L'IMPREVEDIBILE  E'  ACCADUTO IN

GESU'  DI  NAZARETH

 

Parole e azioni di Gesù

 

 

Gesù ha la coscienza di essere il Rivelatore del Dio amore?

 

E’ importante rispondere all’interrogativo chi sia Gesù, se Gesù possa essere il rivelatore di Dio, conoscere la coscienza che Gesù ha di se stesso, quello che egli ha pensato di se stesso. Questa coscienza si rivela abbondantemente attraverso  quello che i vangeli ci hanno lasciato, come ricordo del suo messaggio, attività, comportamento. Guardiamo prima di tutto al messaggio.

Al cuore di questo messaggio è l’annuncio del Regno di Dio, la sovranità di Dio che deve venire, ma è già presente. Gesù è convinto che l’ora che sta passando il  mondo, la storia dal momento della sua venuta, è ora unica ed eccezionale, perché Dio sta prendendo in mano la sorte della storia e la sta dirigendo verso il suo fine, un fine di salvezza, un fine che rappresenta per tutta l’umanità il recupero completo dal male. La novità dell’ora consiste in questa presenza particolare di Dio, che agisce in vista dell’attuazione completa del Suo piano di salvezza; la novità è legata al fatto che Gesù c’è.

Se questa ora è diversa dalle altre è perché è segnata dalla presenza e dall’azione di Gesù. Egli si sente come la novità. Non lo dice in parole esplicite, ma in tante maniere questa sua convinzione traspare dal messaggio di Gesù e dal suo comportamento; la singolarità eccezionale dell’ora è data dal fatto della sua presenza: Dio ormai c’è nel mondo come amico dell’uomo, che salva l’uomo perché c’è Gesù, c’è in Gesù, perché agisce nel mondo attraverso di lui, e non è pensabile che ci sia una presenza maggiore di Dio, rispetto a quella realizzata in Gesù, una attività più intensa di Dio a favore dell’uomo rispetto a quella attuata da Gesù.

Al cuore del messaggio di Gesù e di tutta questa attività di Gesù c’è Dio: tutto è centrato su Dio. Però quando si è detto questo, non si sarebbe riconosciuto il messaggio di Gesù nella sua profondità, e non si sarebbe capito il significato dell’insistenza particolare che Gesù pone riguardo al Regno, alla sovranità di Dio come già attuata anche se insieme dovrà dispiegarsi pienamente nel futuro, se non si legasse questa signoria di Dio al fatto della presenza di Gesù. Dio regna attraverso Gesù; Dio ormai è un Dio con, per, in mezzo agli uomini in maniera definitiva e insuperabile, grazie a Gesù; è in e attraverso Gesù che egli entra così definitivamente e decisamente nella storia umana. Gesù di questo è pienamente consapevole: questo è il contenuto essenziale della coscienza che Egli ha di se stesso. La tesi come tale non è mai annunciata in questi termini, però essa è espressa in molte maniere, continuamente traspare da quello che Gesù dice, da quello che Gesù fa.

 

 

I segni dell’avvento del Regno

 

Per esempio: Gesù mangia e beve con i peccatori; questo è un fatto incontestabile che attira a Gesù parecchia critica. Mangia e beve con i peccatori, con i pubblicani con altra gente che era considerata, dal punto di vista religioso e morale, poco raccomandabile.

Questo mangiare e bere ha un significato profondamente teologico ed è per questo che irrita, indispone i custodi dell’ortodossia, gli osservatori più zelanti della religiosità di Israele. Mangiare e bere insieme per gli ebrei, era, molto più che per noi, segno di familiarità, attestazione di amicizia, offerta di benevolenza; Gesù che mangia e beve con i peccatori non è semplicemente uno che se la spassa, ma è offerta ai peccatori della misericordia di Dio.

E’ Dio che va verso i peccatori, di sua iniziativa per incontrarli, per rivelare ad essi il suo volto benigno, per aprire ad essi il suo cuore, per offrire ad essi nella maniera più semplice, più umana, più diretta la sua amicizia. Mangiare e bere con i peccatori è il Regno di Dio che viene per questi poveri. E’ Dio che si fa veramente vicino a loro, solidarizza con loro offrendo misericordia, così da liberare questa gente dal peso del male, dalla solitudine, dalla disperazione, comunque dal fallimento della loro vita.

