana ".
19. In nessun’altra epoca come la nostra, l’appello all’immaginazione sociale è
stato così esplicito. Occorre dedicarvi sforzi di inventiva e capitali
altrettanto ingenti come quelli impiegati negli armamenti o nelle imprese
tecnologiche. Se l’uomo si lascia superare e non prevede in tempo l’emergere
delle nuove questioni sociali, queste diventeranno troppo gravi perché se ne
possa sperare una soluzione pacifica.
I mezzi di comunicazione sociale
20. Tra i principali mutamenti del nostro tempo, non vogliamo dimenticare di
sottolineare l’importanza crescente che assumono i mezzi di comunicazione
sociale e il loro influsso sulla trasformazione delle mentalità, delle
cognizioni, delle organizzazioni e della società stessa. Essi presentano
certamente degli aspetti positivi: per loro tramite, le informazioni di tutto il
mondo ci giungono quasi istantaneamente creando un contatto al di là delle
distanze ed elementi di unità tra gli uomini, e diventa altresì possibile una
più estesa diffusione della formazione e della cultura. Tuttavia, tali mezzi di
comunicazione sociale, per la loro stessa azione, costituiscono un nuovo potere.
Come allora non interrogarsi sui detentori reali di questo potere, sugli scopi
che essi perseguono e sui mezzi posti in opera, sulla ripercussione, infine,
della loro azione nei confronti dell’esercizio delle libertà individuali, tanto
nel settore politico e ideologico, come nella vita sociale, economica e
culturale? Gli uomini che detengono questo potere hanno una grave responsabilità
morale in rapporto alla verità delle informazioni che essi devono diffondere, in
rapporto ai bisogni e alle reazioni che fanno sorgere, e ai valori che
propongono. Di più, con la televisione si delinea un modo originale di
conoscenza e una nuova forma di civiltà: quella dell’immagine.
Naturalmente i poteri pubblici non possono ignorare né la crescente influenza
dei mezzi di comunicazione sociale, né i vantaggi o i rischi che il loro uso
comporta per lo sviluppo e l’autentico progresso della società civile. Essi
pertanto sono chiamati ad assolvere positivamente la loro funzione di servizio
al bene comune, dando il proprio incoraggiamento alle iniziative costruttive e
appoggiando i singoli cittadini e i gruppi nella loro azione di difesa dei
valori fondamentali della persona umana e della civile convivenza. D’altro canto
essi si adopereranno per evitare, mediante opportune misure, che si propaghi
quanto può intaccare il comune patrimonio dei valori sui quali si fonda il
genuino progresso della società.
L’ambiente naturale
21. Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini
che sono scelte per lui, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto
drammatica quanto inattesa dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza
bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia
di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non
soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e
rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che
l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà
essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda
l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare
la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità
di un destino diventato ormai comune.
II. ASPIRAZIONI FONDAMENTALI E CORRENTI DI IDEE
22. Al tempo stesso che il progresso scientifico e tecnico continua a
sconvolgere il paesaggio dell’uomo, i suoi modi di conoscenza, di lavoro, di
consumo e di relazione, una duplice aspirazione si esprime in questi nuovi
contesti, sempre più viva man mano che si sviluppano l’informazione e
l’educazione: aspirazione all’uguaglianza, aspirazione alla partecipazione: due
forme della dignità e della libertà dell’uomo.
Vantaggi e limiti dei riconoscimenti giuridici
23. Per far calare nei fatti e nelle strutture questa duplice aspirazione, dei
progressi sono stati compiuti nella enunciazione dei diritti dell’uomo e nella
ricerca di accordi internazionali per la loro applicazione. Ciononostante, le
inique discriminazioni - etniche, culturali, religiose, politiche - rispuntano
continuamente. Troppo spesso, in realtà, i diritti dell’uomo restano ignorati,
se non scherniti, ovvero il loro rispetto è puramente formale. In parecchi casi,
la legislazione è in ritardo sulla realtà delle situazioni. Necessaria, essa è
tuttavia insufficiente a stabilire i veri rapporti di giustizia e di
uguaglianza. Nell’insegnamento della carità, il vangelo ci inculca il rispetto
privilegiato dei poveri e della loro particolare situazione nella società: i più
favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più libertà i
propri beni a servizio degli altri. In effetti, se al di là delle norme
giuridiche manca un senso più profondo del rispetto e del servizio altrui, anche
l’uguaglianza davanti alla legge potrà servire di alibi a evidenti
discriminazioni, a sfruttamenti continuati, a disprezzi effettivi. Facendo
difetto una rinnovata educazione alla solidarietà, un’affermazione eccessiva di
uguaglianza può dar luogo a un individualismo dove ciascuno rivendica i propri
diritti, sottraendosi alla responsabilità del bene comune.
Chi non vede il contributo fondamentale, in questo campo, dello spirito
cristiano, il quale va incontro alla aspirazione dell’uomo ad essere amato?
"L’amore dell’uomo, primo valore nell’ordine terreno", assicura le condizioni
della pace, sia sociale che internazionale, affermando la nostra fraternità
universale.
