CENTESIMUS ANNUS
Giovanni Paolo II
INTRODUZIONE
1. I motivi di questa enciclica.
Il centenario della promulgazione dell'Enciclica del mio predecessore Leone XIII
di v.m., che inizia con le parole Rerum Novarum, segna una data di rilevante
importanza nella presente storia della Chiesa ed anche nel mio pontificato. Essa
infatti, ha avuto il privilegio di esser commemorata con solenni Documenti dai
Sommi Pontefici, a partire dal quarantesimo anniversario fino al novantesimo: si
può dire che il suo iter storico è stato ritmato da altri scritti che la
rievocavano ed insieme la attualizzavano. Nel fare altrettanto per il centesimo
anniversario su richiesta di numerosi Vescovi, istituzioni ecclesiali, centri di
studi, imprenditori e lavoratori, sia a titolo individuale che come membri di
associazioni, desidero anzitutto soddisfare il debito di gratitudine che
l'intera Chiesa ha verso il grande Papa e il suo "immortale Documento". Desidero
anche mostrare che la ricca linfa, che sale da quella radice, non si è esaurita
col passare degli anni, ma è anzi diventata più feconda. Ne danno testimonianza
le iniziative di vario genere che hanno preceduto, accompagnano e seguiranno
questa celebrazione, iniziative promosse dalle Conferenze episcopali, da
Organismi internazionali, da Università ed Istituti accademici, da Associazioni
professionali e da altre istituzioni e persone in tante parti del mondo.
2. Con l'Enciclica "Rerum Novarum" ha inizio in modo organico la "dottrina
sociale della Chiesa".
La presente Enciclica partecipa a queste celebrazioni per ringraziare Dio, dal
quale "discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto" (Gc 1, 17), poiché si è
servito di un Documento emanato cento anni or sono dalla Sede di Pietro,
operando nella Chiesa e nel mondo tanto bene e diffondendo tanta luce. La
commemorazione, che qui vien fatta, riguarda l'Enciclica leoniana ed insieme le
Encicliche e gli altri scritti dei miei predecessori, che hanno contribuito a
renderla presente e operante nel tempo, costituendo quella che sarebbe stata
chiamata "dottrina sociale", "insegnamento sociale", o anche "magistero sociale"
della Chiesa. Alla validità di tale insegnamento si riferiscono già due
Encicliche che ho pubblicato negli anni del mio pontificato: la Laborem exercens
sul lavoro umano e la Sollicitudo rei socialis sugli attuali problemi dello
sviluppo degli uomini e dei popoli.
3. Importanza attuale di una rilettura della "Rerum Novarum".
a) Invito alla lettura delle "cose nuove" di oggi.
Intendo ora proporre una "rilettura" dell'Enciclica leoniana, invitando a
"guardare indietro", al suo testo stesso per scoprire nuovamente la ricchezza
dei principi fondamentali, in essa formulati, per la soluzione della questione
operaia. Ma invito anche a "guardare intorno", alle "cose nuove", che ci
circondano ed in cui ci troviamo, per cosi dire, immersi, ben diverse dalle
"cose nuove" che contraddistinsero l'ultimo decennio del secolo passato. Invito,
infine, a "guardare al futuro", quando già s'intravede il terzo Millennio
dell'era cristiana, carico di incognite, ma anche di promesse. Incognite e
promesse che fanno appello alla nostra immaginazione e creatività, stimolando
anche la nostra responsabilità, quali discepoli dell'"unico maestro", Cristo (cfr.
Mt 23 8), nell'indicare la via, nel proclamare la verità e nel comunicare la
vita che è lui (cfr. Gv 14, 6).
b) La tradizione della Chiesa: un grande tesoro vivo e vitale anche oggi.
Così facendo, sarà confermato non solo il permanente valore di tale
insegnamento, ma si manifesterà anche il vero senso della Tradizione della
Chiesa, la quale, sempre viva e vitale, costruisce sopra il fondamento posto dai
nostri padri nella fede e, segnatamente, sopra quel che gli Apostoli trasmisero
alla Chiesa in nome di Gesù Cristo, il fondamento "che nessuno può sostituire" (cfr.
1 Cor 3, 11). Fu per la coscienza della sua missione di successore di Pietro che
Leone XIII si propose di parlare, e la stessa coscienza anima oggi il suo
successore. Come lui, e come i Pontefici prima e dopo di lui, mi ispiro
all'immagine evangelica dello "scriba divenuto discepolo del Regno dei cieli",
del quale il Signore dice che "è simile ad un padrone di casa, che dal suo
tesoro sa trarre cose nuove e cose antiche" (Mt 13, 52). Il tesoro è la grande
corrente della Tradizione della Chiesa, che contiene le "cose antiche", ricevute
e trasmesse da sempre, e permette di leggere le "cose nuove", in mezzo alle
quali trascorre la vita della Chiesa e del mondo. Di tali cose che
incorporandosi alla Tradizione, diventano antiche ed offrono occasioni e
materiale per il suo arricchimento e per l'arricchimento della vita di fede fa
parte anche l'operosità feconda di milioni e milioni di uomini, che, stimolati
dal Magistero sociale, si sono sforzati di ispirarsi ad esso in ordine al
proprio impegno nel mondo. Agendo individualmente, o variamente coordinati in
gruppi, associazioni ed organizzazioni, essi hanno costituito come un grande
movimento per la difesa della persona umana e la tutela della sua dignità, il
che nelle alterne vicende della storia ha contribuito a costruire una società
più giusta o, almeno, a porre argini e limiti all'ingiustizia.
c) Analisi di alcuni avvenimenti della storia recente.
La presente Enciclica mira a mettere in evidenza la fecondità dei principi
espressi da Leone XIII, i quali appartengono al patrimonio dottrinale della
Chiesa e, per tale titolo, impegnano l'autorità del suo Magistero. Ma la
sollecitudine pastorale mi ha spinto, altresì, a proporre l'analisi di alcuni
avvenimenti della storia recente. É superfluo rilevare che il considerare
attentamente il corso degli avvenimenti per discernere le nuove esigenze
dell'evangelizzazione fa parte del compito dei Pastori. Tale esame, tuttavia,
non intende dare giudizi definitivi, in quanto di per sé non rientra nell'ambito
specifico del Magistero.
PARTE PRIMA
TRATTI CARATTERISTICI DELLA "RERUM NOVARUM"
4. La grave contrapposizione della società in classi è il motivo di fondo
dell'Enciclica di Leone XIII.
a) Radicali mutamenti politici, economici, sociali e tecnici nella seconda metà
del secolo XIX.
Sul finire del secolo scorso la Chiesa si trovò di fronte ad un processo
storico, in atto già da qualche tempo, ma che raggiungeva allora un punto
nevralgico. Fattore determinante di tale processo fu un insieme di radicali
mutamenti avvenuti nel campo politico, economico e sociale, ma anche nell'ambito
scientifico e tecnico, oltre al multiforme influsso delle ideologie dominanti.
Risultato di questi cambiamenti era stata, in campo politico, una nuova
concezione della società e dello Stato e, di conseguenza, dell'autorità. Una
società tradizionale si dissolveva e cominciava a formarsene un'altra, carica
della speranza di nuove libertà, ma anche dei pericoli di nuove forme di
ingiustizia e servitù . In campo economico, dove confluivano le scoperte e le
applicazioni delle scienze, si era arrivati progressivamente a nuove strutture
nella produzione dei beni di consumo. Era apparsa una nuova forma di proprietà,
il capitale, e una nuova forma di lavoro, il lavoro salariato caratterizzato da
gravosi ritmi di produzione, senza i dovuti riguardi per il sesso, l'età o la
situazione familiare ma unicamente determinato dall'efficienza in vista
dell'incremento del profitto. Il lavoro diventava così una merce, che poteva
essere liberamente acquistata e venduta sul mercato ed il cui prezzo era
regolato dalla legge della domanda e dell'offerta, senza tener conto del minimo
vitale necessario per il sostentamento della persona e della sua famiglia. Per
di più, il lavoratore non aveva nemmeno la sicurezza di riuscire a vendere la
"propria merce", essendo continuamente minacciato dalla disoccupazione, la
quale, in assenza di previdenze sociali, significava lo spettro della morte per
fame. Conseguenza di questa trasformazione era "la divisione della società in
due classi separate da un abisso profondo"": tale situazione si intrecciava con
l'accentuato mutamento di ordine politico. Così la teoria politica allora
dominante cercava di promuovere, con leggi appropriate o, al contrario, con
voluta assenza di qualsiasi intervento, la totale libertà economica. Nello
stesso tempo, cominciava a sorgere in forma organizzata, e non poche volte
violenta, un'altra concezione della proprietà e della vita economica, che
implicava una nuova organizzazione politica e sociale.
b) L'Enciclica "Rerum Novarum" affronta in maniera organica la "questione
operaia".
Nel momento culminante di questa contrapposizione, quando ormai apparivano in
piena luce la gravissima ingiustizia della realtà sociale, quale esisteva in
molte parti, ed il pericolo di una rivoluzione favorita dalle concezioni allora
chiamate "socialiste", Leone XIII intervenne con un Documento che affrontava in
modo organico la "questione operaia". L'Enciclica era stata preceduta da altre,
dedicate piuttosto ad insegnamenti di carattere politico, mentre altre ancora
seguiranno più tardi. In questo contesto è da ricordare, in particolare,
l'Enciclica libertas praestantissimum, in cui era richiamato il legame
costitutivo della libertà umana con la verità, tale che una libertà che rifiuti
di vincolarsi alla verità scadrebbe in arbitrio e finirebbe col sottomettere se
stessa alle passioni più vili e con l'autodistruggersi. Da cosa derivano,
infatti, tutti i mali a cui la Rerum Novarum vuole reagire se non da una libertà
che, nel campo dell'attività economica e sociale si distacca dalla verità
dell'uomo? Il Pontefice si ispirava, inoltre, all'insegnamento dei predecessori,
nonché ai molti Documenti episcopali, agli studi scientifici promossi da laici
all'azione di movimenti e associazioni cattoliche ed alle concrete realizzazioni
in campo sociale, che contraddistinsero la vita della Chiesa nella seconda metà
del XIX secolo.
5. Al tempo della "Rerum Novarum" la società era caratterizzata dal conflitto
tra capitale e lavoro.
a) Leone XIII proclamò le condizioni fondamentali per sanare il conflitto.
Le "cose nuove", alle quali il Papa si riferiva, erano tutt'altro che positive.
Il primo paragrafo dell'Enciclica descrive le "cose nuove", che le han dato il
nome, con parole forti: "Una volta suscitata la brama di cose nuove, che da
tempo sta sconvolgendo gli Stati, ne sarebbe derivato come conseguenza che i
desideri di cambiamenti si trasferissero alla fine dall'ordine politico al
settore contiguo dell'economia. Difatti, i progressi incessanti dell'industria,
le nuove strade aperte dalle professioni, le mutate relazioni tra padroni e
operai. L'accumulo della ricchezza nelle mani di pochi, accanto alla miseria
della moltitudine; la maggiore coscienza che i lavoratori hanno acquistato di sé
e, di conseguenza, una maggiore unione tra essi ed inoltre il peggioramento dei
costumi, tutte queste cose hanno fatto scoppiare un conflitto". Il Papa, e con
lui la Chiesa, come anche la comunità civile, si trovavano di fronte ad una
società divisa da un conflitto, tanto più duro e inumano perché non conosceva
regola né norma. Era il conflitto tra il capitale e il lavoro, o come lo
chiamava l'Enciclica, la questione operaia, e proprio su di esso, nei termini
acutissimi in cui allora si prospettava, il Papa non esitò a dire la sua parola.
Si presenta qui la prima riflessione, che l'Enciclica suggerisce per il tempo
presente. Di fronte ad un conflitto che opponeva, quasi come "lupi", l'uomo
all'uomo fin sul piano della sussistenza fisica degli uni e dell'opulenza degli
altri, il Papa non dubitò di dover intervenire, in virtù del suo "ministero
apostolico", ossia della missione ricevuta da Gesù Cristo stesso di "pascere gli
agnelli e le pecorelle" (cfr. Gv 21, 15-17) e di "legare e sciogliere sulla
terra" per il Regno dei cieli (cfr. Mt 16, 19). Sua intenzione era certamente
quella di ristabilire la pace, e il lettore contemporaneo non può non notare la
severa condanna della lotta di classe, che egli pronunciava senza mezzi termini.
Ma era ben consapevole del fatto che la pace si edifica sul fondamento della
giustizia: contenuto essenziale dell'Enciclica fu appunto quello di proclamare
le condizioni fondamentali della giustizia nella congiuntura economica e sociale
di allora.
b) Insegnare una dottrina sociale è un compito della missione evangelizzatrice
della Chiesa.
In questo modo Leone XIII, sulle orme dei predecessori, stabiliva un paradigma
permanente per la Chiesa. Questa, infatti, ha la sua parola da dire di fronte a
determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e
internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le
permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di
indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano. Ai
tempi di Leone XIII una concezione del diritto-dovere della Chiesa era ben
lontana dall'essere comunemente ammessa. Prevaleva, infatti, una duplice
tendenza: l'una orientata a questo mondo ed a questa vita, alla quale la fede
doveva rimanere estranea; l'altra rivolta verso una salvezza puramente
ultraterrena, che però non illuminava né orientava la presenza sulla terra.
L'atteggiamento del Papa nel pubblicare la Rerum Novarum conferì alla Chiesa
quasi uno "statuto di cittadinanza" nelle mutevoli realtà della vita pubblica, e
ciò si sarebbe affermato ancor più in seguito. In effetti, per la Chiesa
insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione
evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale
dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra
il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo
Salvatore. Essa costituisce, altresì una fonte di unità e di pace dinanzi ai
conflitti che inevitabilmente insorgono nel settore economico-sociale. Diventa
in tal modo possibile vivere le nuove situazioni senza avvilire la trascendente
dignità della persona umana né in se stessi né negli avversari, ed avviarle a
retta soluzione.
c) L'annuncio della dottrina sociale della Chiesa è una componente della "nuova
evangelizzazione" del mondo moderno.
Ora, la validità di tale orientamento mi offre, a distanza di cento anni,
l'opportunità di dare un contributo all'elaborazione della dottrina sociale
cristiana. La "nuova evangelizzazione", di cui il mondo moderno ha urgente
necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti
essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa, idonea tuttora, come
ai tempi di Leone XIII, ad indicare la retta via per rispondere alle grandi
sfide dell'età contemporanea, mentre cresce il discredito delle ideologie. Come
allora, bisogna ripetere che non c'è vera soluzione della "questione sociale"
fuori del Vangelo e che, d'altra parte, le "cose nuove" possono trovare in esso
il loro spazio di verità e la dovuta impostazione morale.
6. La chiave di lettura della "Rerum Novarum": la dignità del lavoro e del
lavoratore in quanto
tale; il diritto alla proprietà privata nell'ambito della destinazione
universale dei beni della Terra.
Proponendosi di far luce sul conflitto che si era venuto a creare tra capitale e
lavoro, Leone XIII affermava i diritti fondamentali dei lavoratori. Per questo,
la chiave di lettura del testo leoniano è la dignità del lavoratore in quanto
tale e, per ciò stesso, la dignità del lavoro, che viene definito come
"l'attività umana ordinata a provvedere ai bisogni della vita, e specialmente
alla conservazione". Il Pontefice qualifica il lavoro come "personale", perché
"la forza attiva è inerente alla persona e del tutto propria di chi la esercita
ed al cui vantaggio fu data". Il lavoro appartiene così alla vocazione di ogni
persona; l'uomo, anzi, si esprime e si realizza nella sua attività di lavoro.
Nello stesso tempo, il lavoro ha una dimensione "sociale" per la sua intima
relazione sia con la famiglia, sia anche col bene comune, "poiché si può
affermare con verità che il lavoro degli operai è quello che produce la
ricchezza degli Stati". É quanto ho ripreso e sviluppato nell'Enciclica Laborem
exercens. Un altro principio rilevante è senza dubbio quello del diritto alla
"proprietà privata". Lo spazio stesso, che l'Enciclica gli dedica, rivela
l'importanza che gli si attribuisce. Il Papa è ben cosciente del fatto che la
proprietà privata non è un valore assoluto, né tralascia di proclamare i
principi di necessaria complementarità, come quello della destinazione
universale dei beni della Terra. D'altra parte, è senz'altro vero che il tipo di
proprietà privata, che egli precipuamente considera, è quello della proprietà
della terra. Ciò, tuttavia, non impedisce che le ragioni addotte per tutelare la
proprietà privata, ossia per affermare il diritto di possedere le cose
necessarie per lo sviluppo personale e della propria famiglia, quale che sia la
forma concreta che questo diritto può assumere, conservino oggi il loro
valore. Ciò deve essere nuovamente affermato sia di fronte ai cambiamenti, di
cui siamo testimoni, avvenuti nei sistemi dove imperava la proprietà collettiva
dei mezzi di produzione; sia anche di fronte ai crescenti fenomeni di povertà o,
più esattamente, agli impedimenti della proprietà privata, che si presentano in
tante parti del mondo, comprese quelle in cui predominano i sistemi che
dell'affermazione del diritto di proprietà privata fanno il loro fulcro. A
seguito di detti cambiamenti e della persistenza della povertà, si rivela
necessaria una più profonda analisi del problema, come sarà sviluppata più
avanti.