Mangiare e bere con i peccatori è, come oggi sempre più persone riconoscono,proposta efficace del Regno di Dio, della sovranità di Dio. E’ questo aspetto che scandalizza profondamente gli esponenti della religiosità ufficiale che non vorrebbero Dio compromesso con questa gente. Non possono sopportare che Gesù sia veramente il rappresentante di Dio se fa di queste cose.

E’ nel nome della santità di Dio che non vogliono contaminata da un comportamento così equivoco di Gesù, che essi rifiutano Gesù che mangia e beve con i peccatori. Questo rifiuto pesa su Gesù, ma non per questo si lascia scoraggiare e cambia comportamento e, quello che è importante, egli giustifica il suo modo di fare che a tanti riesce incomprensibile, scandaloso, con le parabole della misericordia (la pecora perduta, la dramma perduta, il figliol prodigo) che sicuramente sono autentiche nel loro nucleo e che solo Luca ci riporta nel capitolo 15 del suo vangelo. Luca riporta esplicitamente che Gesù propone questa parabole come spiegazione del suo comportamento.

Si avvicinarono a lui i pubblicani e i peccatori; i farisei e gli scribi mormoravano: ’costui riceve i peccatori e mangia con loro. Allora egli disse questa parabola: Chi di voi ha cento pecore.... ....così vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

Gesù dice questo perché non può comportarsi diversamente, perché Dio è veramente come quel pastore. Dio é così ed Egli non può fare diversamente, evidentemente perché: Io sono nel mondo l’espressione concreta, la manifestazione storica, tangibile di Dio nel suo amore misericordioso; il volto di Dio appare sul mio volto.

Gesù sente che nel suo modo di fare concreto Dio stesso si impegna, cosicché la sua umanità con le sua manifestazioni verso i peccatori è pura e semplice attestazione dello Spirito, dell’atteggiamento di Dio. Non basta. Gesù nei confronti dei peccatori non fa solo questo; annuncia la remissione dei peccati e non soltanto in senso generale, affermando che è scoccata l’ora della misericordia, ma Gesù fa di più: a singoli peccatori dice ti sono rimessi i tuoi peccati.

Questi testi godono di grande attendibilità. Gesù dunque assicura alcuni del fatto che sono rimessi i loro peccati. Questa sicurezza di Gesù nel garantire ad una determinata persona che sono rimessi da Dio i suoi peccati suscita un movimento di stupore scandalizzato espresso in termini molto semplici.

Quest’uomo pretende per sé dei poteri di Dio; come può costui dire: ti sono rimessi i peccati, se solo Dio rimette i peccati? Ma Gesù non dice: ti rimetto i tuoi peccati, ma: ti assicuro che i tuoi peccati sono rimessi.

Gesù é convinto di conoscere esattamente l’atteggiamento di Dio nei confronti di una determinata persona.

Gesù conosce il pensiero di Dio riguardo al segreto intimo della coscienza umana e questo viene comprensibilmente interpretato come una inaccettabile pretesa di rivendicare a se stesso qualche cosa che spetta soltanto a Dio. Gesù con tanta spontaneità afferma questa remissione dei peccati, appare come il portatore del perdono dei peccati.

Zaccheo è pubblicano. Gesù si fa invitare a casa sua e durante il pranzo pronuncia: Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Come? Attraverso Gesù, che incarna la salvezza, incorpora in sé la salvezza di Dio e dove lui entra e viene accolto è la salvezza che entra, oltre la quale non ce n’é una più grande, più ricca, più significativa.

Che coscienza di sé inaudita, quasi folle, ci deve essere in un uomo che parla così: attraverso di me entra oggi nella tua casa la salvezza. Per questo Gesù non ha nessuna difficoltà a dire: Io sono il medico, venuto a sanare ciò che è malato, il medico dell’umanità, la cui terapia non è una qualsiasi, ma va al fondo del cuore umano, un raggio d’azione non limitato, ma capace di abbracciare l’umanità come se fosse un solo uomo.

Per questo Gesù può presentarsi come lo sposo; dietro a questa immagine c’è tutta una storia. Nella spiritualità e nella teologia di Israele lo sposo è Dio, é Jahvé che ama con amore sponsale il suo popolo. Gesù di nuovo applica a se stesso questa immagine, escogitata per esprimere cosa significa Dio per Israele: Egli é lo sposo, che porta all’umanità, esprime nei confronti dell’umanità che incontra sulla sua strada, la ricchezza dell’amore di Dio. Gesù è ancora colui che dice di sé non una sola volta beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete, e gli orecchi che ascoltano ciò che voi udite, perché profeti e re desiderarono udire e vedere ciò che voi potete ascoltare e vedere e non lo poterono.