La società politica
24. La duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione è diretta a
promuovere un tipo di società democratica. Diversi modelli sono proposti, taluni
vengono esperimentati; ma nessuno soddisfa del tutto, e la ricerca resta aperta
tra le tendenze ideologiche e pragmatiche. Il cristiano ha l’obbligo di
partecipare a questa ricerca e all’organizzazione e alla vita della società
politica. In quanto essere sociale, l’uomo costruisce il suo destino in una
serie di raggruppamenti particolari che esigono, come loro compimento e
condizione necessaria del loro sviluppo, una società più vasta, di carattere
universale: la società politica. Ogni attività particolare deve sistemarsi in
questa società allargata, e assumere, con ciò stesso, la dimensione del bene
comune. Ciò sottintende l’importanza dell’educazione alla vita associata, dove,
oltre l’informazione sui diritti di ciascuno, sia messo in luce il loro
necessario correlativo: il riconoscimento dei doveri nei confronti degli altri.
Il significato e la pratica del dovere sono condizionati dal dominio di sé, come
pure dall’accettazione delle responsabilità e dei limiti posti all’esercizio
della libertà dell’individuo o del gruppo.
25. L’azione politica - è necessario sottolineare che si tratta innanzi tutto di
un’azione e non di una ideologia? deve poggiare su un progetto di società,
coerente nei suoi mezzi concreti e nella sua ispirazione, alimentata a una
concezione totale della vocazione dello uomo e delle sue diverse espressioni
sociali. Non spetta né allo stato né a dei partiti politici, che sarebbero
chiusi su se stessi, di tentare d’imporre una ideologia, con mezzi che
sboccherebbero nella dittatura degli spiriti, la peggiore di tutte. È compito
dei raggruppamenti culturali e religiosi, nella libertà di adesione ch’essi
presuppongono, di sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per
le vie loro proprie, queste convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine
dell’uomo e della società. A tale riguardo, è opportuno ricordare il principio
proclamato dal concilio Vaticano II: " La verità s’impone soltanto con la forza
della stessa verità che penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore ".
Ideologie e libertà umana
26. Così il cristiano che vuol vivere la sua fede in un’azione politica intesa
come servizio, non può, senza contraddirsi, dare la propria adesione a sistemi
ideologici che si oppongono radicalmente o su punti sostanziali alla sua fede e
alla sua concezione dell’uomo: né all’ideologia marxista, al suo materialismo
ateo, alla sua dialettica di violenza e al modo con cui essa riassorbe la
libertà individuale nella collettività, negando insieme ogni trascendenza
all’uomo e alla sua storia, personale e collettiva; né all’ideologia liberale
che ritiene di esaltare la libertà individuale sottraendola ad ogni limite,
stimolandola con la ricerca esclusiva dell’interesse e del potere, e
considerando la solidarietà sociale come conseguenza più o meno automatica delle
iniziative individuali e non già quale scopo e criterio più vasto della validità
dell’organizzazione sociale.
27. È necessario sottolineare l’ambiguità che può celarsi in ogni ideologia
sociale? Talora essa riduce l’azione, politica o sociale, a una semplice
applicazione di una idea astratta, puramente teorica; talora è il pensiero che
diventa puro strumento al servizio dell’azione, quasi un semplice mezzo di
strategia. In ambedue i casi non è l’uomo che rischia di trovarsi alienato? La
fede cristiana si pone al di sopra e talvolta all’opposto delle ideologie in
quanto riconosce Dio, trascendente e creatore, che interpella, a tutti i livelli
della creazione, l’uomo quale essere responsabilmente libero.
28. Il pericolo sarebbe anche di aderire fondamentalmente a una ideologia che
non ha alla base una dottrina vera e organica, di rifugiarvisi come in una
spiegazione ultima e sufficiente di tutto, costruendosi così un nuovo idolo di
cui si accetta, talvolta senza prenderne coscienza, il carattere totalitario e
coercitivo. Si pensa di trovare così una giustificazione alla propria azione,
anche violenta, un adeguamento a un desiderio generoso di servizio; questo
desiderio resta, ma si lascia assorbire da un’ideologia la quale, anche se
propone certe vie di liberazione per l’uomo, finisce in ultima analisi per
asservirlo.
29. Se oggi si è potuto parlare di un regresso delle ideologie, ciò può indicare
che è venuto un tempo favorevole ad una apertura verso la trascendenza concreta
del cristianesimo; ma può indicare anche uno slittamento più accentuato verso un
nuovo positivismo: la tecnica generalizzata come forma dominante di attività,
come modo assorbente di esistere, e magari come linguaggio, senza che la
questione del suo significato sia realmente posta.
I movimenti storici
30. Ma al di fuori di questo positivismo che riduce l’uomo a una sola dimensione
- per quanto essa possa essere importante oggi -, e che in tal modo lo mutila,
il cristiano nella sua azione si imbatte in movimenti storici concreti usciti
dalle ideologie e, per un verso, distinti da esse. Già il nostro venerato
predecessore Giovanni XXIII, nella Pacem in terris, mostra la possibilità di
operare una distinzione: "Non si possono identificare, scrive egli, false
dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e
dell’uomo, con movimenti storici e finalità economiche, sociali, culturali e
politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e
da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una
volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti
suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non
possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a
mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella
misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti
delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e
meritevoli di approvazione?".