7. Un diritto preminente affermato nella "Rerum Novarum" è quello di creare
libere associazioni professionali.
In stretta relazione col diritto di proprietà l'Enciclica di Leone XIII afferma
parimenti altri diritti, come propri e inalienabili della persona umana. Tra
essi è preminente, per lo spazio che il Papa gli dedica e l'importanza che gli
attribuisce, il "diritto naturale dell'uomo" a formare associazioni private; il
che significa, anzitutto, il diritto a creare associazioni professionali di
imprenditori e operai, o di soli operai. Si coglie qui la ragione per cui la
Chiesa difende e approva la creazione di quelli che comunemente si chiamano
sindacati, non certo per pregiudizi ideologici, né per cedere a una mentalità di
classe, ma perché l'associarsi è un diritto naturale dell'essere umano e,
dunque, anteriore rispetto alla sua integrazione nella società politica.
Infatti, "non può lo Stato proibirne la formazione", perché "i diritti naturali
lo Stato deve tutelarli, non distruggerli. Vietando tali associazioni, esso
contraddice se stesso". Insieme con questo diritto, che è doveroso
sottolineare, il Papa riconosce esplicitamente agli operai o secondo il suo
linguaggio, ai "proletari", sono affermati con eguale chiarezza il diritto alla
"limitazione delle ore di lavoro", al legittimo riposo e ad un diverso
trattamento dei fanciulli e delle donne quanto al tipo e alla durata del lavoro.
Se si tiene presente ciò che dice la storia circa i procedimenti consentiti, o
almeno non esclusi legalmente, in ordine alla contrattazione senza alcuna
garanzia né quanto alle ore di lavoro, né quanto alle condizioni igieniche
dell'ambiente ed ancora senza riguardo per l'età e il sesso dei candidati
all'occupazione, ben si comprende la severa affermazione del Papa. "Non è giusto
né umano,egli scrive, esigere dall'uomo tanto lavoro, da farne per la troppa
fatica istupidire la mente e da fiaccarne il corpo". E con maggior precisione,
riferendosi al contratto, inteso a far entrare in vigore simili "relazioni di
lavoro", afferma: "In ogni convenzione stipulata tra padroni ed operai vi è
sempre la condizione o espressa o sottintesa" che si sia provveduto
convenientemente al riposo, proporzionato "alla somma delle energie consumate
nel lavoro"; poi conclude: "Un patto contrario sarebbe immorale".
8. Il "giusto salario" è un altro diritto dell'operaio enunciato nella "Rerum
Novarum".
a) Ogni uomo, come persona, ha diritto di procurarsi quanto è necessario per sé
e la sua famiglia, con il proprio lavoro.
Subito dopo il Papa enuncia un altro diritto dell'operaio in quanto persona. Si
tratta del diritto al "giusto salario" il quale non può essere lasciato "al
libero consenso delle parti: sicché il datore di lavoro, pagata la mercede, ha
fatto la sua parte, né sembra sia debitore di altro". Lo Stato, si diceva a quel
tempo, non ha potere di intervenire nella determinazione di questi contratti se
non per assicurare l'adempimento di quanto e stato esplicitamente pattuito. Una
simile concezione delle relazioni tra padroni e operai, puramente pragmatica ed
ispirata ad un rigoroso individualismo, viene severamente biasimata
nell'Enciclica, perché contraria alla duplice natura del lavoro, come fatto
personale e necessario. Poiché, se il lavoro, in quanto personale, rientra nella
disponibilità che ciascuno ha delle proprie facoltà ed energie in quanto
necessario è regolato dal grave obbligo che ciascuno ha di "conservarsi in
vita". "di qui nasce per necessaria conseguenza, conclude il Papa, il diritto di
procurarsi i mezzi di sostentamento, che per la povera gente si riducono al
salario del proprio lavoro". Il salario deve essere sufficiente a mantenere
l'operaio e la sua famiglia. Se il lavoratore, "costretto dalla necessità, o per
timore del peggio, accetta patti più duri perché imposti dal proprietario o
dall'imprenditore, e che volenti o nolenti debbono essere accettati, è chiaro
che subisce una violenza contro la quale la giustizia protesta".
b) Anche oggi gravi carenze nei rapporti tra capitale e lavoro.
Volesse Dio che queste parole, scritte mentre avanzava il cosiddetto
"capitalismo selvaggio", non debbano oggi essere ripetute con la medesima
severità. Purtroppo, si riscontrano ancora oggi casi di contratti tra padroni e
operai, nei quali è ignorata la più elementare giustizia in materia di lavoro
minorile o femminile, circa gli orari di lavoro, lo stato igienico dei locali e
l'equa retribuzione. E questo nonostante le Dichiarazioni e Convenzioni
internazionali al riguardo, e le stesse leggi interne degli Stati. Il Papa
attribuiva all'"autorità pubblica" lo "stretto dovere" di prendersi debita cura
del benessere dei lavoratori, perché non facendolo si offendeva la giustizia;
anzi, non esitava a parlare di "giustizia distributiva".
9. Anche il diritto dell'operaio al libero esercizio dei doveri religiosi fu
reclamato da Leone XIII.
A tali diritti Leone XIII ne aggiunge un altro, sempre a proposito della
condizione operaia, che desidero ricordare per l'importanza che ha: il diritto
di adempiere liberamente i doveri religiosi. Il Papa lo proclama nel contesto
degli altri diritti e doveri degli operai, nonostante il clima generale che,
anche ai suoi tempi, considerava certe questioni come attinenti esclusivamente
all'ambito privato. Egli afferma la necessità del riposo festivo, perché l'uomo
sia riportato al pensiero dei beni celesti e al culto dovuto alla maestà divina.
Di questo diritto, radicato in un comandamento, nessuno può privare l'uomo: "A
nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell'uomo, di cui Dio stesso
dispone con grande rispetto"; di conseguenza, lo Stato deve assicurare
all'operaio l'esercizio di tale libertà. Non sbaglierebbe chi in questa limpida
affermazione vedesse il germe del principio del diritto alla libertà religiosa,
divenuto poi oggetto di molte solenni Dichiarazioni e Convenzioni
internazionali, nonché della nota Dichiarazione conciliare e del mio ripetuto
insegnamento. Al riguardo, ci si deve domandare se gli ordinamenti legali
vigenti e la prassi delle società industrializzate assicurino oggi
effettivamente l'elementare diritto al riposo festivo.
10. Nel rapporto tra Stato e cittadini Leone XIII ha richiamato il principio
basilare cristiano della solidarietà.
a) La condanna di Leone XIII del socialismo e del liberalismo ci ricorda le
nuove forme di povertà esistenti oggi nel mondo.
Un'altra importante nota, ricca di insegnamenti per i nostri giorni, è la
concezione dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini. La Rerum Novarum critica i
due sistemi sociali ed economici: il socialismo e il liberalismo. Al primo è
dedicata la parte iniziale, nella quale si riafferma il diritto alla proprietà
privata; al secondo non è dedicata una speciale sezione, ma cosa meritevole di
attenzione, si riservano le critiche, quando si affronta il tema dei doveri
dello Stato. Questo non può limitarsi a "provvedere ad una parte dei cittadini",
cioè a quella ricca e prospera, e non può "trascurare l'altra", che rappresenta
indubbiamente la grande maggioranza del corpo sociale; altrimenti si offende la
giustizia, che vuole si renda a ciascuno il suo. "Tuttavia, nel tutelare questi
diritti dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri.
La classe dei ricchi, forte per se stessa, ha meno bisogno della pubblica
difesa; la classe proletaria, mancando di un proprio sostegno, ha speciale
necessità di cercarla nella protezione dello Stato. Perciò agli operai, che sono
nel numero dei deboli e bisognosi, lo Stato deve rivolgere di preferenza le sue
cure e provvidenze". Questi passi oggi hanno valore soprattutto di fronte alle
nuove forme di povertà esistenti nel mondo, anche perché sono affermazioni che
non dipendono da una determinata concezione dello Stato né da una particolare
teoria politica. Il Papa ribadisce un elementare principio di ogni sana
organizzazione politica, cioè che gli individui, quanto più sono indifesi in una
società, tanto più necessitano dell'interessamento e della cura degli altri e,
in particolare, dell'intervento dell'autorità pubblica.
b) Il concetto di "amicizia" nei rapporti sociali, richiamato da Leone XIII è un
principio fondamentale che oggi chiamiamo "solidarietà".
In tal modo il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà, e la cui validità,
sia nell'ordine interno a ciascuna Nazione, sia nell'ordine internazionale, ho
richiamato nella Sollicitudo rei socialis, si dimostra come uno dei principi
basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica. Esso
è più volte enunciato da Leone XIII col nome di "amicizia", che troviamo già
nella filosofia greca; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di
"carità sociale", mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e
molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di "civiltà dell'amore".
11. Dalla lettura dell'Enciclica di Leone XIII risulta la costante
preoccupazione e dedizione della Chiesa verso i poveri.
a) La "Rerum Novarum" è una Enciclica sui poveri. Lo Stato deve impegnarsi per
il bene di tutti.
La rilettura dell'Enciclica alla luce delle realtà contemporanee permette di
apprezzare la costante preoccupazione e dedizione della Chiesa verso quelle
categorie di persone, che sono oggetto di predilezione da parte del Signore Gesù.
Il contenuto del testo è un'eccellente testimonianza della continuità, nella
Chiesa, della cosiddetta "opzione preferenziale per i poveri", opzione che ho
definito come una " forma speciale di primato nell'esercizio della carità
cristiana". L'Enciclica sulla "questione operaia", dunque, è un'Enciclica sui
poveri e sulla terribile condizione, alla quale il nuovo e non di raro violento
processo di industrializzazione aveva ridotto grandi moltitudini. Anche oggi, in
gran parte del mondo, simili processi di trasformazione economica, sociale e
politica producono i medesimi mali. Se Leone XIII si appella allo Stato per
rimediare secondo giustizia alla condizione dei poveri, lo fa anche perché
riconosce opportunamente che lo Stato ha il compito di sovraintendere al bene
comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello
economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia
di ciascuno di essi. Ciò, però, non deve far pensare che per Papa Leone ogni
soluzione della questione sociale debba venire dallo Stato. Al contrario, egli
insiste più volte sui necessari limiti dell'intervento dello Stato e sul suo
carattere strumentale, giacché l'individuo, la famiglia e la società gli sono
anteriori ed esso esiste per tutelare i diritti dell'uno e delle altre, e non
già per soffocarli.
b) La corretta concezione della persona umana e del suo valore unico è il motivo
di fondo dell'Enciclica di Leone XIII.
A nessuno sfugge l'attualità di queste riflessioni. Sull'importante tema delle
limitazioni inerenti alla natura dello Stato converrà tornare più avanti;
intanto, i punti sottolineati, non certo gli unici dell'Enciclica, si pongono in
continuità nel Magistero sociale della Chiesa, anche alla luce di una sana
concezione della proprietà privata, del lavoro, del processo economico, della
realtà dello Stato e, prima di tutto, dell'uomo stesso. Altri temi saranno
menzionati in seguito nell'esaminare taluni aspetti della realtà contemporanea;
ma occorre tener presente fin d'ora che ciò che fa da trauma e, in certo modo,
da guida all'Enciclica ed a tutta la dottrina sociale della Chiesa, è la
corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto "
l'uomo... in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa". In
lui ha scolpito la sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1, 26), conferendogli una
dignità incomparabile, sulla quale più volte insiste l'Enciclica. In effetti, al
di là dei diritti che l'uomo acquista col proprio lavoro, esistono diritti che
non sono il corrispettivo di nessuna opera da lui prestata, ma che derivano
dall'essenziale sua dignità di persona.
PARTE SECONDA
VERSO LE "COSE NUOVE" DI OGGI
12. La condanna del "socialismo" nella "Rerum Novarum".
a) L'attuale crollo dell'ideologia comunista.
La commemorazione della Rerum Novarum non sarebbe adeguata, se non guardasse
pure alla situazione di oggi. Già nel suo contenuto il Documento si presta ad
una tale considerazione, perché il quadro storico e le previsioni ivi delineate
si rivelano, alla luce di quanto è accaduto in seguito, sorprendentemente
esatte. Ciò è confermato, in particolare, dagli avvenimenti degli ultimi mesi
dell'anno 1989 e dei primi del 1990. Essi e le conseguenti trasformazioni
radicali non si spiegano se non in base alle situazioni anteriori, le quali, in
certa misura, avevano cristallizzato o istituzionalizzato le previsioni di Leone
XIII ed i segnali, sempre più inquieti, avvertiti dai suoi successori. Papa
Leone, infatti, previde le conseguenze negative sotto tutti gli aspetti,
politico, sociale ed economico, di un ordinamento della società quale proponeva
il "socialismo", che allora era allo stadio di filosofia sociale e di movimento
più o meno strutturato. Qualcuno potrebbe meravigliarsi del fatto che il Papa
cominciava dal "socialismo" la critica delle soluzioni che si davano della
"questione operaia", quando esso non si presentava ancora, come poi accadde,
sotto la forma di uno Stato forte e potente con tutte le risorse a disposizione.
Tuttavia, egli valutò esattamente il pericolo che rappresentava per le masse
l'attraente presentazione di una soluzione tanto semplice quanto radicale della
questione operaia di allora. Ciò risulta tanto più vero, se vien considerato in
relazione con la paurosa condizione di ingiustizia in cui giacevano le masse
proletarie nelle Nazioni da poco industrializzate.
b) L'abolizione della proprietà privata è un errore fondamentale del comunismo o
"socialismo reale".
Occorre qui sottolineare due cose: da una parte, la grande lucidità nel
percepire, in tutta la sua crudezza, la reale condizione dei proletari, uomini,
donne e bambini; dall'altra, la non minore chiarezza con cui si intuisce il male
di una soluzione che, sotto l'apparenza di un'inversione delle posizioni di
poveri e ricchi andava in realtà a detrimento di quegli stessi che si
riprometteva di aiutare. Il rimedio si sarebbe così rivelato peggiore del male.
Individuando la natura del socialismo del suo tempo nella soppressione della
proprietà privata, Leone XIII arrivava al nodo della questione. Le sue parole
meritano di essere rilette con attenzione: "Per rimediare a questo male
(l'ingiusta distribuzione delle ricchezze e la miseria dei proletari), i
socialisti spingono i poveri all'odio contro i ricchi, e sostengono che la
proprietà privata deve essere abolita ed i beni di ciascuno debbono essere
comuni a tutti...; ma questa teoria, oltre a non risolvere la questione, non fa
che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi,
giacché contro i diritti dei legittimi proprietari snatura le funzioni dello
Stato e scompagina tutto l'ordine sociale". Non si potrebbero indicar meglio i
mali indotti dall'instaurazione di questo tipo di socialismo come sistema di
Stato: quello che avrebbe preso il nome di "socialismo reale".
13. L'errore del "socialismo" è di carattere antropologico.
a) L'uomo considerato una molecola dell'organismo sociale.
Approfondendo ora la riflessione e facendo anche riferimento a quanto è stato
detto nelle Encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis, bisogna
aggiungere che l'errore fondamentale del "socialismo" è di carattere
antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice
elemento ed una molecola dell'organismo sociale, di modo che il bene
dell'individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo
economico-sociale, mentre ritiene d'altro canto, che quel medesimo bene possa
essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed
esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male. L'uomo così è
ridotto ad una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona
come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale
decisione l'ordine sociale. Da questa errata concezione della persona discendono
la distorsione del diritto che definisce la sfera di esercizio della libertà,
nonché l'opposizione alla proprietà privata. l'uomo, infatti, privo di qualcosa
che possa "dir suo" e della possibilità di guadagnarsi da vivere con la sua
iniziativa, viene a dipendere dalla macchina sociale e da coloro che la
controllano: il che gli rende molto più difficile riconoscere la sua dignità di
persona ed inceppa il cammino per la costituzione di un'autentica comunità
umana. Al contrario, dalla concezione cristiana della persona segue
necessariamente una visione giusta della società. Secondo la Rerum Novarum e
tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità dell'uomo non si esaurisce
nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla
famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che,
provenienti dalla stessa natura umana, hanno sempre dentro il bene comune la
loro propria autonomia. É quello che ho chiamato la "soggettività" della società
che, insieme alla soggettività dell'individuo, e stata annullata dal "socialismo
reale".
b) La prima causa dell'errata concezione dell'uomo è l'ateismo e il razionalismo
illuministico.