Per lo stesso motivo i contemporanei di Gesù ebbero la singolare grazia di vivere un’esperienza veramente unica, quella esperienza che avrebbero voluto fare nel corso della storia di Israele i re e i profeti. Tutta questa storia in tensione verso il futuro, tutta proiettata verso un’ora solenne, definitiva, che doveva venire, questa storia trova adesso il coronamento in Gesù.

Gesù non portò semplicemente un messaggio, una presenza di Dio dissociata dalla presenza di lui. Il messaggio della presenza, della signoria di Dio che opera nel mondo come amore, è valido proprio perché Gesù è l’incarnazione, il luogo concreto, storico di questa presenza. Quanto Gesù annuncia è vero, perché egli c’è, per cui è impossibile separare il messaggio dalla presenza di Gesù; egli non propone una teoria, una interpretazione del tempo, una ipotesi di salvezza distinta, dissociata da lui, egli propone l’amore di Dio, lo annuncia in tanti modi, lo offre, lo propone, lo irradia; ma come un amore che in lui, Gesù, è condensato, un amore di cui Lui, Gesù, è un segno pieno, potente, perché la sua umanità incorpora in sé questo amore, questo Dio amore.

Così, in questa prospettiva, si intende la particolare forza di certi altri aspetti del messaggio e del comportamento di Gesù che normalmente viene sottolineata nell’apologetica. Per esempio, il modo con cui Gesù si pone di fronte alla legge sacra di Israele come era stata consegnata da Mosé al popolo, e poi trasmessa lungo il corso delle generazioni lungo secoli e secoli.

Gesù può sembrare uno dei vari maestri dell’interpretazione di questa legge di Dio, che regolava non solo la vita del singolo, ma di tutto il popolo, perché si presenta anche esternamente come Rabbì, circondato da un gruppo di discepoli, come facevano normalmente i rabbini. Però nel fondo ha un rapporto con questa legge che è completamente diverso da quello dei Rabbì del suo tempo, dal tempo successivo e da quello precedente; quel rapporto fa dire alla gente costui parla con una particolare autorità.

Gesù non si limita come gli altri a interpretare la legge, allineandosi con una delle scuole teologiche e giurisprudenziali del tempo, o inventandone una nuova, ma il cui significato consiste sempre e solo nel prendere come base indiscussa la legge di Mosé e poi cercare di interpretarla e applicarla. Gesù nelle antitesi del discorso della montagna, storicamente attendibili, nel loro nucleo scalza la legge stessa, mette in discussione il contenuto della legge stessa, si pone di fronte e si contrappone a Mosè, il legislatore per eccellenza che aveva ricevuto da Dio stesso queste leggi, cosa inaudita, empia, Mosé viene attaccato: Vi è stato detto... io invece vi dico. Ma chi è costui?

 

 

Io vi dico

 

Qui c’è uno più grande di Giona. Questa frase è uscita molto probabilmente dalle sue labbra. Gli abitanti di Ninive si sono convertiti, quando Giona, mandato loro da Dio, li chiamò alla penitenza, e qui, in mezzo a noi, c’è uno più grande di Giona. La regina di Saba venne da lontano per ascoltare Salomone e godere della sua sapienza. Qui tra noi c’è uno più grande di Salomone.

Gesù avrebbe potuto dire così: Qui c’è uno più grande di Mosè, cosa incredibile! Ma chi è costui che ha tanta sfacciataggine da mettere in discussione la legge di Mosè? Vedete il modo con cui si pone nella discussione sul divorzio nei confronti della legge di Mosè: Gesù rifiuta il divorzio, anche se era stato introdotto da Mosè che aveva regolamentato una prassi già esistente, che aveva bisogno di venir giuridicamente precisata, per porre fine a certi abusi, ma che comunque era una legalizzazione molto liberale, mosaica comunque, e che nessuno osava contestare. Gesù rifiuta il divorzio e i suoi discepoli sono interdetti, e gli ricordano quello che ha fatto Mosè. E Gesù dice: Mosé ha introdotto questa legge cedendo alla durezza del vostro cuore, ma all’inizio non era così.

Con queste parole Gesù scavalca secoli di tradizione ebraica radicata nella legislazione addirittura Mosaica e si rifà all’inizio, alla volontà iniziale di Dio nei confronti del matrimonio, e lo fa valere adesso.

E’ di più di Mosè.