L’attività delle correnti socialiste
31. Oggi ci sono dei cristiani che si lasciano attirare dalle correnti
socialiste e dalle loro diverse evoluzioni. Essi cercano di riconoscervi talune
delle aspirazioni che portano in se stessi in nome della loro fede. Si sentono
inseriti in questo flusso storico, e vogliono svolgervi un’azione. Ora, secondo
i continenti e le culture, questa corrente storica assume forme diverse sotto
uno stesso vocabolo, anche se esso è stato e resta, in molti casi, ispirato da
ideologie incompatibili con la fede. Un attento discernimento si impone. Troppo
spesso i cristiani attratti dal socialismo tendono a idealizzarlo in termini
assai generici: volontà di giustizia, di solidarietà e di uguaglianza. Essi
rifiutano di riconoscere le costrizioni dei movimenti storici socialisti, che
rimangono condizionati dalle loro ideologie d’origine. Tra i vari livelli a cui
il socialismo si esprime - aspirazione generosa e ricerca di una società più
giusta, movimenti storici con organizzazione e scopo politici, ideologia con
pretesa di offrire una visione totale e autonoma dell’uomo -, bisogna stabilire
delle distinzioni, le quali guideranno le scelte concrete. Tuttavia queste
distinzioni non devono tendere a considerare i menzionati livelli come
completamente separati e indipendenti. Il legame concreto che, secondo le
circostanze, esiste fra essi deve essere lucidamente individuato, e tale
perspicacia permetterà ai cristiani di precisare il grado di impegno possibile
in questa direzione, una volta assicurati i valori, soprattutto di libertà, di
responsabilità e di apertura allo spirituale, che garantiscono lo sviluppo
integrale dell’uomo.
L’evoluzione storica del marxismo
32. Altri cristiani si chiedono anche se una evoluzione storica del marxismo non
possa autorizzare taluni accostamenti concreti. Essi rilevano in effetti un
certo sblocco del marxismo, che finora si presentava come un’ideologia unitaria,
esplicativa della totalità dell’uomo e del mondo nel suo processo di sviluppo, e
dunque atea. Al di fuori del confronto ideologico che separa ufficialmente i
diversi sostenitori del marxismo-leninismo nella loro rispettiva interpretazione
del pensiero dei fondatori, e al di fuori delle opposizioni aperte tra i sistemi
politici che a tale pensiero si rifanno, taluni stabiliscono distinzioni tra i
diversi livelli a cui il marxismo si esprime.
33. Per gli uni, il marxismo resta essenzialmente una prassi attiva della lotta
di classe. Esperimentando il vigore sempre presente e incessantemente rinascente
dei rapporti di dominio e di sfruttamento fra gli uomini, essi riducono il
marxismo soltanto a lotta, talvolta senz’altra prospettiva, lotta che bisogna
proseguire e anzi provocare in modo permanente. Per altri il marxismo è prima di
tutto l’esercizio collettivo del potere politico ed economico sotto la direzione
del partito unico, che si ritiene la sola espressione e il solo garante del bene
di tutti, negando agli individui e agli altri gruppi qualsiasi possibilità di
iniziativa e di scelta. A un terzo livello, il marxismo, sia o no al potere,
indica l’ideologia socialista che ha per base il materialismo storico e la
negazione di ogni trascendenza. Infine, il marxismo si presenta sotto la forma
più attenuata ma più seducente per lo spirito moderno, di attività scientifica,
di metodo rigoroso di analisi della realtà sociale e politica, di legame
razionale ed esperimentato dalla storia tra la conoscenza teorica e la prassi
della trasformazione rivoluzionaria. Benché questo tipo di analisi metta in
risalto certi aspetti della realtà a danno di altri e li interpreti in funzione
dell’ideologia, fornisce tuttavia a certuni, con uno strumento di lavoro, una
certezza preliminare all’azione, accompagnata dalla pretesa di decifrare con
metodo scientifico le spinte dell’evoluzione sociale.
34. Se attraverso il marxismo, come è concretamente vissuto, si possono
distinguere questi diversi aspetti e le questioni che essi pongono alla
riflessione e all’azione dei cristiani, sarebbe illusorio e pericoloso giungere
a dimenticare l’intimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare
gli elementi dell’analisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con
l’ideologia, entrare nella prassi della lotta di classe e della sua
interpretazione marxista trascurando di avvertire il tipo di società totalitaria
e violenta alla quale questo processo conduce.
L’ideologia liberale
35. Dall’altra parte si assiste ad un rinnovamento dell’ideologia liberale.
Questa corrente si afferma sia all’insegna dell’efficacia economica, sia come
difesa dell’individuo e contro le iniziative sempre più invadenti delle
organizzazioni e contro le tendenze totalitarie dei poteri politici. Certamente
l’iniziativa personale deve essere mantenuta e sviluppata. Ma i cristiani che
s’impegnano in questa direzione, non tendono, a loro volta, a idealizzare il
liberalismo, che diventa allora una esaltazione della libertà? Essi vorrebbero
un nuovo modello, più adatto alle condizioni attuali, e facilmente dimenticano
che alla sua stessa radice il liberalismo filosofico è un’affermazione erronea
dell’autonomia dell’individuo nella sua attività, nelle sue motivazioni,
nell’esercizio della sua libertà. Ciò significa che anche l’ideologia liberale
esige da parte loro un attento discernimento.