Se ci si domanda poi donde nasca quell'errata concezione della natura della
persona e della "soggettività" della società, bisogna rispondere che la prima
causa è l'ateismo. É nella risposta all'appello di Dio, contenuto nell'essere
delle cose, che l'uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità. Ogni
uomo deve dare questa risposta, nella quale consiste il culmine della sua
umanità, e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo può sostituirlo. La
negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a
riorganizzare l'ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della
persona. L'ateismo di cui si parla, del resto, è strettamente connesso col
razionalismo illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo
meccanicistico. Si negano in tal modo l'intuizione ultima circa la vera
grandezza dell'uomo, la sua trascendenza rispetto al mondo delle cose, la
contraddizione ch'egli avverte nel suo cuore tra il desiderio di una pienezza di
bene e la propria inadeguatezza a conseguirlo e, soprattutto, il bisogno di
salvezza che ne deriva.
14. Dall'ateismo deriva anche la scelta della "lotta di classe" da non
confondere con la "lotta per la giustizia sociale".
Dalla medesima radice ateistica scaturisce anche la scelta dei mezzi di azione
propria del "socialismo", che è condannato nella Rerum Novarum. Si tratta della
lotta di classe. Il Papa, beninteso, non intende condannare ogni e qualsiasi
forma di conflittualità sociale: la Chiesa sa bene che nella storia i conflitti
di interessi tra diversi gruppi sociali insorgono inevitabilmente e che di
fronte ad essi il cristiano deve spesso prender posizione con decisione e
coerenza. L'Enciclica Laborem exercens, del resto, ha riconosciuto chiaramente
il ruolo positivo del conflitto, quando esso si configuri come "lotta per la
giustizia sociale"; e già la Quadragesimo anno scriveva: "la lotta di classe,
infatti, quando si astenga dagli atti di violenza e dall'odio vicendevole, si
trasforma a poco a poco in una onesta discussione, fondata nella ricerca della
giustizia". Ciò che viene condannato nella lotta di classe è, piuttosto, l'idea
di un conflitto che non è limitato da considerazioni di carattere etico o
giuridico, che si rifiuta di rispettare la dignità della persona nell'altro (e,
di conseguenza, in se stesso), che esclude, perciò, un ragionevole accomodamento
e persegue non già il bene generale della società bensì un interesse di parte
che si sostituisce al bene comune e vuol distruggere ciò che gli si oppone. Si
tratta, in una parola, della ripresentazione, sul terreno del confronto interno
tra i gruppi sociali, della dottrina della "guerra totale", che il militarismo e
l'imperialismo di quell'epoca imponevano nell'ambito dei rapporti
internazionali. Tale dottrina alla ricerca del giusto equilibrio tra gli
interessi delle diverse Nazioni sostituiva quella dell'assoluto prevalere della
propria parte mediante la distruzione del potere di resistenza della parte
avversa, distruzione attuata con ogni mezzo, non esclusi l'uso della menzogna,
il terrore contro i civili, le armi di sterminio (che proprio in quegli anni
cominciavano ad essere progettate). Lotta di classe in senso marxista e
militarismo, dunque, hanno le stesse radici: l'ateismo e il disprezzo della
persona umana, che fan prevalere il principio della forza su quello della
ragione e del diritto.
15. La "Rerum Novarum" si oppone sia alla statalizzazione, che alla
liberalizzazione incontrollata.
La Rerum Novarum si oppone alla statalizzazione degli strumenti di produzione
che ridurrebbe ogni cittadino ad un "pezzo" nell'ingranaggio della macchina
dello Stato. Non meno decisamente essa critica la concezione dello Stato che
lascia il settore dell'economia totalmente al di fuori del suo campo di
interesse e di azione. Esiste certo una legittima sfera di autonomia dell'agire
economico, nella quale lo Stato non deve entrare. Questo, però ha il compito di
determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti
economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un'economia
libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse
non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in
schiavitù.
a) Necessità di garantire il lavoro a tutti, di assicurare un salario equo,
orari "umani" di lavoro e di riposo.
A questo riguardo, la Rerum Novarum indica la via delle giuste riforme, che
restituiscano al lavoro la sua dignità di libera attività dell'uomo. Esse
implicano un'assunzione di responsabilità da parte della società e dello Stato,
diretta soprattutto a difendere il lavoratore contro l'incubo della
disoccupazione. Ciò storicamente si è verificato in due modi convergenti: o con
politiche economiche, volte ad assicurare la crescita equilibrata e la
condizione di piena occupazione; o con le assicurazioni contro la disoccupazione
e con politiche di riqualificazione professionale, capaci di facilitare il
passaggio dei lavoratori da settori in crisi ad altri in sviluppo. Inoltre, la
società e lo Stato devono assicurare livelli salariali adeguati al mantenimento
del lavoratore e della sua famiglia, inclusa una certa capacità di risparmio.
Ciò richiede sforzi per dare ai lavoratori cognizioni e attitudini sempre
migliori e tali da rendere il loro lavoro più qualificato e produttivo; ma
richiede anche un'assidua sorveglianza ed adeguate misure legislative per
stroncare fenomeni vergognosi di sfruttamento, soprattutto a danno dei
lavoratori più deboli, immigrati o marginali. Decisivo in questo settore è il
ruolo dei sindacati, che contrattano i minimi salariali e le condizioni di
lavoro. Infine, bisogna garantire il rispetto di orari "umani" di lavoro e di
riposo, oltre che il diritto di esprimere la propria personalità sul luogo di
lavoro, senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella
propria dignità. Anche qui è da richiamare il ruolo dei sindacati non solo come
strumenti di contrattazione, ma anche come "luoghi" di espressione della
personalità dei lavoratori: essi servono allo sviluppo di un'autentica cultura
del lavoro ed aiutano i lavoratori a partecipare in modo pienamente umano alla
vita dell'azienda.
b) Lo Stato deve intervenire secondo il principio di sussidiarietà e di
solidarietà.
Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che
indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando
le condizioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica, che porti
ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza.
Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più
debole alcuni limiti all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di
lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato.
L'Enciclica ed il Magistero sociale, ad essa collegato ebbero una molteplice
influenza negli anni tra il XIX e il XX secolo. Tale influenza si riflette in
numerose riforme introdotte nei settori della previdenza sociale, delle
pensioni, delle assicurazioni contro le malattie, della prevenzione degli
infortuni, nel quadro di un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori.
16. Il ruolo importante del movimento operaio per la riforma. Notevole il
contributo dei cristiani.
Le riforme in parte furono realizzate dagli Stati ma nella lotta per ottenerle
ebbe un ruolo importante l'azione del Movimento operaio. Nato come reazione
della coscienza morale contro situazioni di ingiustizia e di danno, esso esplicò
una vasta attività sindacale, riformista, lontana dalle nebbie dell'ideologia e
più vicina ai bisogni quotidiani dei lavoratori e, in questo ambito, i suoi
sforzi si sommarono spesso a quelli dei cristiani per ottenere il miglioramento
delle condizioni di vita dei lavoratori. In seguito, tale movimento fu, in certa
misura, dominato proprio da quella ideologia marxista, contro la quale si
volgeva la Rerum Novarum. Le stesse riforme furono anche il risultato di un
libero processo di auto-organizzazione della società, con la messa a punto di
strumenti efficaci di solidarietà, atti a sostenere una crescita economica più
rispettosa dei valori della persona. É da ricordare qui la multiforme attività
con un notevole contributo dei cristiani nella fondazione di cooperative di
produzione, di consumo e di credito nel promuovere l'istruzione popolare e la
formazione professionale, nella sperimentazione di varie forme di partecipazione
alla vita dell'impresa e, in generale, della società. Se dunque, guardando al
passato, c'è motivo di ringraziare Dio perché la grande Enciclica non è rimasta
priva di risonanza nei cuori ed ha spinto ad una fattiva generosità, tuttavia
bisogna riconoscere che l'annuncio profetico, in essa contenuto, non è stato
compiutamente accolto dagli uomini di quel tempo, e proprio da ciò sono derivate
assai gravi sciagure.
17. La mancanza di rispetto dei diritti altrui ha determinato e determina
guerre, violenze e stermini di popoli.
Leggendo l'Enciclica in connessione con tutto il ricco Magistero leoniano, si
nota come essa indichi, in fondo, le conseguenze sul terreno economico-sociale
di un errore di più vasta portata. L'errore, come si è detto, consiste in una
concezione della libertà umana che la sottrae all'obbedienza alla verità e,
quindi, anche al dovere di rispettare i diritti degli altri uomini. Contenuto
della libertà diventa allora l'amore di sé fino al disprezzo di Dio e del
prossimo, amore che conduce all'affermazione illimitata del proprio interesse e
non si lascia limitare da alcun obbligo di giustizia. Proprio questo errore
giunse alle estreme conseguenze nel tragico ciclo delle guerre che sconvolsero
l'Europa ed il mondo tra il 1914 e il 1945. Furono guerre derivanti dal
militarismo e dal nazionalismo esasperato e dalle forme di totalitarismo, ad
essi collegate, e guerre derivanti dalla lotta di classe, guerre civili ed
ideologiche. Senza la terribile carica di odio e di rancore, accumulata a causa
delle tante ingiustizie sia a livello internazionale che a quello interno ai
singoli Stati, non sarebbero state possibili guerre di tale ferocia, in cui
furono investite le energie di grandi Nazioni, in cui non si esitò davanti alla
violazione dei diritti umani più sacri, e fu pianificato ed eseguito lo
sterminio di interi popoli e gruppi sociali. Ricordiamo qui, in particolare, il
popolo ebreo, il cui terribile destino e divenuto simbolo dell'aberrazione cui
può giungere l'uomo, quando si volge contro Dio. Tuttavia, l'odio e
l'ingiustizia si impossessano di intere Nazioni e le spingono all'azione solo
quando vengono legittimati ed organizzati da ideologie che si fondano su di essi
piuttosto che sulla verità dell'uomo. La Rerum Novarum combatteva le ideologie
dell'odio ed indicava le vie per distruggere la violenza ed il rancore mediante
la giustizia. Possa il ricordo di quei terribili avvenimenti guidare le azioni
di tutti gli uomini e, in particolare, dei reggitori dei popoli nel nostro
tempo, in cui altre ingiustizie alimentano nuovi odi e si delineano
all'orizzonte nuove ideologie che esaltano la violenza.
18. La vera pace non è mai il risultato della vittoria militare.
a) Una lucida esposizione della difficile situazione derivante dai due blocchi
che per oltre 40 anni si sono fiancheggiati.
Certo, dal 1945 le armi tacciono nel Continente europeo; tuttavia, la vera
pace, si ricordi, non è mai il risultato della vittoria militare, ma implica il
superamento delle cause della guerra e l'autentica riconciliazione tra i popoli.
Per molti anni, invece, si è avuta in Europa e nel mondo una situazione di
non-guerra più che di autentica pace. Metà del Continente è caduta sotto il
dominio della dittatura comunista, mentre l'altra metà si organizzava per
difendersi contro un tale pericolo. Molti popoli perdono il potere di disporre
di se stessi, vengono chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si
cerca di distruggere la loro memoria storica e la secolare radice della loro
cultura. Masse enormi di uomini, in conseguenza di questa divisione violenta,
sono costrette ad abbandonare la loro terra e forzatamente deportate.
b) Condanna della corsa agli armamenti e della logica dei blocchi.
Una folle corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo
delle economie interne e per l'aiuto alle Nazioni più sfavorite. Il progresso
scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell'uomo,
viene trasformato in uno strumento di guerra: scienza e tecnica sono usate per
produrre armi sempre più perfezionate e distruttive, mentre ad un'ideologia, che
è perversione dell'autentica filosofia, si chiede di fornire giustificazioni
dottrinali per la nuova guerra. E questa non è solo attesa e preparata, ma è
anche combattuta con enorme spargimento di sangue in varie parti del mondo. La
logica dei blocchi, o imperi, denunciata nei Documenti della Chiesa e di recente
nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, fa sì che le controversie e discordie
insorgenti nei Paesi del Terzo Mondo siano sistematicamente incrementate e
sfruttate per creare difficoltà all'avversario.
c) La precarietà della pace dopo la seconda guerra mondiale e la minaccia di una
guerra atomica.
I gruppi estremisti, che cercano di risolvere tali controversie con le armi,
trovano facilmente appoggi politici e militari, sono armati ed addestrati alla
guerra, mentre coloro che si sforzano di trovare soluzioni pacifiche ed umane,
nel rispetto dei legittimi interessi di tutte le parti, rimangono isolati e
spesso cadono vittima dei loro avversari. Anche la militarizzazione di tanti
Paesi del Terzo Mondo e le lotte fratricide che li hanno travagliati, la
diffusione del terrorismo e di mezzi sempre più barbari di lotta
politico-militare trovano una delle loro principali cause nella precarietà della
pace che è seguita alla seconda guerra mondiale. Su tutto il mondo, infine,
grava la minaccia di una guerra atomica, capace di condurre all'estinzione
dell'umanità. La scienza, usata a fini militari, pone a disposizione dell'odio,
incrementato dalle ideologie, lo strumento decisivo. Ma la guerra può terminare
senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna
ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione
dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso
e di avanzamento della storia. Quando si comprende la necessità di questo
ripudio, devono necessariamente entrare in crisi sia la logica della "guerra
totale" sia quella della "lotta di classe".
19. Le condizioni dell'umanità dopo la seconda guerra mondiale. Conseguenze
dell'estendersi del totalitarismo comunista.
Alla fine della seconda guerra mondiale però, un tale sviluppo è ancora in
formazione nelle coscienze, ed il dato che si impone all'attenzione è
l'estensione del totalitarismo comunista su oltre metà dell'Europa e su parte
del mondo. La guerra che avrebbe dovuto restituire la libertà e restaurare il
diritto delle genti, si conclude senza aver conseguito questi fini, anzi in un
modo che per molti popoli, specialmente per quelli che più avevano sofferto,
apertamente li contraddice. Si può dire che la situazione venutasi a creare ha
dato luogo a diverse risposte.
a) Sforzi per la costituzione di una società democratica e ispirata alla
giustizia sociale, come contrapposizione al comunismo.
In alcuni Paesi e sotto alcuni aspetti si assiste ad uno sforzo positivo per
ricostruire, dopo le distruzioni della guerra, una società democratica e
ispirata alla giustizia sociale, la quale priva il comunismo del potenziale
rivoluzionario costituito da moltitudini sfruttate e oppresse. Tali tentativi in
genere cercano di mantenere i meccanismi del libero mercato, assicurando
mediante la stabilità della moneta e la sicurezza dei rapporti sociali le
condizioni di una crescita economica stabile e sana, in cui gli uomini col loro
lavoro possano costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli. Al
tempo stesso, essi cercano di evitare che i meccanismi di mercato siano l'unico
termine di riferimento della vita associata e tendono ad assoggettarli ad un
controllo pubblico, che faccia valere il principio della destinazione comune dei
beni della terra. Una certa abbondanza delle offerte di lavoro, un solido
sistema di sicurezza sociale e di avviamento professionale, la libertà di
associazione e l'azione incisiva del sindacato, la previdenza in caso di
disoccupazione, gli strumenti di partecipazione democratica alla vita sociale,
in questo contesto dovrebbero sottrarre il lavoro alla condizione di "merce" e
garantire la possibilità di svolgerlo dignitosamente.
b) Altre forme di contrapposizione al marxismo sono la costruzione di sistemi di
"sicurezza nazionale", o della "società del benessere".
Ci sono, poi, altre forze sociali e movimenti ideali che si oppongono al
marxismo con la costruzione di sistemi di "sicurezza nazionale", miranti a
controllare in modo capillare tutta la società per rendere impossibile
l'infiltrazione marxista. Esaltando ed accrescendo la potenza dello Stato, essi
intendono preservare i loro popoli dal comunismo; ma, ciò facendo, corrono il
grave rischio di distruggere quella libertà e quei valori della persona, in nome
dei quali bisogna opporsi ad esso. Un'altra forma di risposta pratica, infine, è
rappresentata dalla società del benessere, o società dei consumi. Essa tende a
sconfiggere il marxismo sul terreno di un puro materialismo, mostrando come una
società di libero mercato possa conseguire un soddisfacimento più pieno dei
bisogni materiali umani di quello assicurato dal comunismo, ed escludendo
egualmente i valori spirituali. In realtà, se da una parte è vero che questo
modello sociale mostra il fallimento del marxismo di costruire una società nuova
e migliore, dall'altra, negando autonoma esistenza e valore alla morale, al
diritto, alla cultura e alla religione, converge con esso nel ridurre totalmente
l'uomo alla sfera dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali.
20. In questi decenni si è svolto con grandi difficoltà il complesso processo di
"decolonizzazione".