Chi è costui? Più grande di Mosé, di Salomone, di Giona, di tutti i profeti? Gesù viene inteso come uno dei profeti, ma non si lascia inquadrare in questa categoria: Gesù fa saltare tutti gli schemi. Gli ebrei erano convinti di essere da secoli senza profeti e consideravano povero, squallido questo lungo periodo vuoto della presenza dei profeti; per cui poteva sembrare già tanto poter riconoscere in un uomo, in un ebreo, la presenza della fiamma profetica.

Ma Gesù sente che in Lui non arde semplicemente la fiamma profetica; e lo rivela in un modo costante di parlare, che può sembrare un piccolo particolare, ma è decisivo.

Tutti i profeti dell’Antico Testamento si preoccupano, quando annunciano la Parola di Dio, di distinguerla dalla loro, e quindi introducono i vaticini di Jahvè, dicendo con solennità e chiarezza Parola di Dio, Dio mi manda a dire... Gesù non fa mai così, dice: io vi dico...

Una piccola, enorme differenza rispetto ai profeti. Chi è questo Io? Non: Dio vi dice, ma Io vi dico: dunque Lui pretende di non essere semplicemente un profeta che porta la Parola di Dio, ma di essere questa stessa parola, la presenza di Dio che parla. Tutto quello che dice, senza alcuna distinzione, senza poter discriminare tra questa e quella parola, è oracolo di Jahvè.

E’ inaudito, assolutamente originale rispetto a tutto il fenomeno profetico, che non aveva mai conosciuto un simile stile e linguaggio. Esiste una forte compenetrazione tra questo uomo e Dio. Potremmo portare altri segni di questa coscienza. Quello che abbiamo visto basta per farci intravedere con sufficiente chiarezza che nell’incontro con Gesù si sperimenta la presenza salvifica di Dio.

In Gesù si entra a contatto con Dio e il suo Regno; in Lui si incontrano la gloria di Dio, - egli è il Regno -, la Parola, l’Amore di Dio in persona; il messaggio sul Regno crolla, si affloscia completamente, perché Gesù è la concretezza storica di questa presenza, e lui ne è profondamente consapevole.

In Gesù non si può dissociare la causa del Regno e la sua persona, il suo messaggio dalla sua persona. Le parole, le azioni di Gesù sono il Regno di Dio che irrompe nella storia, attraverso di esse Dio viene veramente nel mondo, per far valere i suoi diritti, non contro, ma per l’uomo, in favore dell’autentica liberazione e promozione dell’uomo.

Già Origene nel III secolo, primo grande teologo, colpì nel segno, definendo Gesù l’autobasileia.  E’ il regno la sovranità di Dio in persona. Attraverso Gesù Dio fa valere nel mondo la sua sovranità.

Non c’è espressione più potente e più sintetica della coscienza che Gesù ha di se stesso. Egli sa di essere la basileia di Dio in persona. Quindi il Regno di Dio non è una realtà a Gesù estranea, che egli avrebbe solo il compito di indicare come prossima, imminente, anzi già parzialmente accaduta. Gesù lascia intendere in molti modi che in lui in persona è l’inizio del Regno di Dio che viene.

Il compimento del Regno di Dio non può essere che un ulteriore e più radicale e piena manifestazione di questo Gesù che è il Regno in persona. Le sue parole creano una nuova situazione nella storia umana, la sua presenza è la presenza dell’uomo nuovo, che fa sorgere l’uomo nuovo accettato da Dio, perdonato, aperto agli altri. Le sue azioni pongono nella storia segni inequivocabili del mondo nuovo. E tutto quello che abbiamo detto della coscienza di Gesù andrebbe arricchito con quello che è l’elemento più decisivo, importante: l’autocoscienza di Gesù si rivela sicuramente nella maniera più netta nel modo con cui Gesù si rivolge a Dio: Gesù chiama Dio Abbà, cioè babbo, papà. Non si ha testimonianza nella letteratura giudaica che mai nessuno abbia avuto la temerarietà di rivolgersi a Dio (di cui non si pronunciava nemmeno il nome, tanto si aveva timore, tanto grande era la riverenza verso la maestà di questo nome, perché era il nome di Jahvè, il Dio immenso) con questa espressione. I Vangeli ci assicurano che Gesù l’ha fatto.