Il discernimento cristiano
36. In questo rinnovato accostamento delle diverse ideologie, il cristiano
attingerà alle sorgenti della sua fede e nell’insegnamento della chiesa i
principi e i criteri opportuni per evitare di lasciarsi sedurre e poi
rinchiudere in un sistema, i cui limiti e il cui totalitarismo rischiano di
apparirgli troppo tardi se egli non li ravvisa nelle loro radici. Al di là di
ogni sistema, senza per questo omettere l’impegno concreto al servizio dei
fratelli, egli affermerà, al centro stesso delle sue opzioni, l’originalità
dell’apporto cristiano a vantaggio di una trasformazione positiva della società.
Rinascita delle utopie
37. Meglio si comprendono oggi i lati deboli delle ideologie esaminando i
sistemi concreti nei quali esse cercano di realizzarsi. Socialismo burocratico,
capitalismo tecnocratico, democrazia autoritaria manifestano la difficoltà di
risolvere il grande problema umano della convivenza nella giustizia e nella
uguaglianza. In realtà, come potrebbero essi sfuggire al materialismo,
all’egoismo o alla violenza che fatalmente li accompagnano? Da dove viene la
contestazione che nasce un po’ ovunque, segno di un disagio profondo, mentre si
assiste alla rinascita di " utopie " che pretendono di risolvere il problema
politico delle società moderne con più efficacia delle ideologie? Sarebbe
pericoloso non ammetterlo: l’appello all’utopia è spesso un comodo pretesto per
chi vuole eludere i compiti concreti e rifugiarsi in un mondo immaginario.
Vivere in un futuro ipotetico rappresenta un facile alibi per sottrarsi a
responsabilità immediate. Bisogna però riconoscere che questa forma di critica
della società esistente stimola spesso l’immaginazione prospettica, ad un tempo
per percepire nel presente le possibilità ignorate che vi si trovano iscritte e
per orientare gli uomini verso un futuro nuovo; tramite la fiducia che dà alle
forze inventive dello spirito e del cuore umano essa sostiene la dinamica
sociale; e se non si nega a nessuna apertura, può anche incontrarsi con il
richiamo cristiano. Lo Spirito del Signore, che anima l’uomo rinnovato nel
Cristo, scompiglia senza posa gli orizzonti dove la sua intelligenza ama trovare
la propria sicurezza, e sposta i limiti dove si rinserrerebbe volentieri la sua
azione; egli è abitato da una forza che lo sollecita a sorpassare ogni sistema e
ogni ideologia. Nel cuore del mondo rimane il mistero dell’uomo che si scopre
figlio di Dio nel corso di un processo storico e psicologico, nel quale lottano
e si alternano costrizioni e libertà, pesantezza del peccato e soffio dello
Spirito.
Il dinamismo della fede cristiana trionfa allora sui gretti calcoli
dell’egoismo. Animato dalla potenza dello Spirito di Gesù Cristo, Salvatore
degli uomini, e sostenuto dalla speranza, il cristiano s’impegna nella
costruzione di una città umana, pacifica, giusta e fraterna, che sia un’offerta
gradita a Dio. in effetti " l’attesa di una terra nuova non deve indebolire ma
piuttosto stimolare l’impegno di coltivare la terra presente nella quale cresce
quel corpo della nuova famiglia umana che già riesce ad offrire una certa
prefigurazione del mondo futuro ".
L’interrogativo delle scienze sull’uomo
38. In questo mondo dominato dal mutamento scientifico e tecnico, che rischia di
trascinarlo verso un nuovo positivismo, sorge un altro dubbio ancora più
essenziale. Ecco che l’uomo, dopo essersi applicato a sottomettere razionalmente
la natura, si trova come imprigionato egli stesso nella morsa della sua
razionalità; a sua volta diventa oggetto di scienza. Le "scienze sull’uomo"
hanno raggiunto oggi uno slancio significativo. Da una parte esse sottopongono
ad un esame critico e radicale le cognizioni finora accettate dal momento che
queste cominciano ad apparire o troppo empiriche o troppo teoriche. D’altra
parte, la necessità metodologica e l’ "a priori" ideologico le conducono troppo
spesso a isolare, nella moltitudine delle situazioni, qualche comportamento
umano per darne una spiegazione che pretende di essere globale, o almeno una
interpretazione che si vorrebbe totalizzante a partire da un punto di vista
puramente quantitativo o fenomenologico. Questa riduzione scientifica tradisce
una pericolosa pretesa. Privilegiare così tale aspetto dell’analisi, significa
mutilare l’uomo e, sotto le apparenze di un processo scientifico, rendersi
incapaci di comprenderlo nella sua totalità.