Nel medesimo periodo si svolge un grandioso processo di "decolonizzazione", per
il quale numerosi Paesi acquistano o riacquistano l'indipendenza e il diritto a
disporre liberamente di sé. Con la riconquista formale della sovranità statuale,
però, questi Paesi si trovano spesso appena all'inizio del cammino nella
costruzione di un'autentica indipendenza. Difatti, settori decisivi
dell'economia rimangono ancora nelle mani di grandi imprese straniere che non
accettano di legarsi durevolmente allo sviluppo del Paese che le ospita, e la
stessa vita politica è controllata da forze straniere, mentre all'interno delle
frontiere dello Stato convivono gruppi tribali, non ancora amalgamati in
un'autentica comunità nazionale. Manca, inoltre, un ceto di professionisti
competenti, capaci di far funzionare in modo onesto e regolare l'apparato dello
Stato, e mancano anche i quadri per un'efficiente e responsabile gestione
dell'economia. Posta questa situazione, a molti sembra che il marxismo possa
offrire come una scorciatoia per l'edificazione della Nazione e dello Stato, e
nascono perciò diverse varianti del socialismo con un carattere nazionale
specifico. Si mescolano così nelle molte ideologie, che vengono a formarsi in
misura di volta in volta diversa, legittime esigenze dl riscatto nazionale,
forme di nazionalismo ed anche di militarismo, principi tratti da antiche
tradizioni popolari, talvolta consonanti con la dottrina sociale cristiana, e
concetti del marxismo-leninismo.
21. Una realtà positiva: una maggiore sensibilità per i diritti umani.
a) Il ruolo dell'O.N.U.
É da ricordare, infine, come dopo la seconda guerra mondiale ed anche per
reazione ai suoi orrori, si è diffuso un sentimento più vivo dei diritti umani,
che ha trovato riconoscimento in diversi Documenti internazionali e
nell'elaborazione, si direbbe di un nuovo "diritto delle genti", a cui la Santa
Sede ha dato un costante contributo. Perno di questa evoluzione è stata
l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Non solo è cresciuta la coscienza del
diritto dei singoli, ma anche quella dei diritti delle Nazioni mentre si avverte
meglio la necessità di agire per sanare i gravi squilibri tra le diverse aree
geografiche del mondo che in un certo senso, hanno trasferito il centro della
questione sociale dall'ambito nazionale al livello internazionale.
b) Limiti attuali dell'azione delle Nazioni Unite nei conflitti internazionali.
Nel prendere atto con soddisfazione di tale processo, non si può tuttavia tacere
il fatto che il bilancio complessivo delle diverse politiche di aiuto allo
sviluppo non è sempre positivo. Alle Nazioni Unite, inoltre, non è riuscito fino
ad ora di costruire strumenti efficaci per la soluzione dei conflitti
internazionali alternativi alla guerra, e sembra esser questo il problema più
urgente che la comunità internazionale deve ancora risolvere.
PARTE TERZA
L'ANNO 1989
22. Gli avvenimenti degli ultimi anni.
a) Il ruolo della Chiesa per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo.
Partendo dalla situazione mondiale ora descritta, e già ampiamente esposta
nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, si comprende l'inaspettata e
promettente portata degli avvenimenti degli ultimi anni. Il loro culmine certo
sono stati gli avvenimenti del 1989 nei Paesi dell'Europa centrale ed orientale,
ma essi abbracciano un arco di tempo ed un orizzonte geografico più ampi. Nel
corso degli anni 80 crollano progressivamente in alcuni Paesi dell'America
Latina, ma anche dell'Africa e dell'Asia certi regimi dittatoriali ed
oppressivi; in altri casi inizia un difficile, ma fecondo cammino di transizione
verso forme politiche più partecipative e più giuste. Un contributo importante,
anzi decisivo, ha dato l'impegno della Chiesa per la difesa e la promozione dei
diritti dell'uomo: in ambienti fortemente ideologizzati in cui lo schieramento
di parte offuscava la consapevolezza della comune dignità umana, la Chiesa ha
affermato con semplicità ed energia che ogni uomo, quali che siano le sue
convinzioni personali, porta in sé l'immagine di Dio e, quindi, merita rispetto.
In tale affermazione si è spesso riconosciuta la grande maggioranza del popolo,
e ciò ha portato alla ricerca di forme di lotta e di soluzioni politiche più
rispettose della dignità della persona.
b) Realizzatesi nuove forme di democrazia in alcuni Paesi dopo la liberazione da
regimi dittatoriali e oppressivi.
Da questo processo storico sono emerse nuove forme di democrazia, che offrono la
speranza di un cambiamento nelle fragili strutture politiche e sociali, gravate
dall'ipoteca di una penosa serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da
un'economia disastrata e da pesanti conflitti sociali. Mentre con tutta la
Chiesa rendo grazie a Dio per la testimonianza, spesso eroica, che non pochi
Pastori, intere comunità cristiane, singoli fedeli ed altri uomini di buona
volontà hanno dato in tali difficili circostanze, prego perché egli sostenga gli
sforzi di tutti per costruire un futuro migliore. É, questa, infatti una
responsabilità non solo dei cittadini di quei Paesi, ma di tutti i cristiani e
degli uomini di buona volontà. Si tratta di mostrare che i complessi problemi di
quei popoli possono essere risolti col metodo del dialogo e della solidarietà,
anziché con la lotta per la distruzione dell'avversario e con la guerra.
23. I fattori della caduta dei regimi oppressivi.
a) La violazione dei diritti del lavoro.
Tra i numerosi fattori della caduta dei regimi oppressivi alcuni meritano di
essere ricordati in particolare. Il fattore decisivo, che ha avviato i
cambiamenti, è certamente la violazione dei diritti del lavoro. Non si può
dimenticare che la crisi fondamentale dei sistemi, che pretendono di esprimere
il governo ed anzi la dittatura degli operai, inizia con i grandi moti avvenuti
in Polonia in nome della solidarietà. Sono le folle dei lavoratori a
delegittimare l'ideologia, che presume di parlare in loro nome, ed a ritrovare e
quasi riscoprire, partendo dall'esperienza vissuta e difficile del lavoro e
dell'oppressione, espressioni e principi della dottrina sociale della Chiesa.
b) La lotta pacifica: gli strumenti usati.
Merita, poi di essere sottolineato il fatto che alla caduta di un simile
"blocco", o impero, si arriva quasi dappertutto mediante una lotta pacifica, che
fa uso delle sole armi della verità e della giustizia. Mentre il marxismo
riteneva che solo portando agli estremi le contraddizioni sociali fosse
possibile arrivare alla loro soluzione mediante lo scontro violento, le lotte
che hanno condotto al crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare
tutte le vie del negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità,
facendo appello alla coscienza dell'avversario e cercando di risvegliare in lui
il senso della comune dignità umana.
c) Il positivo risultato dell'impegno non violento per l'ordine europeo, dopo la
seconda guerra mondiale.
Sembrava che l'ordine europeo, uscito dalla seconda guerra mondiale e consacrato
dagli Accordi di Yalta, potesse essere scosso soltanto da un'altra guerra. É
stato invece, superato dall'impegno non violento di uomini che, mentre si sono
sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta
in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità. Ciò ha disarmato
l'avversario, perché la violenza ha sempre bisogno di legittimarsi con la
menzogna, di assumere, pur se falsamente, l'aspetto della difesa di un diritto o
della risposta a una minaccia altrui. Ringrazio ancora Dio che ha sostenuto il
cuore degli uomini nel tempo della difficile prova, pregando perché un tale
esempio possa valere in altri luoghi ed in altre circostanze. Che gli uomini
imparino a lottare per la giustizia senza violenza rinunciando alla lotta di
classe nelle controversie interne, come alla guerra in quelle internazionali.
24. Un fattore di crisi: l'inefficienza della concezione economicistica.
a) Importanza della dimensione culturale e nazionale.
Il secondo fattore di crisi è certamente l'inefficienza del sistema economico,
che non va considerata come un problema soltanto tecnico, ma piuttosto come
conseguenza della violazione dei diritti umani all'iniziativa, alla proprietà ed
alla libertà nel settore dell'economia. A questo aspetto va poi associata la
dimensione culturale e nazionale: non è possibile comprendere l'uomo partendo
unilateralmente dal settore dell'economia, né è possibile definirlo
semplicemente in base all'appartenenza di classe. L'uomo è compreso in modo più
esauriente, se viene inquadrato nella sfera della cultura attraverso il
linguaggio, la storia e le posizioni che egli assume davanti agli eventi
fondamentali dell'esistenza, come il nascere, l'amare, il lavorare, il morire.
Al centro di ogni cultura sta l'atteggiamento che l'uomo assume davanti al
mistero più grande: il mistero di Dio. Le culture delle diverse Nazioni sono, in
fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso dell'esistenza
personale: quando tale domanda viene eliminata, si corrompono la cultura e la
vita morale delle Nazioni. Per questo, la lotta per la difesa del lavoro si è
spontaneamente collegata a quella per la cultura e per i diritti nazionali.
b) Il vuoto spirituale causato dall'ateismo.
La vera causa delle novità, però, è il vuoto spirituale provocato dall'ateismo,
il quale ha lasciato prive di orientamento le giovani generazioni e in non rari
casi le ha indotte, nell'insopprimibile ricerca della propria identità e del
senso della vita, a riscoprire le radici religiose della cultura delle loro
Nazioni e la stessa persona di Cristo, come risposta esistenzialmente adeguata
al desiderio di bene, di verità e di vita che è nel cuore di ogni uomo. Questa
ricerca è stata confortata dalla testimonianza di quanti, in circostanze
difficili e nella persecuzione, sono rimasti fedeli a Dio. Il marxismo aveva
promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo, ma i risultati
hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore.
25. Le lezioni degli avvenimenti dell'89.
a) Successo della volontà di negoziato e dello spirito evangelico.
Gli avvenimenti dell'89 offrono l'esempio del successo della volontà di
negoziato e dello spirito evangelico contro un avversario deciso a non lasciarsi
vincolare da principi morali: essi sono un monito per quanti, in nome del
realismo politico, vogliono bandire dall'arena politica il diritto e la morale.
Certo la lotta, che ha portato ai cambiamenti dell'89, ha richiesto lucidità,
moderazione sofferenze e sacrifici; in un certo senso, essa è nata dalla
preghiera, e sarebbe stata impensabile senza un'illimitata fiducia in Dio,
Signore della storia che ha nelle sue mani il cuore degli uomini. É unendo la
propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce
che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il
sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che,
illudendosi di combatterlo, lo aggrava.
b) Il valore fondamentale della libertà.
Non si possono, tuttavia, ignorare gli innumerevoli condizionamenti in mezzo ai
quali la libertà del singolo uomo si trova ad operare: essi influenzano, sì, ma
non determinano la libertà; rendono più o meno facile il suo esercizio, ma non
possono distruggerla. Non solo non è lecito disattendere dal punto di vista
etico la natura dell'uomo che è fatto per la libertà, ma ciò non è neppure
possibile in pratica. Dove la società si organizza riducendo arbitrariamente o,
addirittura, sopprimendo la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita,
il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade.
c) L'uomo libero però, porta in sé la ferita del peccato originale. L'illusione
di poter costruire il paradiso in terra.
Inoltre, l'uomo creato per la libertà porta in sé la ferita del peccato
originale, che continuamente lo attira verso il male e lo rende bisognoso di
redenzione. Questa dottrina non solo è parte integrante della Rivelazione
cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutico, in quanto aiuta a
comprendere la realtà umana. L'uomo tende verso il bene, ma è pure capace di
male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere ad esso
legato. L'ordine sociale sarà tanto più solido quanto più terrà conto di questo
fatto e non opporrà l'interesse personale a quello della società nel suo insieme
ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione. Difatti, dove
l'interesse individuale è violentemente soppresso, esso è sostituito da un
pesante sistema di controllo burocratico, che inaridisce le fonti
dell'iniziativa e della creatività. Quando gli uomini ritengono di possedere il
segreto di un'organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male,
ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna,
per realizzarla. La politica diventa allora una "religione secolare", che si
illude di costruire il paradiso in questo mondo. Ma qualsiasi società politica,
che possiede la sua propria autonomia e le sue proprie leggi, non potrà mai
esser confusa col Regno di Dio. La parabola evangelica del buon grano e della
zizzania (cfr. Mt 13, 24-30. 36-43) insegna che spetta solo a Dio separare i
soggetti del Regno ed i soggetti del Maligno, e che siffatto giudizio avrà luogo
alla fine dei tempi. Pretendendo di anticipare fin d'ora il giudizio, l'uomo si
sostituisce a Dio e si oppone alla sua pazienza.
d) Il Regno di Dio illumina l 'ordine temporale ed aiuta ad operare per il bene.
Grazie al sacrificio di Cristo sulla Croce, la vittoria del Regno di Dio è
acquisita una volta per tutte; tuttavia, la condizione cristiana comporta la
lotta contro le tentazioni e le forze del male. Solo alla fine della storia il
Signore ritornerà nella gloria per il giudizio finale (cfr. Mt 25, 31) con
l'instaurazione dei cieli nuovi e della terra nuova (cfr. 2 Pt 3, 13; Ap 21, 1),
ma, mentre dura il tempo, la lotta tra il bene e il male continua fin nel cuore
dell'uomo. Ciò che la Sacra Scrittura ci insegna in ordine ai destini del Regno
di Dio non è senza conseguenze per la vita delle società temporali, le
quali, come dice la parola, appartengono alle realtà del tempo con quanto esso
comporta di imperfetto e di provvisorio. Il Regno di Dio, presente nel mondo
senza essere del mondo, illumina l'ordine dell'umana società, mentre le energie
della grazia lo penetrano e lo vivificano. Così son meglio avvertite le esigenze
di una società degna dell'uomo, sono rettificate le deviazioni, è rafforzato il
coraggio dell'operare per il bene. A tale compito di animazione evangelica delle
realtà umane sono chiamati, unitamente a tutti gli uomini di buona volontà, i
cristiani ed in special modo i laici.
26. Conseguenze positive derivanti dagli avvenimenti dell' 89.
Gli avvenimenti dell'89 si sono svolti prevalentemente nei Paesi dell'Europa
orientale e centrale; tuttavia, hanno un'importanza universale, poiché ne
discendono conseguenze positive e negative che interessano tutta la famiglia
umana. Tali conseguenze non hanno un carattere meccanico o fatalistico, ma sono
piuttosto occasioni offerte alla libertà umana per collaborare col disegno
misericordioso di Dio che agisce nella storia.
a) Incontro tra la Chiesa e il movimento operaio.
Prima conseguenza è stato, in alcuni Paesi, l'incontro tra la Chiesa e il
Movimento operaio, nato da una reazione di ordine etico ed esplicitamente
cristiano contro una diffusa situazione di ingiustizia. Per circa un secolo
detto Movimento era finito in parte sotto l'egemonia del marxismo, nella
convinzione che i proletari, per lottare efficacemente contro l'oppressione,
dovessero far proprie le teorie materialistiche ed economicistiche. Nella crisi
del marxismo riemergono le forme spontanee della coscienza operaia, che
esprimono una domanda di giustizia e di riconoscimento della dignità del lavoro,
conforme alla dottrina sociale della Chiesa. Il Movimento operaio confluisce in
un più generale movimento degli uomini del lavoro e degli uomini di buona
volontà per la liberazione della persona umana e per l'affermazione dei suoi
diritti; esso investe oggi molti Paesi e, lungi dal contrapporsi alla Chiesa
cattolica, guarda ad essa con interesse.
b) Il contributo della Chiesa per una autentica teoria e prassi di liberazione.
La crisi del marxismo non elimina nel mondo le situazioni di ingiustizia e di
oppressione, da cui il marxismo stesso, strumentalizzandole traeva alimento. A
coloro che oggi sono alla ricerca di una nuova ed autentica teoria e prassi di
liberazione, la Chiesa offre non solo la sua dottrina sociale e, in generale, il
suo insegnamento circa la persona redenta in Cristo, ma anche il concreto suo
impegno ed aiuto per combattere l'emarginazione e la sofferenza. Nel recente
passato il sincero desiderio di essere dalla parte degli oppressi e di non esser
tagliati fuori dal corso della storia ha indotto molti credenti a cercare in
diversi modi un impossibile compromesso tra marxismo e cristianesimo. Il tempo
presente, mentre supera tutto ciò che c'era di caduco in quei tentativi, induce
a riaffermare la positività di un'autentica teologia dell'integrale liberazione
umana. Considerati da questo punto di vista, gli avvenimenti del 1989 risultano
importanti anche per i Paesi del Terzo Mondo, che sono alla ricerca della via
del loro sviluppo, come lo sono stati per quelli dell'Europa centrale ed
orientale.
27. Conseguenze per i popoli europei degli avvenimenti del 1989.
a) Necessità di liberarsi da odi e rancori accumulatisi da lungo tempo.
La seconda conseguenza riguarda i popoli dell'Europa. Molte ingiustizie,
individuali e sociali, regionali e nazionali, sono state commesse negli anni in
cui dominava il comunismo ed anche prima; molti odi e rancori si sono
accumulati. É reale il pericolo che questi riesplodano dopo il crollo della
dittatura, provocando gravi conflitti e lutti, se verranno meno la tensione
morale e la forza cosciente di rendere testimonianza alla verità che hanno
animato gli sforzi nel tempo passato. É da auspicare che l'odio e la violenza
non trionfino nei cuori, soprattutto di coloro che lottano per la giustizia, e
cresca in tutti lo spirito di pace e di perdono.
b) L'Europa intera deve aiutare i Paesi dell'Est nella ricostruzione morale ed
economica.