La comunità cristiana porta i segni di questo shock, non solo nel fatto che Marco ci consegna questa parola, ma perché questa parola come espressione di un rapporto nuovo e inaudito con Dio risuona nelle liturgie della comunità primitiva; S. Paolo nella lettera ai Romani, capitolo 8, nella lettera ai Galati, capitolo 4, rievoca l’intervento dello Spirito di Gesù che mette sulle labbra dei fratelli, dei discepoli di Gesù questa stessa invocazione, Abbà. Gesù dunque sente di essere in un rapporto veramente eccezionale, straordinario con Dio, la cui potenza, maestà, inaccessibile trascendenza, per lui é la trascendenza, è la sovranità di un papà.

Il linguaggio è preso dalla situazione familiare, la più intima, affettuosa; ed é il linguaggio che Gesù riconosce come l’unico adatto per dire quello che egli sente del suo rapporto con Dio, quello che egli sente di Dio, come egli è veramente per lui, per l’uomo Gesù. In rapporto con questo stesso pensiero, con questa manifestazione della coscienza che Gesù ha di se stesso, di questo unico rapporto col Padre, andrebbe sottolineato anche un altro fatto, che Gesù invita i discepoli a chiamare Dio con lo stesso titolo. Ecco quindi il portatore di Dio agli uomini, il donatore dell’amore di Dio agli uomini, colui nel quale si incontra veramente Dio come bontà, disponibilità, amabilità, vicinanza paterna.

Gesù dice: Pregate anche voi così : Padre nostro...

Probabilmente la parola dovette sembrare veramente scandalosa, inaudita . Comunque nel Padre nostro aramaico, risuona la parola Abbà che nessuno aveva mai usato; Gesù non si mette dentro in questo nostro, egli distingue sempre tra Padre mio e Padre vostro; Padre loro, parlando degli uomini.

Gesù sente che il suo rapporto con Dio non è semplicemente paragonabile al rapporto che gli altri uomini, anche i suoi stessi discepoli, che lui sollecita a rivolgersi a Dio con lo stesso termine, hanno con Dio. Il suo rapporto è peculiarissimo ed é incomparabile.

Figlio lui, figli gli altri, un unico Padre, ma non nella stessa maniera, Gesù non precisa quale sia la differenza, lo farà la Chiesa successivamente, con interventi anche molto elaborati nella terminologia, parlando per Gesù di figliolanza naturale, 2(Mc. 14) e per noi di figliolanza adottiva nella quale siamo inseriti grazie all’appartenenza a Gesù; anche se Gesù non usa questa terminologia distingue tra il suo rapporto con il Padre e il rapporto che anche i discepoli vicini a lui hanno con questo stesso Padre.

E comunque non andrebbe dimenticato, in questo argomento, un detto che si trova in Mt.11, che oggi gli esegeti sono sempre più inclini a considerare come molto ricco nella sua sostanza teologica, ma anche come probabile espressione uscita veramente dalle labbra di Gesù:

 

Tutto mi è stato dato dal Padre mio,

nessuno conosce il Figlio se non il Padre,

nessuno conosce il Padre se non il Figlio (e il Figlio è Lui)

e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

 

C’è un rapporto esclusivo tra il Padre e il Figlio, in senso assoluto per eccellenza esclusiva, che è l’uomo Gesù. Però l’uomo Gesù, che è l’unico depositario della conoscenza del Padre, c’è nel mondo, è inviato nel mondo proprio per comunicare agli altri questo stesso rapporto, per rendere gli altri partecipi di questa stessa situazione e conoscenza filiale.

Gesù esiste proprio perché questo rapporto si apra fino ad afferrare, ad includere tutti quelli che accettano non semplicemente il messaggio, ma la speranza, la persona di Gesù che media completamente il dono di Dio come Padre.

Un esegeta tedesco, molto valido, volgarizza quasi questo gioco di parole: come il padre parla con il suo figlio, come gli insegna la lettera della legge, come non tace nulla a lui, ma gli apre il suo cuore, a differenza di tutti gli altri, così Dio mi ha partecipato la sua conoscenza, e l’ha partecipata solo a me: io solo sono introdotto in questo segreto, perché uomo tra gli uomini, io comunico questo segreto, questa intimità ai fratelli. E’ molto difficile in poco tempo rendere assimilabile questo tema: la coscienza unica che Gesù ha di se stesso.

 

 

I miracoli di Gesù

 

La parola miracoli suscita in noi tante risonanze piuttosto negative, è circondata da aspetti problematici: alla parola miracoli noi reagiamo in maniera sfavorevole, però non possiamo facilmente usarne un’altra.