39. Non bisogna essere meno attenti all’azione che le scienze sull’uomo possono
provocare dando origine alla elaborazione di modelli sociali da imporre poi come
tipi di condotta scientificamente provati. L’uomo può diventare allora oggetto
di manipolazioni che orientano i suoi desideri e i suoi bisogni, che modificano
i suoi comportamenti e persino il suo sistema di valori. Nessun dubbio che in
ciò c’è un grave pericolo per la società di domani e per l’uomo medesimo. Se
tutti sono d’accordo nella costruzione di una nuova società posta al servizio
degli uomini, ancora bisogna sapere di quale uomo si tratta.
40. Il sospetto delle scienze sull’uomo colpisce il cristiano più degli altri,
ma non lo trova disarmato. Qui va rintracciato, e noi lo scrivemmo già nella
Populorum Progressio, l’apporto specifico della chiesa alle civiltà: " In
comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle
insoddisfatte, la chiesa desidera aiutarle a raggiungere la loro piena
fioritura, e a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione
globale dell’uomo e dell’umanità ". Dovrebbe allora la chiesa contestare le
scienze sull’uomo nel loro cammino e denunciare la loro pretesa? Come per le
scienze della natura, la chiesa confida in questa ricerca e invita i cristiani
ad esservi attivamente presenti. Sollecitati dalla stessa esigenza scientifica e
dal desiderio di conoscere meglio l’uomo, ma pure illuminati dalla loro fede, i
cristiani dedicati alle scienze sull’uomo instaureranno un dialogo, che si
preannunzia fruttuoso, fra la chiesa e questo nuovo campo di scoperte. È
evidente che ogni disciplina scientifica non potrà afferrare, nella sua
specificità, che un aspetto parziale, sia pur vero, dell’uomo; la totalità e il
significato le sfuggono. Ma all’interno di questi limiti, le scienze sull’uomo
assicurano una funzione positiva che la chiesa volentieri riconosce. Esse
possono dilatare le prospettive della libertà umana offrendo un campo più largo
di quello che i condizionamenti già calcolati lasciavano prevedere. Potranno
anche aiutare la morale sociale e cristiana, che vedrà restringersi certamente
il suo campo allorché si tratta di proporre certi modelli sociali, mentre la sua
funzione di critica e di superamento diventerà più forte mostrando il carattere
relativo dei comportamenti e dei valori che tale società presentava come
definitivi e inerenti alla natura stessa dell’uomo. Condizione indispensabile e
insieme insufficiente di una scoperta migliore dell’umano, queste scienze sono
un linguaggio sempre più complesso, ma che dilata, più che non riempia, il
mistero del cuore dell’uomo e non dà la risposta completa e definitiva al
desiderio che sale dalle profondità del suo essere.
Ambiguità del progresso
41. Questa migliore conoscenza dell’uomo permette di meglio criticare e mettere
in luce una nozione fondamentale che sta alla base delle società moderne, sia
come spinta che come misura e obiettivo: il progresso. A partire dal secolo XIX
le società occidentali e parecchie altre al loro contatto hanno riposto la loro
speranza in un progresso continuamente rinnovato, indefinito. Questo progresso
appariva loro come lo sforzo di liberazione dell’uomo nei confronti delle
necessità della natura e delle coartazioni sociali; era la condizione e la
misura della libertà umana! Diffuso dai mezzi moderni d’informazione e dallo
stimolo del sapere e di consumi più estesi, il progresso diventa una ideologia
onnipresente. Tuttavia un dubbio nasce oggi sia sul suo valore sia sulla sua
riuscita. Che significa questa caccia inesorabile d’un progresso che sfugge ogni
volta che si è persuasi di averlo conquistato? Non dominato, esso lascia
insoddisfatti. Senza dubbio si sono denunziati, a giusto titolo, i limiti e
anche i danni d’una crescita economica puramente quantitativa, e ci si auspica
di raggiungere anche obiettivi di ordine qualitativo. La qualità e la verità dei
rapporti umani, il grado di partecipazione e di responsabilità sono non meno
significativi e importanti per il divenire della società, che la quantità e la
varietà dei beni prodotti e consumati. Superando la tentazione di volere tutto
misurare in termini di efficienza e di mercato, in rapporti di forza e
d’interessi, oggi l’uomo desidera sostituire sempre più a questi criteri
quantitativi l’intensità della comunicazione, la diffusione del sapere e della
cultura, il servizio reciproco, la concentrazione per uno scopo comune. Non
consiste il vero progresso nello sviluppo della coscienza morale che condurrà
l’uomo ad assumersi solidarietà allargate e ad aprirsi liberamente agli altri e
a Dio? Per un cristiano, il progresso si imbatte necessariamente nel mistero
escatologico della morte: la morte del Cristo e la sua risurrezione, l’impulso
dello Spirito del Signore aiutano l’uomo a situare la sua libertà creatrice e
riconoscente nella verità di ogni progresso, nella sola speranza che non delude.