Occorrono, però passi concreti per creare o consolidare strutture internazionali
capaci di intervenire, per il conveniente arbitrato, nei conflitti che insorgono
tra le Nazioni, sicché ciascuna di esse possa far valere i propri diritti e
raggiungere il giusto accordo e la pacifica composizione con i diritti delle
altre. Tutto ciò è particolarmente necessario per le Nazioni europee, unite
intimamente tra loro nel vincolo della comune cultura e storia millenaria.
Occorre un grande sforzo per la ricostruzione morale ed economica nei Paesi che
hanno abbandonato il comunismo. Per molto tempo le relazioni economiche più
elementari sono state distorte, ed anche fondamentali virtù legate al settore
dell'economia, come la veridicità, l'affidabilità, la laboriosità, sono state
mortificate. Occorre una paziente ricostruzione materiale e morale, mentre i
popoli stremati da lunghe privazioni chiedono ai loro governanti risultati
tangibili ed immediati di benessere ed adeguato soddisfacimento delle loro
legittime aspirazioni.
c) L'interdipendenza dei popoli è stata messa in luce più chiaramente dalla
caduta del marxismo.
La caduta del marxismo naturalmente ha avuto effetti di grande portata in ordine
alla divisione della terra in mondi chiusi l'uno all'altro ed in gelosa
concorrenza tra loro. Essa mette in luce più chiaramente la realtà
dell'interdipendenza dei popoli, nonché il fatto che il lavoro umano per sua
natura è destinato ad unire i popoli, non già a dividerli. La pace e la
prosperità, infatti, sono beni che appartengono a tutto il genere umano, sicché
non è possibile goderne correttamente e durevolmente se vengono ottenuti e
conservati a danno di altri popoli e Nazioni, violando i loro diritti o
escludendoli dalle fonti del benessere.
28. Per alcuni Paesi europei è iniziato ora il vero dopoguerra.
a) Necessità di una grande solidarietà verso questi Paesi.
Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. Il
radicale riordinamento delle economie, fino a ieri collettivizzate, comporta
problemi e sacrifici, i quali possono esser paragonati a quelli che i Paesi
occidentali del Continente si imposero per la loro ricostruzione dopo il secondo
conflitto mondiale. É giusto che nelle presenti difficoltà i Paesi ex-comunisti
siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre Nazioni: ovviamente, essi
devono essere i primi artefici del proprio sviluppo; ma deve esser data loro una
ragionevole opportunità di realizzarlo, e ciò non può avvenire senza l'aiuto
degli altri Paesi. Del resto, la presente condizione di difficoltà e di penuria
è la conseguenza di un processo storico, di cui i Paesi ex-comunisti sono stati
spesso oggetto, e non soggetto: essi, perciò, si trovano in tale situazione non
per libera scelta o a causa di errori commessi, ma in conseguenza di tragici
eventi storici imposti con la violenza, i quali hanno loro impedito di
proseguire lungo la via dello sviluppo economico e civile. L'aiuto degli altri
Paesi soprattutto europei, che hanno avuto parte nella medesima storia e ne
portano le responsabilità, corrisponde ad un debito di giustizia. Ma corrisponde
anche all'interesse ed al bene generale dell'Europa, che non potrà vivere in
pace, se i conflitti di diversa natura, che emergono come conseguenza del
passato, saranno resi più acuti da una situazione di disordine economico, di
spirituale insoddisfazione e disperazione.
b) É necessario non rallentare il sostegno e l'aiuto ai Paesi del Terzo Mondo.
Questa esigenza, però, non deve indurre a rallentare gli sforzi per il sostegno
e l'aiuto ai Paesi del Terzo Mondo, che soffrono spesso di condizioni di
insufficienza e di povertà assai più gravi. Sarà necessario uno sforzo
straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo nel suo insieme non è
privo, verso fini di crescita economica e di sviluppo comune, ridefinendo le
priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte
economiche e politiche. Ingenti risorse possono essere rese disponibili col
disarmo degli enormi apparati militari, costruiti per il conflitto tra Est e
Ovest. Esse potranno risultare ancora più ingenti, se si riuscirà a stabilire
affidabili procedure per la soluzione dei conflitti, alternative alla guerra, ed
a diffondere, quindi, il principio del controllo e della riduzione degli
armamenti anche nei Paesi del Terzo Mondo, adottando opportune misure contro il
loro commercio. Ma soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che
considera i poveri, persone e popoli, come un fardello e come fastidiosi
importuni, che pretendono di consumare quanto altri han prodotto. I poveri
chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere
a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per
tutti più prospero. L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la
crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità.
29. Lo sviluppo deve essere anche integralmente umano.
a) Riconoscere in modo pieno i diritti della coscienza umana.
Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico,
ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al
livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro
solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la
creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria
vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto. Al culmine dello
sviluppo sta l'esercizio del diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di
vivere secondo tale conoscenza. Nei regimi totalitari ed autoritari è stato
portato all'estremo il principio del primato della forza sulla ragione. L'uomo è
stato costretto a subire una concezione della realtà imposta con la forza, e non
conseguita mediante lo sforzo della propria ragione e l'esercizio della propria
libertà. Bisogna rovesciare quel principio e riconoscere integralmente i diritti
della coscienza umana, legata solo alla verità sia naturale che rivelata. Nel
riconoscimento di questi diritti consiste il fondamento primario di ogni
ordinamento politico autenticamente libero.
b) I motivi principali per l'impegno nella difesa dei diritti della coscienza.
É importante riaffermare tale principio per vari motivi:
1) perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora
del tutto debellate, ed esiste anzi il rischio che riprendano vigore: ciò
sollecita ad un rinnovato sforzo di collaborazione e di solidarietà tra tutti i
Paesi;
2) perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un'eccessiva propaganda dei valori
puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle
tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed
il rispetto della gerarchia dei veri valori dell'umana esistenza;
3) perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che,
velatamente o anche apertamente, negano ai cittadini di fedi diverse da quelle
della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti civili o religiosi,
impediscono loro di entrare nel dibattito culturale, restringono il diritto
della Chiesa a predicare il Vangelo e il diritto degli uomini, che ascoltano
tale predicazione, ad accoglierla ed a convertirsi a Cristo. Nessun autentico
progresso è possibile senza il rispetto del naturale ed originario diritto di
conoscere la verità e di vivere secondo essa. A questo diritto è legato, come
suo esercizio ed approfondimento, il diritto di scoprire e di accogliere
liberamente Gesù Cristo, che è il vero bene dell'uomo.
PARTE QUARTA
LA PROPRIETÀ PRIVATA E L'UNIVERSALE DESTINAZIONE DEI BENI
30. La dottrina della Chiesa sulla proprietà privata.
a) Leone XIII ha affermato il diritto alla proprietà privata subordinata alla
originaria destinazione comune dei beni della Terra.
Nella Rerum Novarum Leone XIII affermava con forza e con vari argomenti, contro
il socialismo del suo tempo, il carattere naturale del diritto di proprietà
privata. Tale diritto, fondamentale per l'autonomia e lo sviluppo della persona,
è stato sempre difeso dalla Chiesa fino ai nostri giorni. Parimenti la Chiesa
insegna che la proprietà dei beni non è un diritto assoluto, ma porta inscritti
nella sua natura di diritto umano i propri limiti. Mentre proclamava il diritto
di proprietà privata, il Pontefice affermava con pari chiarezza che l'"uso" dei
beni, affidato alla libertà, è subordinato alla loro originaria destinazione
comune di beni creati ed anche alla volontà di Gesù Cristo, manifestata nel
Vangelo. Infatti scriveva: "i fortunati dunque sono ammoniti...: i ricchi
debbono tremare pensando alle minacce di Gesù Cristo...; dell'uso dei loro beni
dovranno un giorno rendere rigorosissimo conto a Dio giudice"; e, citando san
Tommaso d'Aquino, aggiungeva: "Ma se si domanda quale debba essere l'uso di tali
beni, la Chiesa non esita a rispondere che a questo proposito l'uomo non deve
possedere i beni esterni come propri, ma come comuni", perché "sopra le leggi e
i giudizi degli uomini sta la legge, il giudizio di Cristo".
b) I successori di Leone XIII hanno confermato tale dottrina.
I successori di Leone XIII hanno ripetuto la duplice affermazione: la necessità
e, quindi, la liceità della proprietà privata ed insieme i limiti che gravano su
di essa. Anche il Concilio Vaticano II ha riproposto la dottrina tradizionale
con parole che meritano di essere riportate esattamente: "l'uomo, usando di
questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non
solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non
unicamente a lui, ma anche agli altri". E poco oltre: "La proprietà privata o un
qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona del tutto
necessaria di autonomia personale e familiare e devono considerarsi come un
prolungamento della libertà umana... La stessa proprietà privata ha per sua
natura anche una funzione sociale, che si fonda sulla legge della comune
destinazione dei beni". La stessa dottrina ho ripreso prima nel discorso alla
III Conferenza dell'Episcopato latino-americano a Puebla, e poi nelle Encicliche
Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis.
31. La dottrina circa l'origine dei beni.
a) La prima origine dei beni è Dio stesso.
Rileggendo tale insegnamento sul diritto di proprietà e la destinazione comune
dei beni in rapporto al nostro tempo, si può porre la domanda circa l'origine
dei beni che sostentano la vita dell'uomo, soddisfano i suoi bisogni e sono
oggetto dei suoi diritti. La prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto
stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra
perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gn 1, 28-29). Dio ha
dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri,
senza escludere né privilegiare nessuno. É qui la radice dell'universale
destinazione dei beni della Terra. Questa in ragione della sua stessa fecondità
e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il
sostentamento della vita umana. Ora, la terra non dona i suoi frutti senza una
peculiare risposta dell'uomo al dono di Dio, cioè senza il lavoro: è mediante il
lavoro che l'uomo, usando la sua intelligenza e la sua libertà riesce a
dominarla e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa propria una parte
della Terra, che appunto si è acquistata col lavoro. É qui l'origine della
proprietà individuale. E ovviamente egli ha anche la responsabilità di non
impedire che altri uomini abbiano la loro parte del dono di Dio, anzi deve
cooperare con loro per dominare insieme tutta la Terra.
b) La seconda origine sta nel lavoro e nella terra, da cui deriva la proprietà
individuale.
Nella storia si ritrovano sempre questi due fattori, il lavoro e la terra al
principio di ogni società umana, non sempre, però, essi stanno nella medesima
relazione tra loro. Un tempo la naturale fecondità della terra appariva e di
fatto era il principale fattore della ricchezza, mentre il lavoro era come
l'aiuto ed il sostegno di tale fecondità. Nel nostro tempo diventa sempre più
rilevante il ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze
immateriali e materiali; diventa inoltre evidente come il lavoro di un uomo si
intrecci naturalmente con quello di altri uomini. Oggi più che mai lavorare è un
lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per
qualcuno. Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l'uomo è capace
di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i
bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto.
32. Valore della proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere.
Ma un'altra forma di proprietà esiste, in particolare, nel nostro tempo e
riveste un'importanza non inferiore a quella della terra: è la proprietà della
conoscenza della tecnica e del sapere. Su questo tipo di proprietà si fonda la
ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse
naturali.
a) Il ruolo determinante del lavoro umano e delle capacità di iniziativa e
imprenditorialità.
Si è ora accennato al fatto che l'uomo lavora con gli altri uomini partecipando
ad un "lavoro sociale" che abbraccia cerchi progressivamente più ampi. Chi
produce un oggetto, lo fa in genere, oltre che per l'uso personale, perché altri
possano usarne dopo aver pagato il giusto prezzo, stabilito di comune accordo
mediante una libera trattativa. Ora, proprio la capacità di conoscere
tempestivamente i bisogni degli altri uomini e le combinazioni dei fattori
produttivi più idonei a soddisfarli, è un'altra importante fonte di ricchezza
nella società moderna. Del resto, molti beni non possono essere prodotti in modo
adeguato dall'opera di un solo individuo, ma richiedono la collaborazione di
molti al medesimo fine. Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la
sua durata nel tempo procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni
che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di
ricchezza nell'odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante
il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e, quale parte essenziale di
tale lavoro, delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità.
b) La principale risorsa dell'uomo è l'uomo stesso.
Un tale processo, che mette concretamente in luce una verità sulla persona
incessantemente affermata dal cristianesimo, deve essere riguardato con
attenzione e favore. In effetti, la principale risorsa dell'uomo insieme con la
terra è l'uomo stesso. É la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità
produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono
essere soddisfatti. É il suo disciplinato lavoro, in solidale collaborazione,
che consente la creazione di comunità di lavoro sempre più ampie ed affidabili
per operare la trasformazione dell'ambiente naturale e dello stesso ambiente
umano. In questo processo sono coinvolte importanti virtù, come la diligenza, la
laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli rischi, l'affidabilità e la
fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell'esecuzione di decisioni
difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell'azienda e per far
fronte agli eventuali rovesci di fortuna.
c) Nella moderna "economia d'impresa" il fattore decisivo è l'uomo.
La moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la
libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri
campi. L'economia, infatti, è un settore della multiforme attività umana, ed in
essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà, come il dovere di
fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze
specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche
recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più
tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi
il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di
conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico la sua capacità di
organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno
dell'altro.
33. I problemi posti dalla moderna economia di impresa.
a) Emarginazione di milioni di esseri umani, sradicati da un'economia di
sussistenza ed impreparati ad operare in un'economia di impresa.
Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con
questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande
maggioranza, non dispongono di strumenti che consentono di entrare in modo
effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il
lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di
acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività
e di sviluppare le loro potenzialità, né di entrare nella rete di conoscenze ed
intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate la loro
qualità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e
lo sviluppo economico si svolge, per così dire, sopra la loro testa, quando non
restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di
sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi
nuovi e ben rispondenti ai bisogni, che prima essi solevano fronteggiare con
forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza
ostentata, ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla
necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono
culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà, senza
possibilità di integrazione. Ad essi di fatto non si riconosce dignità, e talora
si cerca di eliminarli dalla storia mediante forme coatte di controllo
demografico, contrarie alla dignità umana.
b) Fasce di poveri sempre più poveri.
Molti altri uomini, pur non essendo del tutto emarginati, vivono all'interno di
ambienti in cui è assolutamente primaria la lotta per il necessario e vigono
ancora le regole del capitalismo delle origini, nella "spietatezza" di una
situazione che non ha nulla da invidiare a quella dei momenti più bui della
prima fase di industrializzazione. In altri casi è ancora la terra ad essere
l'elemento centrale del processo economico, e coloro che la coltivano, esclusi
dalla sua proprietà, sono ridotti in condizioni di semi servitù. In questi casi
si può ancora oggi, come al tempo della Rerum Novarum, parlare di uno
sfruttamento inumano. Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società più
avanzate, le carenze umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose
sugli uomini, sono tutt'altro che scomparse; anzi, per i poveri alla mancanza di
beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce
loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione.
c) Costante povertà degli abitanti dei Paesi del Terzo Mondo rimasti isolati.
Purtroppo, la grande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo vive ancora in
simili condizioni. Sarebbe, però, errato intendere questo mondo in un senso
soltanto geografico. In alcune regioni ed in alcuni settori sociali di esso sono
stati attivati processi di sviluppo incentrati non tanto sulla valorizzazione
delle risorse materiali, quanto su quella della "risorsa umana". In anni non
lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi
più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze.
L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno
conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi
che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività
economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia
quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul
principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla
valorizzazione delle risorse umane.
d) Anche nei Paesi sviluppati esistono situazioni tipiche del Terzo Mondo.
Aspetti tipici del Terzo Mondo però, emergono anche nei Paesi sviluppati, dove
l'incessante trasformazione dei modi di produrre e di consumare svaluta certe
conoscenze già acquisite e professionalità consolidate, esigendo un continuo
sforzo di riqualificazione e di aggiornamento. Coloro che non riescono a tenersi
al passo con i tempi possono facilmente essere emarginati. insieme con essi lo
sono gli anziani, i giovani incapaci di ben inserirsi nella vita sociale e, in
genere, i soggetti più deboli e il cosiddetto Quarto Mondo. Anche la situazione
della donna in queste condizioni è tutt'altro che facile.
34. Il "libero mercato" sembra lo strumento più adatto per collocare le risorse
e per rispondere ai bisogni; ma ha anche dei grossi limiti.
Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti
internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le
risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei
bisogni che sono "solvibili", che dispongono di un potere d'acquisto, e per
quelle risorse che sono "vendibili", in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma
esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. É stretto
dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali
rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano. É,
inoltre, necessario che questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le
conoscenze ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro
attitudini per valorizzare al meglio capacità e risorse. Prima ancora della
logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son
proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo in forza della
sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la
possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune
dell'umanità. Nei contesti di Terzo Mondo conservano la loro validità (in certi
casi è ancora un traguardo da raggiungere) proprio quegli obiettivi indicati
dalla Rerum Novarum, per evitare la riduzione del lavoro dell'uomo e dell'uomo
stesso al livello di una semplice merce: il salario sufficiente per la vita
della famiglia; le assicurazioni sociali per la vecchiaia e la disoccupazione;
la tutela adeguata delle condizioni di lavoro.