Il linguaggio del Nuovo Testamento al riguardo è diverso, non usa la parola miracoli, che ha il risvolto del magico, del gratuitamente straordinario, del fiabesco e leggendario, e così anche dell’inaccettabile. Il Nuovo Testamento usa due espressioni soprattutto: segno e azione potente:azioni potenti di Gesù che sono segno, che hanno una valenza di segno. Segno della presenza del Regno, della presenza di Dio che è ormai entrato nella storia umana per introdurre in essa tutta la sua potenza salvifica.

L’apologetica partiva cercando di definire il miracolo, e metteva prima di tutto in evidenza che esso è la rottura delle leggi della natura. Noi non partiamo da simili definizioni, non ci interessa che cosa sia il miracolo, che cosa occorra perché ci sia il miracolo.

Il miracolo è la realizzazione più alta, più sublime delle leggi della natura, è il far esplodere dal cuore della natura delle risorse che solo Dio riesce a far scaturire.

I miracoli, riconosciuti dalla commissione medica internazionale a Lourdes, sono fatti non spiegabili dalla scienza umana, allo stato attuale, assolutamente non giustificabili secondo le nostre conoscenze scientifiche. Perché parlare di rottura delle leggi della natura? Non potrebbe essere che lì un Qualcuno, che ha in mano la natura più di noi, riesce a far fare alla natura quello che normalmente non riesce a fare?

Si potrebbe dire che il miracolo è un intervento all’interno delle leggi della natura secondo un disegno particolare, legato anche ad una forza particolare, ad una potenza particolare.

Gesù ha fatto miracoli, ha fatto segni potenti? Senza dubbio ne ha fatti, è indiscutibile anche dal punto di vista storico l’esistenza per lo meno di un nucleo di segni potenti, di miracoli operati da Gesù. Nessuno studioso serio lo contesta. Potrà contestare questo o quel miracolo, ma non si può negare un nucleo di miracoli, di fatti prodigiosi, perché i miracoli sono troppo legati a tutto il racconto evangelico.

Strappare i miracoli dai vangeli, sarebbe stracciare i vangeli stessi; i miracoli fanno corpo con il messaggio di Gesù, con gli interventi particolari di Gesù - la remissione dei peccati al paralitico, per esempio.

I miracoli si intrecciano profondamente con tutte le azioni di Gesù come annuncio e realizzazione del Regno, per cui non è facile, anzi impossibile estirparli dal vangelo.

C’è quasi in favore dei miracoli una attendibilità storica globale, complessiva.

Inoltre quando i miracoli vennero annunciati, proclamati prima della predicazione orale, poi fissati negli scritti, erano di sicuro in vita tanti testimoni di quei fatti, che avrebbero potuto facilmente contestare quei fatti e la figura di Gesù come taumaturgo, se Gesù non avesse mai posto nessun segno prodigioso e potente. Se la figura di Gesù taumaturgo si è imposta, è perché questa figura, in qualche modo, corrispondeva alla realtà. Altro aspetto interessante: i miracoli di Gesù secondo il vangelo mostrano dimensioni di sobrietà e semplicità, per questo sembrano avere una loro interna credibilità. La sobrietà e la semplicità di questi miracoli di Gesù secondo le descrizioni fatte dai vangeli, risaltano soprattutto se si confrontano questi miracoli e il loro racconto con i racconti giudaici, rabbinici e pagani di miracoli compiuti da taumaturghi del mondo giudaico e del mondo pagano che sono esistiti e hanno fatto opere prodigiose.

Il racconto di questi interventi prodigiosi e potenti non ha nulla a che vedere con la semplicità del Vangelo, in cui tutto è così misurato, controllato, non c’è la minima concessione al gusto dello straordinario fine a se stesso.

I miracoli di Gesù appaiono sempre e solo come interventi fatti in maniera molto delicata, anche se insieme potente, in favore dell’uomo, per il bene dell’uomo, nella misura in cui è necessario per aiutare l’uomo e fatti da un Gesù che è restio, di per sé, a fare miracoli, che quando incontra qualcuno che vuole il miracolo a tutti i costi, come Erode, proprio allora si rifiuta di compiere i miracoli, e quando la gente esige da lui: dacci un segno potente dal cielo, che ci dispensi dal credere, che ci costringa veramente a riconoscere che Tu sei l’inviato di Dio, Gesù risponde: nessun segno verrà dato a questa generazione perversa.

E’ un uomo che non ha nessuna particolare frenesia di miracoli, che si lascia andare ai miracoli proprio per amore degli uomini, per porre ogni tanto qualche segno che veramente è all’opera nel mondo una potenza benefica che contesta l’avanzata del male.

             

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