III. I CRISTIANI DINNANZI AI NUOVI PROBLEMI
42. Davanti a tante nuove questioni, la chiesa fa uno sforzo di riflessione per
rispondere, nell’ambito che le è proprio, alla attesa degli uomini. Se oggi i
problemi appaiono inediti per la loro ampiezza e per la loro urgenza, è forse
l’uomo incapace di risolverli? Con tutta la sua dinamica l’insegnamento sociale
della chiesa accompagna gli uomini nella loro ricerca. Se esso non interviene
per autenticare una data struttura o per proporre un modello prefabbricato, non
si limita neppure a richiamare alcuni principi generali: esso si sviluppa
attraverso una riflessione condotta a contatto delle situazioni mutevoli di
questo mondo, sotto l’impulso del vangelo come fonte di rinnovamento, allorché
si accetta il suo messaggio nella sua totalità e nelle sue esigenze. Si sviluppa
altresì mediante la sensibilità propria della chiesa, sensibilità rafforzata da
una volontà disinteressata di servizio e dall’attenzione ai più poveri. Attinge
infine ad una ricca esperienza secolare che gli permette di assumere, nella
continuità delle sue preoccupazioni permanenti, l’innovazione ardita e
creatrice, richiesta dalla presente situazione del mondo.
Per una più grande giustizia
43. Resta ancora da instaurare una più grande giustizia nella ripartizione dei
beni, sia all’interno delle comunità nazionali che sul piano internazionale.
Negli scambi mondiali, bisogna superare i rapporti di forza, per giungere ad
accordi fondati sulla comune utilità. I rapporti di forza, infatti, non hanno
mai garantito la giustizia in modo durevole e vero, anche se in certi momenti
l’alternarsi delle posizioni può spesso permettere di trovare condizioni più
facili di dialogo. L’uso della forza provoca l’intervento di forze contrarie,
donde un clima di lotte che sfociano in situazioni estreme di violenza e in
abusi. Ma il dovere più importante della giustizia, e noi l’abbiamo spesso
affermato, è di consentire a ogni paese di promuovere il proprio sviluppo nel
quadro di una cooperazione esente da qualunque spirito di dominio, economico e
politico. Certamente è grande la complessità dei problemi sollevati
nell’intrecciarsi attuale delle interdipendenze; bisogna anche avere il coraggio
d’iniziare una revisione dei rapporti tra le nazioni (divisione internazionale
della produzione, struttura degli scambi, controllo dei profitti, sistema
monetario, senza dimenticare le azioni di solidarietà umana), di mettere in
questione i modelli di crescita delle nazioni ricche, di trasformare le
mentalità per aprirle alla priorità del dovere internazionale, di rinnovare gli
organismi internazionali in vista di una maggiore efficienza.
44. Sotto la spinta dei nuovi sistemi di produzione si fendono le frontiere
nazionali e si vedono apparire nuove potenze economiche, le imprese
multinazionali, che per la concentrazione e la flessibilità dei loro mezzi
possono applicare strategie autonome, in gran parte indipendenti dai poteri
politici nazionali, e perciò senza controllo dal punto di vista del bene comune.
Estendendo le loro attività, questi organismi privati possono condurre a una
nuova forma abusiva di dominio economico, sul piano sociale, culturale e anche
politico. La concentrazione eccessiva dei mezzi e dei poteri, già denunciata da
Pio XI in occasione del quarantesimo anniversario della Rerum novarum, prende
concretamente un nuovo volto.
Cambiamento dei cuori e delle strutture
45. Oggi gli uomini aspirano a liberarsi dal bisogno e dalla dipendenza. Ma
questa liberazione s’inizia con la libertà interiore che essi devono recuperare
dinanzi ai loro beni e ai loro poteri; essi mai vi riusciranno se non tramite un
amore che trascenda l’uomo, e, di conseguenza, tramite una effettiva
disponibilità al servizio. Altrimenti, e lo si vede fin troppo, anche le più
rivoluzionarie ideologie otterranno soltanto un cambio di padroni: insediati a
loro volta al potere, i nuovi padroni si circondano di privilegi, limitano le
libertà e permettono che si instaurino altre forme di ingiustizia.
Così, molti cominciano a interrogarsi sul modello stesso di società. Nelle
competizioni che le oppongono e le trascinano, l’ambizione di numerose nazioni è
d’impadronirsi della potenza tecnologica, economica, militare; essa contrasta
allora con l’assetto di strutture nelle quali il ritmo del progresso sia
regolato in funzione di una più grande giustizia, invece di accentuare le
disparità e di vivere in un clima di sfiducia e di lotta che compromette
continuamente la pace.
Significato cristiano dell’azione politica
46. Non è forse qui che appare un limite radicale dell’ economia? L’attività
economica, che è necessaria, può essere "sorgente di fraternità e segno della
Provvidenza" se posta al servizio dell’uomo; essa è l’occasione di scambi
concreti tra gli uomini, di diritti riconosciuti, di servizi resi, di dignità
affermata nel lavoro. Terreno spesso di confronto e di dominio, essa può
instaurare dialoghi e favorire cooperazioni. Tuttavia essa rischia di assorbire,
se eccede, le forze e la libertà. È la ragione per cui si palesa necessario il
passaggio dall’economia alla politica. È vero che sotto il termine "politica"
sono possibili molte confusioni che devono essere chiarite; ma ciascuno sente
che nel settore sociale ed economico, sia nazionale che internazionale, l’ultima
decisione spetta al potere politico.