35. Un grande campo di impegno e di lotta per i sindacati nella struttura di
libero mercato.
a) Come modello alternativo: una società del lavoro libero, dell'impresa e della
partecipazione.
Si apre qui un grande e fecondo campo di impegno e di lotta, nel nome della
giustizia, per i sindacati e per le altre organizzazioni dei lavoratori, che ne
difendono i diritti e ne tutelano la soggettività, svolgendo al tempo stesso una
funzione essenziale di carattere culturale, per farli partecipare in modo più
pieno e degno alla vita della Nazione ed aiutarli lungo il cammino dello
sviluppo. In questo senso si può giustamente parlare di lotta contro un sistema
economico, inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale
del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera
soggettività del lavoro dell'uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si
pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta
essere un capitalismo di stato, ma una società del lavoro libero, dell'impresa e
della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia
opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da
garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società.
b) La produzione di profitto non è il solo scopo dell'impresa, ma l'esistenza
della stessa come "comunità di uomini".
La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon
andamento dell'azienda: quando un'azienda produce profitto; ciò significa che i
fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ed i corrispettivi bisogni
umani debitamente soddisfatti. Tuttavia il profitto non è l'unico indice delle
condizioni dell'azienda. É possibile che i conti economici siano in ordine ed
insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso
dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere
moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi
anche per l'efficienza economica dell'azienda. Scopo dell'impresa, infatti, non
è semplicemente la produzione del profitto, bensì l'esistenza stessa
dell'impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il
soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare
gruppo al servizio dell'intera società. Il profitto è un regolatore della vita
dell'azienda, ma non è l'unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri
fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali
per la vita dell'impresa.
c) Rompere le barriere e i monopoli, ed assicurare a tutti le condizioni di base
che consentano di partecipare allo sviluppo.
Si è visto come è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto
"socialismo reale" lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione
economica. Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai
margini dello sviluppo, assicurare a tutti, individui e Nazioni, le condizioni
di base, che consentano di partecipare allo sviluppo. Tale obiettivo richiede
sforzi programmati e responsabili da parte di tutta la comunità internazionale.
Occorre che le Nazioni più forti sappiano offrire a quelle più deboli occasioni
di inserimento nella vita internazionale, e che quelle più deboli sappiano
cogliere tali occasioni, facendo gli sforzi e i sacrifici necessari assicurando
la stabilità del quadro politico ed economico, la certezza di prospettive per il
futuro, la crescita delle capacità dei propri lavoratori, la formazione di
imprenditori efficienti e consapevoli delle loro responsabilità.
d) Il grave problema del debito estero dei Paesi più poveri.
Al presente sugli sforzi positivi che sono compiuti in proposito grava il
problema, in gran parte ancora irrisolto, del debito estero dei Paesi più
poveri. É certamente giusto il principio che i debiti debbano essere pagati; non
è lecito, però, chiedere o pretendere un pagamento, quando questo verrebbe ad
imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione
intere popolazioni. Non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati
con insopportabili sacrifici. In questi casi è necessario, come del resto sta
in parte avvenendo, trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di
estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla
sussistenza ed al progresso.
36. Gli specifici problemi delle economie più avanzate.
Conviene ora rivolgere l'attenzione agli specifici problemi ed alle minacce, che
insorgono all'interno delle economie più avanzate e sono connesse con le loro
peculiari caratteristiche. Nelle precedenti fasi dello sviluppo l'uomo è sempre
vissuto sotto il peso della necessità: i suoi bisogni erano pochi, fissati in
qualche modo già nelle strutture oggettive della sua costituzione corporea, e
l'attività economica era orientata a soddisfarli. É chiaro che oggi il problema
non è solo di offrirgli una quantità di beni sufficienti, ma è quello di
rispondere ad una domanda di qualità: qualità delle merci da produrre e da
consumare; qualità dei servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della
vita in generale.
a) La richiesta di beni riguarda non solo la quantità, ma anche la qualità: "il
fenomeno del consumismo".
La domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in
sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed
i pericoli connessi con questa fase storica. Nel modo in cui insorgono e sono
definiti i nuovi bisogni, è sempre operante una concezione più o meno adeguata
dell'uomo e del suo vero bene: attraverso le scelte di produzione e di consumo
si manifesta una determinata cultura, come concezione globale della vita. É qui
che sorge il fenomeno del consumismo. Individuando nuovi bisogni e nuove
modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da
un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere
e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali. Al
contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso
modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini
di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua
salute fisica e spirituale. Il sistema economico non possiede al suo interno
criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e più elevate
di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano
la formazione di una matura personalità. É perciò, necessaria ed urgente una
grande opera educativa e culturale la quale comprenda l'educazione dei
consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di
un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei
professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento
delle pubbliche Autorità.
b) La droga, esempio vistoso di consumo artificiale, che sfrutta la fragilità
dei deboli.
Un esempio vistoso di consumo artificiale, contrario alla salute e alla dignità
dell'uomo e certo non facile a controllare, è quello della droga. La sua
diffusione è indice di una grave disfunzione del sistema sociale e sottintende
anch'essa una "lettura" materialistica e, in un certo senso, distruttiva dei
bisogni umani. Cosi la capacità innovativa dell'economia libera finisce con
l'attuarsi in modo unilaterale ed inadeguato. La droga come anche la pornografia
ed altre forme di consumismo, sfruttando la fragilità dei deboli, tentano di
riempire il vuoto spirituale che si è venuto a creare.
c) L'errore di mirare all'avere di più, quando torna a svantaggio dell'essere di
più. Saper fare una scelta morale e culturale.
Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si
presume esser migliore, quando è orientato all'avere e non all'essere e vuole
avere di più non per essere di più, ma per consumare l'esistenza in un godimento
fine a se stesso. É necessario, perciò, adoperarsi per costruire stili di vita
nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli
altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le
scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. In proposito, non posso
ricordare solo il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio
"superfluo" e, talvolta, anche col proprio ""necessario" per dare ciò che è
indispensabile alla vita del povero. Alludo al fatto che anche la scelta di
investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo
piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale. Poste certe
condizioni economiche e di stabilità politica assolutamente imprescindibili la
decisione di investire cioè di offrire ad un popolo l'occasione di valorizzare
il proprio lavoro, è anche determinata da un atteggiamento di simpatia e dalla
fiducia nella Provvidenza, che rivelano la qualità umana di colui che decide.
37. Il grave problema della questione ecologica.
a) L'uomo non può disporre a proprio arbitrio dei beni della Terra.
Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso
strettamente connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di
avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva
e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice
dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico,
purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di
trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro,
dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria
donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre
arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà,
come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale
da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere
Il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si
sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura,
piuttosto tiranneggiata che governata da lui.
b) L'umanità di oggi ha doveri verso le generazioni future.
Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo
dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla
verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che
nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle
cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo,
l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le
generazioni future.
38 Necessità di salvaguardare le condizioni morali per un'autentica "ecologia
umana".
Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare
quella, ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal
prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se
molto meno del necessario, di preservare gli "habitat" naturali delle diverse
specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna
di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra,
ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica
"ecologia umana". Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve
usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata
donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la
struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in
questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di
un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita
attenzione ad un'"ecologia sociale" del lavoro. L'uomo riceve da Dio la sua
essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della
società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla
struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi
elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le
decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare
specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che
da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più
autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza.
39. La famiglia, fondata sul matrimonio, prima e fondamentale struttura per una
"ecologia umana".
a) Cause di disimpegno a formarsi una famiglia stabile.
La prima e fondamentale struttura a favore dell'"ecologia umana" è la famiglia,
in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla
verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi,
che cosa vuol dire in concreto essere una persona. Si intende qui la famiglia
fondata sul matrimonio, in cui il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e
della donna crea un ambiente di vita nel quale il bambino può nascere e
sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e
prepararsi ad affrontare il suo unico ed irripetibile destino. Spesso accade,
invece, che l'uomo è scoraggiato dal realizzare le condizioni autentiche della
riproduzione umana, ed è indotto a considerare se stesso e la propria vita come
un insieme di sensazioni da sperimentare anziché come un'opera da compiere. Di
qui nasce una mancanza di libertà che fa rinunciare all'impegno di legarsi
stabilmente con un'altra persona e di generare dei figli, oppure induce a
considerare costoro come una delle tante "cose" che è possibile avere o non
avere, secondo i propri gusti, e che entrano in concorrenza con altre
possibilità.
b) La famiglia va considerata come il "santuario della vita".
Occorre tornare a considerare la famiglia come il santuario della vita. Essa,
infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere
adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e
può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana. Contro la
cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura
della vita. L'ingegno dell'uomo sembra orientarsi, in questo campo, più a
limitare, sopprimere o annullare le fonti della vita ricorrendo perfino
all'aborto, purtroppo così diffuso nel mondo, che a difendere e ad aprire le
possibilità della vita stessa. Nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis sono
state denunciate le campagne sistematiche contro la natalità, che, in base ad
una concezione distorta del problema demografico e in un clima di "assoluta
mancanza di rispetto per la libertà di decisione delle persone interessate", le
sottopongono non di rado "a intolleranti pressioni... per piegarle a questa
forma nuova di oppressione". Si tratta di politiche che con nuove tecniche
estendono il loro raggio di azione fino ad arrivare, come in una "guerra
chimica", ad avvelenare la vita di milioni di esseri umani indifesi.
c) La libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana.
Queste critiche sono rivolte non tanto contro un sistema economico, quanto
contro un sistema etico-culturale. L'economia, infatti, è solo un aspetto ed una
dimensione della complessa attività umana.
Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono
con l'occupare il centro della vita sociale e diventano l'unico valore della
società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non
tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio
culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa si è indebolito e ormai si
limita solo alla produzione dei beni e dei servizi. Tutto ciò si può riassumere
affermando ancora una volta che la libertà economica è soltanto un elemento
della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto
più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce
e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona
umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla.
40. Lo Stato ha il dovere di difendere i beni collettivi, quali l'ambiente
naturale e quello umano.
É compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni
collettivi, come l'ambiente naturale e l'ambiente umano, la cui salvaguardia non
può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Come ai tempi del
vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti fondamentali
del lavoro, così ora col nuovo capitalismo esso e l'intera società hanno il
dovere di difendere i beni collettivi che, tra l'altro, costituiscono la cornice
al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i
suoi fini individuali. Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono
bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i
suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica;
ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si debbono
vendere e comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi:
aiutano, tra l'altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio
dei prodotti e, soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della
persona che nel contratto si incontrano con quelle di un'altra persona.
Tuttavia, essi comportano il rischio di un'"idolatria" del mercato, che ignora
l'esistenza dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici
merci.
41. La visione cristiana del concetto di "alienazione".
a) La concezione marxista dell'"alienazione".
Il marxismo ha criticato le società borghesi capitalistiche, rimproverando loro
la mercificazione e l'alienazione dell'esistenza umana. Certamente, questo
rimprovero è basato su una concezione errata ed inadeguata dell'alienazione, che
la fa derivare solo dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà, cioè
assegnandole un fondamento materialistico e, per di più, negando la legittimità
e la positività delle relazioni di mercato anche nell'ambito che è loro proprio.
Si finisce così con l'affermare che solo in una società di tipo collettivistico
potrebbe essere eliminata l'alienazione. Ora l'esperienza storica dei Paesi
socialisti ha tristemente dimostrato che il collettivismo non sopprime
l'alienazione, ma piuttosto l'accresce, aggiungendovi la penuria delle cose
necessarie e l'inefficienza economica.
b) Le alienazioni nel capitalismo.
L'esperienza storica dell'Occidente, da parte sua, dimostra che, se l'analisi e
la fondazione marxista dell'alienazione sono false, tuttavia l'alienazione con
la perdita del senso autentico dell'esistenza è un fatto reale anche nelle
società occidentali. Essa si verifica nel consumo, quando l'uomo è implicato in
una rete di false e superficiali soddisfazioni, anziché essere aiutato a fare
l'autentica e concreta esperienza della sua personalità. Essa si verifica anche
nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da "massimizzare" soltanto i suoi
frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio
lavoro, si realizzi di più o di meno come uomo, a seconda che cresca la sua
partecipazione in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo
isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di
reciproca estraniazione, nel quale egli è considerato solo come un mezzo, e non
come un fine.
c) É necessaria un'inversione tra i mezzi e i fini. Occorre entrare in relazione
di solidarietà e comunicare con gli altri.
É necessario ricondurre il concetto di alienazione alla visione cristiana,
ravvisando in esso l'inversione tra i mezzi e i fini: quando non riconosce il
valore e la grandezza della persona in se stesso e nell'altro, l'uomo di fatto
si priva della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in
quella relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini per cui Dio
lo ha creato. É, infatti, mediante il libero dono di se che l'uomo diventa
autenticamente se stesso, e questo dono è reso possibile dall'essenziale
"capacità di trascendenza" della persona umana. L'uomo non può donare se stesso
ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie.
Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un'altra persona o ad altre
persone e, infine, a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che può
pienamente accogliere il suo dono. É alienato l'uomo che rifiuta di trascendere
se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé e della formazione di
un'autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio. É
alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di
produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed
il costituirsi di questa solidarietà interumana.
d) Oggi gli uomini si strumentalizzano vicendevolmente. Il danno della
manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa.
Nella società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme
analizzate e descritte da Carlo Marx. Non è stata superata, invece,
l'alienazione nelle varie forme di sfruttamento, quando gli uomini si
strumentalizzano vicendevolmente e, nel soddisfacimento sempre più raffinato dei
loro bisogni particolari e secondari, diventano sordi a quelli principali ed
autentici, che devono regolare anche le modalità di soddisfacimento degli altri
bisogni. L'uomo che si preoccupa solo o prevalentemente dell'avere e del
godimento, non più capace di dominare i suoi istinti e le sue passioni e di
subordinarle mediante l'obbedienza alla verità, non può essere libero:
l'obbedienza alla verità su Dio e sull'uomo è la condizione prima della libertà,
consentendogli di ordinare i propri bisogni, i propri desideri e le modalità del
loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia, di modo che il possesso delle
cose sia per lui un mezzo di crescita. Un ostacolo a tale crescita può venire
dalla manipolazione operata da quei mezzi di comunicazione di massa che
impongono, con la forza di una ben orchestrata insistenza, mode e movimenti di
opinione, senza che sia possibile sottoporre a una disamina critica le premesse
su cui essi si fondano.
42. Necessarie distinzioni sul capitalismo come alternativa al comunismo.
Ritornando ora alla domanda iniziale, si può forse dire che, dopo il fallimento
del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di
esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro
economia e la loro società? É forse questo il modello che bisogna proporre ai
Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?
La risposta è ovviamente complessa. Se con "capitalismo" si indica un sistema
economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del
mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi
di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la
risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare
di "economia d'impresa", o di "economia di mercato", o semplicemente di
"economia libera". Ma se con "capitalismo" si intende un sistema in cui la
libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto
giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri
come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e
religioso, allora la risposta è decisamente negativa. La soluzione marxista è
fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione e di sfruttamento,
specialmente nel Terzo Mondo, nonché fenomeni di alienazione umana, specialmente
nei Paesi più avanzati, contro i quali si leva con fermezza la voce della
Chiesa. Tante moltitudini vivono tuttora in condizioni di grande miseria
materiale e morale. Il crollo del sistema comunista in tanti Paesi elimina certo
un ostacolo nell'affrontare in modo adeguato e realistico questi problemi, ma
non basta a risolverli. C'è anzi il rischio che si diffonda un'ideologia
radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di prenderli in
considerazione, ritenendo a priori condannato all'insuccesso ogni tentativo di
affrontarli, e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle
forze di mercato.
43. La Chiesa non propone modelli, ma orientamenti ideali.
La Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci
possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo
sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i
loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra
loro. A tale impegno la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale,
la propria dottrina sociale, che come si è detto, riconosce la positività del
mercato e dell'impresa, ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi
siano orientati verso il bene comune. Essa riconosce anche la legittimità degli
sforzi dei lavoratori per conseguire il pieno rispetto della loro dignità e
spazi maggiori di partecipazione nella vita dell'azienda, di modo che, pur
lavorando insieme con altri e sotto la direzione di altri, possano, in un certo
senso, "lavorare in proprio" esercitando la loro intelligenza e libertà.
a) L'azienda come "società di capitali" e come "società di persone".
L'integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma
piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso,
anche se ciò può indebolire assetti di potere consolidati. L'azienda non può
esser considerata solo come una "società di capitali"; essa, al tempo stesso, è
una "società di persone", di cui entrano a far parte in modo diverso e con
specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per
la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro. Per conseguire
questi fini è ancora necessario un grande movimento associato dei lavoratori il
cui obiettivo è la liberazione e la promozione integrale della persona.
b) La giusta concezione della proprietà individuale in rapporto alla
destinazione universale dei beni.
Alla luce delle "cose nuove" di oggi è stato riletto il rapporto tra la
proprietà individuale, o privata, e la destinazione universale dei beni. L'uomo
realizza se stesso per mezzo della sua intelligenza e della sua libertà e, nel
fare questo, assume come oggetto e come strumento le cose del mondo e di esse si
appropria. In questo suo agire sta il fondamento del diritto all'iniziativa e
alla proprietà individuale. Mediante il suo lavoro l'uomo s'impegna non solo per
se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri: ciascuno collabora al lavoro
ed al bene altrui. L'uomo lavora per sovvenire ai bisogni della sua famiglia,
della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in definitiva, dell'umanità
tutta. Egli, inoltre, collabora al lavoro degli altri, che operano nella stessa
azienda, nonché al lavoro dei fornitori o al consumo dei clienti, in una catena
di solidarietà che si estende progressivamente. La proprietà dei mezzi di
produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve
ad un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o
serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce
dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla
loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla
rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha
nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli
uomini.
c) Non è legittimata la società che nega il diritto di ognuno al lavoro e ad un
giusto compenso.
L'obbligo di guadagnare il pane col sudore della propria fronte suppone, al
tempo stesso, un diritto. Una società in cui questo diritto sia sistematicamente
negato, in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di
raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua
legittimazione etica né la pace sociale. Come la persona realizza pienamente se
stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel
creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per
tutti.
PARTE QUINTA
STATO E CULTURA
44. Necessità di una sana teoria dello Stato.
a) Lo "Stato di diritto" in cui è sovrana la legge.
Leone XIII non ignorava che una sana teoria dello Stato è necessaria per
assicurare il normale sviluppo delle attività umane: di quelle spirituali e di
quelle materiali, che sono entrambe indispensabili. Per questo, in un passo
della Rerum Novarum egli presenta l'organizzazione della società secondo i tre
poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, e ciò in quel tempo costituiva
una novità nell'insegnamento della Chiesa. Tale ordinamento riflette una visione
realistica della natura sociale dell'uomo, la quale esige una legislazione
adeguata a proteggere la libertà di tutti. A tal fine è preferibile che ogni
potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo
mantengano nel suo giusto limite. É, questo, il principio dello "Stato di
diritto", nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli
uomini.
b) Il totalitarismo moderno è una negazione del valore trascendente della
dignità della persona umana.
A questa concezione si è opposto nel tempo moderno il totalitarismo, il quale,
nella forma marxista-leninista, ritiene che alcuni uomini, in virtù di una più
profonda conoscenza delle leggi di sviluppo della società, o per una particolare
collocazione di classe o per un contatto con le sorgenti più profonde della
coscienza collettiva, sono esenti dall'errore e possono, quindi, arrogarsi
l'esercizio di un potere assoluto. Va aggiunto che il totalitarismo nasce dalla
negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità
trascendente, obbedendo alla quale l'uomo acquista la sua piena identità, allora
non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli
uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione il oppone
inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente,
allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo
i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione,
senza riguardo ai diritti dell'altro. Allora l'uomo viene rispettato solo nella
misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un'affermazione egoistica. La
radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della
trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile
e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno
può violare: né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo
Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi
contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di
annientarla.
45. Il totalitarismo nega la Chiesa e tende ad assorbire tutte le varie realtà
umane.
La cultura e la prassi del totalitarismo comportano anche la negazione della
Chiesa. Lo Stato, oppure il partito, che ritiene di poter realizzare nella
storia il bene assoluto e si erge al di sopra di tutti i valori, non può
tollerare che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male oltre la
volontà dei governanti, il quale, in determinate circostanze, può servire a
giudicare il loro comportamento. Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di
distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del
proprio apparato ideologico. Lo Stato totalitario, inoltre, tende ad assorbire
in se stesso la Nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose e le
stesse persone. Difendendo la propria libertà, la Chiesa difende la persona, che
deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cfr. At 5, 29), la famiglia, le
diverse organizzazioni sociali e le Nazioni, realtà tutte che godono di una
propria sfera di autonomia e di sovranità.
46. Il valore della democrazia.
La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la
partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governanti la
possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di
sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può
favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi
particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.
a) Senza il riferimento alle "verità ultime", la democrazia si trasforma
facilmente in totalitarismo.
Un'autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di
una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le
condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante
l'educazione e la formazione ai veri ideali, sia della "soggettività" della
società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di
corresponsabilità. Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo ed il
relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale
rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di
conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal
punto di vista democratico perché non accettano che la verità sia determinata
dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A
questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la
quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni
possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia
senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo,
come dimostra la storia.
b) Il metodo della Chiesa è il rispetto della libertà. Il pericolo del
fanatismo.
Né la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo, o
fondamentalismo, di quanti, in nome di un'ideologia che si pretende scientifica
o religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione
della verità e del bene. Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo
ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la
cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell'uomo si realizza
nella storia in condizioni diverse e non perfette. La Chiesa, pertanto,
riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo
metodo il rispetto della libertà. Ma la libertà è pienamente valorizzata
soltanto dall'accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà
perde la sua consistenza, e l'uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a
condizionamenti aperti od occulti. Il cristiano vive la libertà (cfr. Gv 8,
31-32) e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della
sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini
egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell'esperienza di vita e
nella cultura dei singoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò
che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della
ragione.
47. Costruzione di regimi democratici dopo il crollo del totalitarismo
comunista.
a) Necessaria attenzione per i diritti umani.
Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e
"di sicurezza nazionale", si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti,
dell'ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per
i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno
riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido
fondamento mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti. Tra i
principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il
diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il
diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo
sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria
intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità.
il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a
ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a
fondare liberamente una famiglia e ad accogliere e educare i figli, esercitando
responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in
un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità
della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria
persona.
b) Nelle vecchie democrazie non sempre i diritti umani sono rispettati.
Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi
diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo
dell'aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici,
che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene
comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate
secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza
elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del
costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente
diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla
popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente
incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del
bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi
particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad
un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta
comprensione della dignità e dei diritti della persona. La Chiesa rispetta la
legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere
preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale. Il
contributo, che essa offre a tale ordine, è proprio quella visione della dignità
della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del
Verbo incarnato.
48. I compiti dello Stato in campo economico.
a) Garantire a tutti la sicurezza, la libertà di operare e la moralità pubblica.
Queste considerazioni generali si riflettono anche sul ruolo dello Stato nel
settore dell'economia. L'attività economica, in particolare quella dell'economia
di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico.
Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà
individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici
efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire
questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del
proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e
onestà. La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione dei pubblici
poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di facili
profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative, è uno degli
ostacoli principali per lo sviluppo e per l'ordine economico.
b) Sorveglianza sull'esercizio dei diritti umani.
Altro compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei
diritti umani nel settore economico; ma in questo campo la prima responsabilità
non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui
si articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto
al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l'intera vita economica e
mortificare la libera iniziativa dei singoli. Ciò, tuttavia, non significa che
esso non abbia alcuna competenza in questo ambito come hanno affermato i
sostenitori di un'assenza di regole nella sfera economica. Lo Stato, anzi, ha il
dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che
assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o
sostenendola nei momenti di crisi.
c) Funzioni di supplenza dello Stato nell'attività economica in casi
eccezionali.
Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di
monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti
di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di
supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di
imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito.
Simili interventi di supplenza giustificati da urgenti ragioni attinenti al bene
comune, devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo, per non
sottrarre stabilmente a detti settori e sistemi di imprese le competenze che
sono loro proprie e per non dilatare eccessivamente l'ambito dell'intervento
statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile.
d) Evitare l'errore dello "Stato assistenziale", rispettando il principio di
sussidiarietà.
Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di
intervento, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo
nuovo: lo "Stato del benessere". Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati
per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni, ponendo rimedio
a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non sono, però,
mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più
recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come "Stato
assistenziale". Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da
un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo
ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di
ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di
ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla
in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle
altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e
deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di
energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche
burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme
crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce
meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso. Si
aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia
solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda. Si
pensi anche alla condizione dei profughi, degli immigrati, degli anziani o dei
malati ed a tutte le svariate forme che richiedono assistenza, come nel caso dei
tossico-dipendenti: persone tutte che possono essere efficacemente aiutate solo
da chi offre loro, oltre alle necessarie cure, un sostegno sinceramente
fraterno.
49. La Chiesa ha sempre operato con particolare attenzione verso i più
bisognosi.
a) Da sottolineare l'azione caritativa svolta dal "volontariato".
In questo campo la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, suo Fondatore, è da
sempre presente con le sue opere, per offrire all'uomo bisognoso un sostegno
materiale che non lo umili e non lo riduca ad esser solo oggetto di assistenza,
ma lo aiuti a uscire dalla precaria sua condizione, promovendone la dignità di
persona. Con viva gratitudine a Dio bisogna segnalare che la carità operosa non
si è mai spenta nella Chiesa ed anzi registra oggi un multiforme e confortante
incremento. Al riguardo, merita speciale menzione il fenomeno del volontariato,
che la Chiesa favorisce e promuove sollecitando tutti a collaborare per
sostenerlo e incoraggiarlo nelle sue iniziative.
b) Necessità di una adeguata politica sociale incentrata sulla funzione primaria
della famiglia.
Per superare la mentalità individualista, oggi diffusa, si richiede un concreto
impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia all'interno della famiglia
col mutuo sostegno degli sposi e, poi, con la cura che le generazioni si
prendono l'una dell'altra. In tal modo la famiglia si qualifica come comunità di
lavoro e di solidarietà. Accade, però, che quando la famiglia decide di
corrispondere pienamente alla propria vocazione, si può trovare priva
dell'appoggio necessario da parte dello Stato e non dispone di risorse
sufficienti. É urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche
politiche sociali, che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa,
aiutandola, mediante l'assegnazione di adeguate risorse e di efficienti
strumenti di sostegno, sia nell'educazione dei figli sia nella cura degli
anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i
rapporti tra le generazioni.
c) L'apporto di solidarietà delle altre società intermedie.
Oltre alla famiglia, svolgono funzioni primarie ed attivano specifiche reti di
solidarietà anche altre società intermedie. Queste, infatti, maturano come reali
comunità di persone ed innervano il tessuto sociale, impedendo che scada
nell'anonimato ed in un'impersonale massificazione, purtroppo frequente nella
moderna società. É nel molteplice intersecarsi dei rapporti che vive la persona
e cresce la "soggettività della società". L'individuo oggi è spesso soffocato
tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli
esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto
dell'amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli
uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato poiché possiede in se
stessa un singolare valore che Stato e mercato devono servire. L'uomo è, prima
di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza di viverla e di
approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate e future.
50. Una giusta "cultura della Nazione" che non disperda il patrimonio dei valori
tramandati.
Da tale ricerca aperta della verità, che si rinnova ad ogni generazione, si
caratterizza la cultura della Nazione. In effetti, il patrimonio dei valori
tramandati ed acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione.
Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in
modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella
propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi,
attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed
errori o da forme invecchiate, che possono esser sostituite da altre più
adeguate ai tempi.
In questo contesto, conviene ricordare che anche l'evangelizzazione si inserisce
nella cultura delle Nazioni, sostenendola nel suo cammino verso la verità ed
aiutandola nel lavoro di purificazione e di arricchimento. Quando, però, una
cultura si chiude in se stessa e cerca di perpetuare forme di vita invecchiate,
rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell'uomo, allora essa
diventa sterile e si avvia a decadenza.
51. Necessità di una adeguata formazione di una cultura dell'uomo.
a) Il contributo della Chiesa in favore di una vera cultura della verità.
Tutta l'attività umana ha luogo all'interno di una cultura e interagisce con
essa. Per un'adeguata formazione di tale cultura si richiede il coinvolgimento
di tutto l'uomo, il quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la
sua conoscenza del mondo e degli uomini. Egli, inoltre, vi investe la sua
capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di
disponibilità per promuovere il bene comune. Per questo, il primo e più
importante lavoro si compie nel cuore dell'uomo, ed il modo in cui questi si
impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se
stesso e del suo destino. É a questo livello che si colloca il contributo
specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura. Essa promuove le
qualità dei comportamenti umani, che favoriscono la cultura della pace contro
modelli che confondono l'uomo nella massa, disconoscono il ruolo della sua
iniziativa e libertà e pongono la sua grandezza nelle arti del conflitto e della
guerra. La Chiesa rende un tale servizio predicando la verità intorno alla
creazione del mondo, che Dio ha posto nelle mani degli uomini perché lo rendano
fecondo e più perfetto col loro lavoro, e predicando la verità intorno alla
redenzione, per cui il Figlio di Dio ha salvato tutti gli uomini e, al tempo
stesso, li ha uniti gli uni agli altri, rendendoli responsabili gli uni degli
altri. La Sacra Scrittura ci parla continuamente di attivo impegno per il
fratello e ci presenta l'esigenza di una corresponsabilità che deve abbracciare
tutti gli uomini.
b) Ognuno deve sentirsi responsabile della sorte degli altri uomini, da
considerare come fratelli.
Questa esigenza non si ferma ai confini della propria famiglia, e neppure della
Nazione o dello Stato, ma investe ordinatamente tutta l'umanità, sicché nessun
uomo deve considerarsi estraneo o indifferente alla sorte di un altro membro
della famiglia umana. Nessun uomo può affermare di non essere responsabile della
sorte del proprio fratello (cfr. Gn 4, 9. Lc 10, 29-37; Mt 25, 31-46)! l'attenta
e premurosa sollecitudine verso il prossimo, nel momento stesso del bisogno,
oggi facilitata anche dai nuovi mezzi di comunicazione che hanno reso gli uomini
più vicini tra loro, è particolarmente importante in relazione alla ricerca
degli strumenti di soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla
guerra. Non è difficile affermare che la potenza terrificante dei mezzi di
distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più
stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la Terra, rendono assai
arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto.
52. Le conseguenze di un conflitto oggi sono illimitate.
a) Le possibili radici per un conflitto.
I pontefici Benedetto XV ed i suoi successori hanno lucidamente compreso questo
pericolo, ed io stesso, in occasione della recente drammatica guerra nel Golfo
Persico, ho ripetuto il grido: "Mai più la guerra!". No, mai più la guerra, che
distrugge la vita degli innocenti, che insegna ad uccidere e sconvolge
egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di
rancori e di odi rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi
problemi che l'hanno provocata! Come all'interno dei singoli Stati è giunto
finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della
rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che
un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale. Non bisogna,
peraltro, dimenticare che alle radici della guerra ci sono in genere reali e
gravi ragioni: ingiustizie subite, frustrazioni di legittime aspirazioni miseria
e sfruttamento di moltitudini umane disperate, le quali non vedono la reale
possibilità di migliorare le loro condizioni con le vie della pace.
b) Lo sviluppo per tutti i popoli, presupposto indispensabile per la pace, esige
reciproca comprensione e conoscenza.
Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità
collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di
promuovere lo sviluppo. Come a livello interno è possibile e doveroso costruire
un'economia sociale che orienti il funzionamento del mercato verso il bene
comune allo stesso modo è necessario che ci siano interventi adeguati anche a
livello internazionale. Perciò, bisogna fare un grande sforzo di reciproca
comprensione, di conoscenza e di sensibilizzazione delle coscienze. É questa
l'auspicata cultura che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane del
povero e, quindi, nella sua capacità di migliorare la propria condizione
mediante il lavoro, o di dare un positivo contributo al benessere economico. Per
far questo, però, il povero, individuo o Nazione, ha bisogno che gli siano
offerte condizioni realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è il
compito di una concertazione mondiale per lo sviluppo, che implica anche il
sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più
sviluppate si avvantaggiano. Ciò può comportare importanti cambiamenti negli
stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco delle risorse
ambientali ed umane, permettendo così a tutti i popoli ed uomini della terra di
averne in misura sufficiente. A ciò si deve aggiungere la valorizzazione dei
nuovi beni materiali e spirituali, frutto del lavoro e della cultura dei popoli
oggi emarginati, ottenendo così il complessivo arricchimento umano della
famiglia delle Nazioni.
PARTE SESTA
L'UOMO É LA VIA DELLA CHIESA
53. La Chiesa si è sempre interessata della cura dell'uomo reale: "concreto" e
"storico".