Codesto, in quanto è il vincolo naturale e necessario per assicurare la coesione
del corpo sociale, deve avere per scopo la realizzazione del bene comune. Esso
agisce, nel rispetto delle legittime libertà degli individui, delle famiglie e
dei gruppi sussidiari, al fine di creare, efficacemente e a vantaggio di tutti,
le condizioni richieste per raggiungere il vero e completo bene dell’uomo, ivi
compreso il suo fine spirituale. Esso si muove nei limiti della sua competenza,
che possono essere diversi secondo i paesi e i popoli; e interviene sempre nella
sollecitudine della giustizia e della dedizione al bene comune, di cui ha la
responsabilità ultima. Tuttavia non elimina così il campo d’azione e le
responsabilità degli individui e dei corpi intermedi, onde questi concorrono
alla realizzazione del bene comune. in effetti, " l’oggetto di ogni intervento
in materia è di porgere aiuto ai membri del corpo sociale, non già di
distruggerli o di assorbirli ". Conforme alla propria vocazione, il potere
politico deve sapersi disimpegnare dagli interessi particolari per considerare
attentamente la propria responsabilità nei riguardi del bene di tutti, superando
anche i limiti nazionali. Prendere sul serio la politica nei suoi diversi
livelli - locale, regionale, nazionale e mondiale - significa affermare il
dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore
della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il
bene della città, della nazione, dell’umanità. La politica è una maniera
esigente - ma non è la sola - di vivere l’impegno cristiano al servizio degli
altri. Senza certamente risolvere ogni problema, essa si sforza di dare
soluzioni ai rapporti fra gli uomini. La sua sfera è larga e conglobante, ma non
esclusiva. Un atteggiamento invadente, tendente a farne un assoluto,
costituirebbe un grave pericolo. Pur riconoscendo l’autonomia della realtà
politica, i cristiani, sollecitati ad entrare in questo campo di azione, si
sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e il vangelo e di
dare, pur in mezzo ad un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e
collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e
disinteressato agli uomini.
Ripartizione delle responsabilità
47. Il passaggio alla dimensione politica esprime anche una richiesta attuale
dell’uomo: una ripartizione più grande delle responsabilità e delle decisioni.
Tale legittima aspirazione diventa più manifesta man mano che cresce il livello
culturale e aumenta il senso della libertà, e l’uomo si rende meglio conto che,
in un mondo aperto su un avvenire insicuro, le scelte d’oggi condizionano già la
vita di domani. Nella Mater et magistra, Giovanni XXIII sottolineava che
l’accesso alle responsabilità è una esigenza fondamentale dell’uomo, un
esercizio concreto della sua libertà, una via per il suo sviluppo, e indicava
come, nella vita economica e in particolare nella impresa, tale partecipazione
alle responsabilità debba essere assicurata. Oggi la sfera è più vasta,
estendendosi essa al settore sociale e politico dove deve essere istituita e
intensificata una ragionevole partecipazione alle responsabilità e alle
decisioni. Certo, le scelte proposte alla decisione sono sempre più complesse;
molteplici le considerazioni da tener presenti, aleatoria la previsione delle
conseguenze, anche se scienze nuove cercano di illuminare la libertà in questi
momenti importanti. Tuttavia, sebbene talvolta si impongano dei limiti, questi
ostacoli non devono rallentare una più diffusa partecipazione al formarsi delle
decisioni, come alle stesse scelte e al loro tradursi in atto. Per creare un
contrappeso all’invadenza della tecnocrazia, occorre inventare forme di moderna
democrazia non soltanto dando a ciascun uomo la possibilità di essere informato
e di esprimersi, ma impegnandolo in una responsabilità comune. I gruppi umani
così si trasformano a poco a poco in comunità di partecipazione e di vita.
La libertà, che si afferma troppo spesso come rivendicazione di autonomia
opponendosi alla libertà altrui, si sviluppa così nella sua realtà umana più
profonda: impegnarsi e prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute.
Ma, per il cristiano, è perdendosi in Dio che lo libera, che l’uomo trova una
vera libertà, rinnovata nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo.
IV. INVITO ALL’AZIONE
Necessità d’impegnarsi nell’azione
48. Nella sfera sociale la chiesa ha sempre voluto assicurare una duplice
funzione: illuminare gli spiriti per aiutarli a scoprire la verità e a scegliere
la via da seguire in mezzo alle differenti dottrine da cui il cristiano è
sollecitato; entrare nell’azione e diffondere, con una reale preoccupazione di
servizio e di efficienza, le energie del vangelo. Non è forse per essere fedele
a questa volontà che la chiesa ha inviato in missione apostolica tra i
lavoratori dei preti che, condividendo integralmente la condizione operaia,
ambiscono di esservi i testimoni della sollecitudine e della ricerca della
chiesa medesima?