Di fronte alla miseria del proletariato Leone XIII diceva: "Affrontiamo con
fiducia questo argomento e con pieno nostro diritto... Ci parrebbe di mancare al
nostro ufficio se tacessimo". Negli ultimi cento anni la Chiesa ha ripetutamente
manifestato il suo pensiero, seguendo da vicino la continua evoluzione della
questione sociale, e non ha certo fatto questo per recuperare privilegi del
passato o per imporre una sua concezione. Suo unico scopo è stata la cura e
responsabilità per l'uomo, a lei affidato da Cristo stesso, per questo uomo che,
come il Concilio Vaticano II ricorda, è la sola creatura che Dio abbia voluto
per se stessa e per cui Dio ha il suo progetto, cioè la partecipazione
all'eterna salvezza. Non si tratta dell'uomo "astratto", ma dell'uomo reale,
"concreto" e "storico": si tratta di ciascun uomo, perché ciascuno è stato
compreso nel mistero della redenzione e con ciascuno Cristo si è unito per
sempre attraverso questo mistero. Ne consegue che la Chiesa non può abbandonare
l'uomo, e che "questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel
compimento della sua missione..., la via tracciata da Cristo stesso, via che
immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della
redenzione". É, questa, solo questa l'ispirazione che presiede alla dottrina
sociale della Chiesa. Se essa l'ha a mano a mano elaborata in forma sistematica,
soprattutto a partire dalla data che commemoriamo, è perché tutta la ricchezza
dottrinale della Chiesa ha come orizzonte l'uomo nella sua concreta realtà di
peccatore e di giusto.
54. La dottrina sociale della Chiesa è uno strumento di evangelizzazione.
La dottrina sociale oggi specialmente mira all'uomo, in quanto inserito nella
complessa rete di relazioni delle società moderne. Le scienze umane e la
filosofia sono di aiuto per interpretare la centralità dell'uomo dentro la
società e per metterlo in grado di capir meglio se stesso, in quanto "essere
sociale". Soltanto la fede, però, gli rivela pienamente la sua identità vera, e
proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della Chiesa, la quale,
valendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di
assistere l'uomo nel cammino della salvezza. L'Enciclica Rerum Novarum può
essere letta come un importante apporto all'analisi socio-economica della fine
del secolo XIX, ma il suo particolare valore le deriva dall'essere un Documento
del Magistero, che ben si inserisce nella missione evangelizzatrice della Chiesa
insieme con molti altri Documenti di questa natura. Da ciò si evince che la
dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione: in
quanto tale, annuncia Dio ed il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e,
per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso. In questa luce, e solo in
questa luce, si occupa del resto: dei diritti umani di ciascuno e, in
particolare del "proletariato", della famiglia e dell'educazione, dei doveri
dello Stato, dell'ordinamento della società nazionale e internazionale, della
vita economica, della cultura, della guerra e della pace, del rispetto alla vita
dal momento del concepimento fino alla morte.
55. La Rivelazione dà il "senso dell'uomo", alla Chiesa.
La Chiesa riceve il "senso dell'uomo" dalla divina Rivelazione. "Per conoscere
l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale, bisogna conoscere Dio", diceva Paolo VI,
e subito dopo citava santa Caterina da Siena, che esprimeva in preghiera lo
stesso concetto: "Nella tua natura, Deità eterna, conoscerò la natura mia".
a) L'antropologia cristiana è un capitolo della teologia.
Pertanto, l'antropologia cristiana è in realtà un capitolo della teologia e, per
la stessa ragione, la dottrina sociale della Chiesa preoccupandosi dell'uomo,
interessandosi a lui e al suo modo di comportarsi nel mondo, "appartiene... al
campo della teologia e, specialmente, della teologia morale". La dimensione
teologica risulta necessaria sia per interpretare che per risolvere gli attuali
problemi della convivenza umana. Il che vale, conviene rilevarlo, tanto nei
confronti della soluzione "atea", che priva l'uomo di una delle sue componenti
fondamentali quella spirituale, quanto nei confronti delle soluzioni permissive
e consumistiche, le quali con vari pretesti mirano a convincerlo della sua
indipendenza da ogni legge e da Dio, chiudendolo in un egoismo che finisce per
nuocere a lui stesso ed agli altri.
b) L'annuncio della salvezza di Dio è un arricchimento della dignità dell'uomo.
Nuove forze e metodi nuovi per l'evangelizzazione.
Quando annuncia all'uomo la salvezza di Dio, quando gli offre e comunica la vita
divina mediante i sacramenti, quando orienta la sua vita con i comandamenti
dell'amore di Dio e del prossimo, la Chiesa contribuisce all'arricchimento della
dignità dell'uomo. Ma essa, come non può mai abbandonare questa sua missione
religiosa e trascendente in favore dell'uomo, così si rende conto che la sua
opera incontra oggi particolari difficoltà ed ostacoli. Ecco perché si impegna
sempre con nuove forze e con nuovi metodi all'evangelizzazione che promuove
tutto l'uomo. Anche alla vigilia del terzo Millennio, essa rimane "il segno e la
salvaguardia del carattere trascendente della persona umana", come ha sempre
cercato di fare sin dall'inizio della sua esistenza, camminando insieme con
l'uomo lungo tutta la storia. L'Enciclica Rerum Novarum ne è un'espressione
significativa.
56. Necessità di divulgare in tutto il mondo la dottrina sociale cristiana.
Nel centesimo anniversario di quest'Enciclica, desidero ringraziare tutti coloro
che si sono impegnati a studiare, approfondire e divulgare la dottrina sociale
cristiana. A questo fine è indispensabile la collaborazione delle Chiese locali,
ed io auguro che la ricorrenza sia motivo di un rinnovato slancio per il suo
studio, diffusione ed applicazione nei molteplici ambiti. Desidero, in
particolare, che essa sia fatta conoscere e sia attuata nei diversi Paesi dove,
dopo il crollo del socialismo reale si manifesta un grave disorientamento
nell'opera di ricostruzione. A loro volta, i Paesi occidentali corrono il
pericolo di vedere in questo cedimento la vittoria unilaterale del proprio
sistema economico, e non si preoccupano, perciò, di apportare ad esso le dovute
correzioni. I Paesi del Terzo Mondo, poi si trovano più che mai nella drammatica
situazione dei sottosviluppo, che ogni giorno si aggrava. Leone XIII, dopo aver
formulato i principi e gli orientamenti per la soluzione della questione
operaia, scrisse una parola decisiva: "Ciascuno faccia la parte che gli spetta e
non indugi, perché il ritardo potrebbe render più difficile la cura di un male
già tanto grave", aggiungendo anche: "Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai
mancare in nessun modo l'opera sua".
57. Il messaggio sociale cristiano trova la sua credibilità nella testimonianza
delle opere.
Per la Chiesa il messaggio sociale del Vangelo non deve esser considerato una
teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l'azione. Spinti
da questo messaggio, alcuni dei primi cristiani distribuivano i loro beni ai
poveri, testimoniando che, nonostante le diverse provenienze sociali, era
possibile una convivenza pacifica e solidale. Con la forza del Vangelo, nel
corso dei secoli, i monaci coltivarono le terre, i religiosi e le religiose
fondarono ospedali e asili per i poveri, le confraternite, come pure uomini e
donne di tutte le condizioni, si impegnarono in favore dei bisognosi e degli
emarginati, essendo convinti che le parole di Cristo: "Ogni volta che farete
queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,
40), non dovevano rimanere un pio desiderio, ma diventare un concreto impegno di
vita. Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale
troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua
coerenza e logica interna. Anche da questa consapevolezza deriva la sua opzione
preferenziale per i poveri, la quale non è mai esclusiva né discriminante verso
altri gruppi. Si tratta, infatti, di opzione che non vale soltanto per la
povertà materiale, essendo noto che, specialmente nella società moderna, si
trovano molte forme di povertà non solo economica, ma anche culturale e
religiosa. L'amore della Chiesa per i poveri, che è determinante ed appartiene
alla sua costante tradizione, la spinge a rivolgersi al mondo nel quale,
nonostante il progresso tecnico-economico, la povertà minaccia di assumere forme
gigantesche. Nei Paesi occidentali c'è la povertà multiforme dei gruppi
emarginati, degli anziani e malati, delle vittime del consumismo e, più ancora,
quella dei tanti profughi ed emigrati; nei Paesi in via di sviluppo si profilano
all'orizzonte crisi drammatiche, se non si prenderanno in tempo misure
internazionalmente coordinate.
58. Nell'epoca attuale della "mondializzazione dell'economia" la Chiesa si fa
promotrice della
giustizia e vuol curare gli interessi dell'intera famiglia umana.
L'amore per l'uomo e, in primo luogo, per il povero, nel quale la Chiesa vede
Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia. Questa non potrà mai
essere pienamente realizzata, se gli uomini non riconosceranno nel bisognoso,
che chiede un sostegno per la sua vita, non un importuno o un fardello, ma
l'occasione di bene in sé, la possibilità di una ricchezza più grande. Solo
questa consapevolezza infonderà il coraggio per affrontare il rischio ed il
cambiamento impliciti in ogni autentico tentativo di venire in soccorso
dell'altro uomo. Non si tratta, infatti, solo di dare il superfluo, ma di
aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo
dello sviluppo economico ed umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al
superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando
gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture
consolidate di potere che oggi reggono le società. Ne si tratta di distruggere
strumenti di organizzazione sociale che han dato buona prova di sé, ma di
orientarli secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento
all'intera famiglia umana. Oggi è in atto la cosiddetta "mondializzazione
dell'economia", fenomeno, questo, che non va deprecato, perché può creare
straordinarie occasioni di maggior benessere. Sempre più sentito, però, è il
bisogno che a questa crescente internazionalizzazione dell'economia
corrispondano validi Organi internazionali di controllo e di guida, che
indirizzino l'economia stessa al bene comune, cosa che ormai un singolo Stato,
fosse anche il più potente della Terra, non è in grado di fare. Per poter
conseguire un tale risultato, occorre che cresca la concertazione tra i grandi
Paesi e che negli Organismi internazionali siano equamente rappresentati gli
interessi della grande famiglia umana. Occorre anche che essi, nel valutare le
conseguenze delle loro decisioni, tengano sempre adeguato conto di quei popoli e
Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni
più vivi e dolenti e necessitano di maggior sostegno per il loro sviluppo.
Indubbiamente, in questo campo rimane molto da fare.
59. Condizioni per l'attuazione della giustizia.
a) Il dono della grazia che viene da Dio.
Perché dunque, si attui la giustizia ed abbiano successo i tentativi degli
uomini per realizzarla, è necessario il dono della grazia, che viene da Dio. Per
mezzo di essa, in collaborazione con la libertà degli uomini, si ottiene quella
misteriosa presenza di Dio nella storia che è la Provvidenza. L'esperienza di
novità vissuta nella sequela di Cristo esige di esser comunicata agli altri
uomini nella concretezza delle loro difficoltà, lotte, problemi e sfide, perché
siano illuminate e rese più umane dalla luce della fede. Questa, infatti, non
aiuta soltanto a trovare le soluzioni, ma rende umanamente vivibili anche le
situazioni di sofferenza, perché in esse l'uomo non si perda e non dimentichi la
sua dignità e vocazione.
b) Dimensione interdisciplinare e pratica della dottrina sociale della Chiesa.
La dottrina sociale, inoltre, ha un'importante dimensione interdisciplinare. Per
incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e
continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in dialogo
con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli apporti
e le aiuta ad aprirsi verso un orizzonte più ampio al servizio della singola
persona, conosciuta ed amata nella pienezza della sua vocazione. Accanto alla
dimensione interdisciplinare, poi, è da ricordare la dimensione pratica e, in un
certo senso, sperimentale di questa dottrina. Essa si situa all'incrocio della
vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta
negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali politici e
uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia.
60. Appello della Chiesa per la soluzione della questione operaia.
a) Collaborazione fra tutti gli uomini.
Annunciando i principi per la soluzione della questione operaia, Leone XIII
scriveva: "La soluzione di un problema così arduo richiede il concorso e
l'efficace cooperazione anche di altri". Egli era convinto che i gravi problemi,
causati dalla società industriale, potevano essere risolti soltanto mediante la
collaborazione tra tutte le forze. Questa affermazione è diventata un elemento
permanente della dottrina sociale della Chiesa, e ciò spiega, tra l'altro,
perché Giovanni XXIII indirizzò la sua Enciclica sulla pace anche a "tutti gli
uomini di buona volontà". Papa Leone, tuttavia, constatava con dolore che le
ideologie del tempo, specialmente il liberalismo e il marxismo, rifiutavano
questa collaborazione. Nel frattempo molte cose sono cambiate, specialmente
negli anni più recenti. Il mondo odierno è sempre più consapevole che la
soluzione dei gravi problemi nazionali e internazionali non è soltanto questione
di produzione economica o di organizzazione giuridica o sociale, ma richiede
precisi valori etico-religiosi, nonché cambiamento di mentalità, di
comportamento e di strutture. La Chiesa si sente, in particolare, responsabile
di offrire questo contributo e, come ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo rei
socialis, c'è la fondata speranza che anche quel gruppo numeroso che non
confessa una religione possa contribuire a dare il necessario fondamento etico
alla questione sociale.
b) Collaborazione fra le grandi religioni e fra le persone con responsabilità
politiche, economiche e sociali.
Nello stesso Documento ho pure rivolto un appello alle Chiese cristiane e a
tutte le grandi religioni del mondo invitando ad offrire l'unanime testimonianza
delle comuni convinzioni circa la dignità dell'uomo, creato da Dio. Sono
persuaso, infatti, che le religioni oggi e domani avranno un ruolo preminente
per la conservazione della pace e per la costruzione di una società degna
dell'uomo. D'altra parte, la disponibilità al dialogo e alla collaborazione vale
per tutti gli uomini di buona volontà e, in particolare, per le persone ed i
gruppi che hanno una specifica responsabilità nel campo politico economico e
sociale, a livello sia nazionale che internazionale.
61. I vari aspetti dell'impegno della Chiesa in difesa dell'uomo negli ultimi
cento anni.
All'inizio della società industriale, fu "il giogo quasi servile" che obbligò il
mio predecessore a prendere la parola in difesa dell'uomo. A tale impegno nei
cento anni trascorsi la Chiesa è rimasta fedele! Infatti, è intervenuta nel
periodo turbolento della lotta di classe dopo la prima guerra mondiale, per
difendere l'uomo dallo sfruttamento economico e dalla tirannia dei sistemi
totalitari. Ha posto la dignità della persona al centro dei suoi messaggi
sociali dopo la seconda guerra mondiale, insistendo sulla destinazione
universale dei beni materiali, su un ordine sociale senza oppressione e fondato
sullo spirito di collaborazione e di solidarietà. Ha poi ribadito costantemente
che la persona e la società non hanno bisogno soltanto di questi beni, ma anche
dei valori spirituali e religiosi. Inoltre, rendendosi conto sempre meglio che
troppi uomini vivono non nel benessere del mondo occidentale, ma nella miseria
dei Paesi in via di sviluppo, e subiscono una condizione che è ancora quella del
"giogo quasi servile", essa ha sentito e sente l'obbligo di denunciare tale
realtà con tutta chiarezza e franchezza, benché sappia che questo suo grido non
sarà sempre accolto favorevolmente da tutti . A cento anni dalla pubblicazione
della Rerum Novarum la Chiesa si trova tuttora davanti a "cose nuove" e a nuove
sfide. Perciò, il centenario deve confermare nell'impegno tutti gli uomini di
buona volontà e, in particolare, i credenti.
62. La "Centesimus Annus" prepara la venuta del nuovo secolo.
Questa mia Enciclica ha voluto guardare al passato, ma soprattutto è protesa
verso il futuro. Come la Rerum Novarum, essa si colloca quasi alla soglia del
nuovo secolo ed intende, con l'aiuto di Dio, prepararne la venuta. a vera e
perenne "novità delle cose" in ogni tempo viene dall'infinita potenza divina,
che dice: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21, 5). Queste parole si
riferiscono al compimento della storia, quando Cristo "consegnerà il regno a Dio
Padre..., perché Dio sia tutto in tutti" (I Cor 15, 24.28). Ma il cristiano sa
bene che la novità, che attendiamo nella sua pienezza al ritorno del Signore, è
presente fin dalla creazione del mondo e, più propriamente, da quando Dio si è
fatto uomo in Gesù Cristo e con lui e per lui ha fatto una "nuova creazione" (2
Cor 5, 17; Gal 6, 15). Nel concludere, ringrazio ancora Dio onnipotente, che ha
dato alla sua Chiesa la luce e la forza di accompagnare l'uomo nel cammino
terreno verso il destino eterno. Anche nel terzo Millennio la Chiesa sarà fedele
nel fare propria la via dell'uomo, consapevole che non procede da sola, ma con
Cristo, suo Signore. É lui che ha fatto propria la via dell'uomo e lo guida
anche quando questi non se ne rende conto. Maria, la Madre del Redentore, la
quale rimane accanto a Cristo nel suo cammino verso e con gli uomini, e precede
la Chiesa nel pellegrinaggio della fede, accompagni con materna intercessione
l'umanità verso il prossimo Millennio, in fedeltà a Colui che, "ieri come oggi,
e lo stesso e lo sarà sempre" (cfr. Eb 13, 8), Gesù Cristo, nostro Signore, nel
cui nome tutti benedico di cuore.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° maggio, memoria di San Giuseppe
lavoratore, dell'anno 1991, decimoterzo di pontificato.