È a tutti i cristiani che noi indirizziamo, di nuovo e in maniera urgente, un
invito all’azione. Nella nostra enciclica sullo sviluppo dei popoli, noi
insistevamo perché tutti si mettessero all’opera: "I laici devono assumere come
loro compito specifico il rinnovamento dell’ordine temporale. Se l’ufficio della
gerarchia è d’insegnare e di interpretare in modo autentico i principi morali da
seguire in questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e
senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito
cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della loro comunità
di vita ". Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e
quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni,
sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste
parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa
di coscienza più viva della propria responsabilità e da una azione effettiva. È
troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non
si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria
innanzi tutto la conversione personale. Questa umiltà di fondo toglierà
all’azione ogni durezza ed ogni settarismo ed eviterà altresì lo scoraggiamento
di fronte a un compito che appare smisurato. Il cristiano alimenta la propria
speranza sapendo innanzi tutto che il Signore è all’opera con noi nel mondo e
che attraverso il suo corpo che è la chiesa - e per essa in tutta l’umanità -
prosegue la redenzione compiuta sulla croce e che esplose in vittoria la mattina
della risurrezione; sapendo ancora che altri uomini sono all’opera per dar vita
ad azioni convergenti di giustizia e di pace; poiché dietro il velo
dell’indifferenza c’è nel cuore di ogni uomo una volontà di vita fraterna e una
sete di giustizia e di pace che si devono far fiorire.
49. In tal modo, nella diversità delle situazioni, delle funzioni, delle
organizzazioni, ciascuno deve precisare la propria responsabilità e individuare,
coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a partecipare. Coinvolto
in correnti diverse dove accanto a legittime aspirazioni s’insinuano
orientamenti più ambigui, il cristiano deve operare una cernita oculata ed
evitare di impegnarsi in collaborazioni non controllate e contrarie ai principi
di un autentico umanesimo, sia pure in nome di solidarietà effettivamente
sentite. Se infatti egli desidera avere una funzione specifica, come cristiano
in conformità alla sua fede - funzione che gli stessi increduli attendono da lui
- deve stare attento, nel suo impegno attivo, a elucidare le proprie
motivazioni, e a oltrepassare gli obiettivi perseguiti in una visione più
comprensiva, al fine di evitare il pericolo di particolarismi egoistici e di
totalitarismi oppressori.
Pluralismo delle opzioni
50. Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da
ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una
medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi. La chiesa invita tutti i
cristiani al duplice compito d’animazione e d’innovazione per fare evolvere le
strutture e adattarle ai veri bisogni presenti. Ai cristiani che sembrano, a
prima vista, opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede uno sforzo di
reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro; un esame
leale dei propri comportamenti e della loro rettitudine suggerirà a ciascuno un
atteggiamento di carità più profonda che, pur riconoscendo le differenze, crede
tuttavia alle possibilità di convergenza e di unità: "Ciò che unisce i fedeli è,
in effetti, più forte di ciò che li separa".
È vero che molti, inseriti nelle strutture e nei condizionamenti moderni, sono
determinati dalle loro abitudini mentali, dalle loro funzioni, quando non dalla
tutela degli interessi materiali. Taluni risentono così profondamente la
solidarietà delle classi e delle culture, che giungono a condividere senza
riserve ogni giudizio e ogni opzione del loro ambiente. Ciascuno avrà cura di
esaminare se stesso e di fare spuntare quella vera libertà nel Cristo che apre
all’universale in mezzo alle condizioni più particolari.
51. Anche qui le organizzazioni cristiane, nelle loro forme differenti, hanno
ugualmente una responsabilità di azione collettiva. Senza sostituirsi alle
istituzioni della società civile, esse devono esprimere a loro modo e superando
il loro particolarismo, le esigenze concrete della fede cristiana in una
trasformazione giusta, e quindi necessaria, della società. Oggi più che mai la
parola di Dio non potrà essere annunciata e ascoltata se ad essa non si
accompagna la testimonianza della potenza dello Spirito santo che opera
nell’azione dei cristiani posta al servizio dei fratelli, proprio su quei punti
dove sono in gioco la loro esistenza e il loro avvenire.
52. Confidandole queste riflessioni, noi abbiamo certamente coscienza, signor
cardinale, di non aver toccato tutti i problemi sociali che interessano oggi
l’uomo di fede e gli uomini di buona volontà. Le recenti dichiarazioni che noi
abbiamo fatto - alle quali si aggiunge il suo messaggio in occasione del lancio
del secondo decennio di sviluppo, concernente soprattutto i doveri della
collettività delle nazioni nella grave questione dello sviluppo integrale e
solidale dell’uomo - sono ancora presenti negli spiriti. Noi rivolgiamo adesso
le presenti considerazioni nell’intento di fornire al consiglio dei laici e alla
pontificia commissione "Iustitia et Pax" nuovi elementi, e, al tempo stesso,
un incoraggiamento per proseguire nel loro compito di "risvegliare il popolo di
Dio a una piena intelligenza della sua funzione nell’ora presente" e di
"promuovere l’apostolato sul piano internazionale". È con questi sentimenti che
noi le impartiamo, signor cardinale, la nostra benedizione apostolica.
Roma, S. Pietro, 14 maggio 1971, anno ottavo del nostro pontificato.