L'IMPREVEDIBILE  E'  ACCADUTO IN

GESU'  DI  NAZARETH

 

Gesù Rivelazione di Dio

 

 

E’ Gesù il Rivelatore di Dio?

 

Abbiamo intravisto che Dio può rivelarsi attraverso un uomo, poiché questi è capace di infinito, ma non è detto che debba presentarsi con caratteristiche sfolgoranti di gloria, è anzi da prevedere che sia un uomo crocifisso.

Ora passiamo all’ipotesi, al confronto con Gesù di Nazareth per interrogarci se non possa essere veramente Lui il Rivelatore. E’ importante portare in questo confronto la consapevolezza che l’uomo cerca di cogliere un qualche segno di apertura di Dio. Anche oggi, seppure sotto forme mascherate, l’uomo è sospinto verso Dio e non si rassegna soltanto a stare di fronte al silenzio di Dio. La domanda se Cristo è davvero il Rivelatore, non vuole essere una domanda retorica.

 

 

La fede: ossequio ragionevole

 

E’ vero che nella fede la risposta ci è già nota ed è quasi scontata, ma la fede non prescinde dalla ricerca razionale: certo la fede è un dono di Dio e quindi non è semplice conclusione di un ragionamento, però questo dono di Dio non ci viene conferito in uno stato di perfetta passività che escluda da parte nostra la ricerca, uno sforzo di purificazione, un tentativo di renderci ragione dei contenuti della fede e di questo fondamentale:

Gesù di Nazareth come il grande rivelatore di Dio, come l’unico vero rivelatore di Dio.

Questo Dio viene incontro all’uomo, non pretende che egli rinunci a pensare, questa idea è assurda e prima di far torto all’uomo, fa torto a Dio che ha voluto l’uomo come un essere pensante, lo ha dotato di ragione, per impegnare questa ragione, per mettere alla prova questo pensiero proprio lì dove si tratta di incontrare Dio nel dono del suo rivelatore.

Quindi se da una parte non dobbiamo ridurre la fede solo a contenuti di ordine razionale e fondare la fede semplicemente sulla ragione, se non possiamo esaltare così la ragione, da fare della ragione l’arbitra di tutto, per l’altro verso non possiamo deprezzare la ragione come se questa non avesse una funzione importante specialmente lì dove si tratta di verificare questo interrogativo: se Dio si è rivelato, dove si è rivelato? L’affermazione dei cristiani che si è rivelato in Gesù di Nazareth ha un fondamento o è campata in aria? Bisogna accettarla supinamente, rifiutandosi di pensare, oppure essa è tale da venire sostenuta responsabilmente? Ha una dimensione intellettuale così da abbracciare e riconoscere in Gesù Cristo il Rivelatore con una opzione che non sia solo il frutto di un fideismo gratuito, di una scelta irrazionale?

Specialmente nei nostri tempi la fede che presumesse di poter trascurare tutto l’impegno razionale si troverebbe allo scoperto di fronte a tante contestazioni a tante obiezioni che continuamente vengono poste nei confronti della scelta della fede e dei suoi contenuti. Già Pietro esortava i cristiani a saper rendere ragione della loro fede e della loro speranza.

Rendere ragione della propria fede e della propria speranza non è senza difficoltà, e impegna in maniera molto intensa tanti specialisti, e nessuno di noi può essere uno di questi specialisti o la somma di questi specialisti, noi possiamo accontentarci di un primo livello di approfondimento che sia sufficiente per poter responsabilmente anche di fronte alla ragione, fare la scelta di Gesù come rivelatore.

 

 

La critica delle fonti

 

In questi ultimi tempi, o meglio in questi ultimi secoli, sulla persona di Gesù si sono moltiplicati gli studi.

Nessun personaggio della storia è stato tanto scrutato, passato al vaglio della critica più esigente, più radicale, nessun personaggio della storia è stato tanto analizzato come Gesù di Nazareth. E così anche la Chiesa e i testi fondamentali della Chiesa: Vangeli e altri testi della Chiesa primitiva, che contengono appunto riferimenti a Gesù di Nazareth. Ci si è occupati tanto di Gesù per interrogarsi sull’interrogativo di sempre, quello che già percorre tutti i Vangeli, soprattutto il Vangelo di Marco: ma chi è questo Gesù, che cosa ha a che fare questo Gesù con il cristianesimo, che rapporto c’è tra Gesù e la Chiesa, che rapporto c’è tra Gesù e la storia?

Chi è costui? Se per i contemporanei di Gesù l’interrogativo era inquietante, per essi che lo incontravano, che potevano essere immediatamente testimoni dei suoi interventi, potevano avere l’esperienza in qualche modo diretta della sua persona, delle sue parole, se già per loro l’interrogativo era assillante e trovava diverse risposte come noi sappiamo, possiamo facilmente immaginare come dal punto di vista storico sia molto più acuito fino ad essere quasi esasperato per noi che siamo separati da quest’uomo da due millenni di storia.

Che cosa possiamo sapere noi di questo uomo e della sua personalità, del suo segreto, del modo con il quale si è collocato, si è inserito nella storia del tempo, di quello che ha detto. Direte: ci sono i Vangeli, prendiamo in mano i Vangeli ed è tutto risolto. Ma voi sapete che non è tutto risolto.

Voi sapete che con il puro e semplice rinvio non è risolta la questione su chi è Gesù di Nazareth, perché i Vangeli sono tutte testimonianze storicamente discutibili, perché sono la condensazione della predicazione di Gesù, della Chiesa primitiva di Gesù, quindi sono tutt’altro che testi freddi, distaccati, obiettivi, sono testi che contengono una storia predicata, sono la predicazione dell’annuncio della fede, rifacentesi alla storia, ma che comunque investe questa storia della persuasione profonda che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio nel senso più forte del termine, è il salvatore dell’umanità, è il rivelatore ultimo, definitivo.

Ora testimonianze così, dove la persona storica viene presentata attraverso tutto il lavorio della fede, sono attendibili? Fuori di queste testimonianze cristiane altre testimonianze noi non abbiamo, se non qualche sparuto e fugace accenno in qualche autore classico: Tacito, Plinio, che ci parlano di un ebreo che aveva dato inizio ad una setta che provocava dei turbamenti, delle turbolenze a Roma per cui gli aderenti a questa setta erano stati espulsi da Roma sotto Claudio, poiché ad un certo punto il loro fondatore era stato giustiziato in Palestina.

Plinio, un po’ più tardi, verso il 110, riferisce all’imperatore Traiano, che nell’Asia minore, dove Plinio è procuratore, ci sono alcuni di questi cristiani, questa razza ambigua e malfamata i quali si radunano in un determinato giorno della settimana ed elevano inni ad un certo Cresto (= Cristo) come a un Dio.

Ecco quello che figura negli archivi ufficiali della ’storia della storiografia antica classica riguardo a Gesù. Non dobbiamo meravigliarci, anche se questo può apparire sconcertante, che gli atti ufficiali della storia dicano così poco su Gesù di Nazareth, perché quegli atti si occupavano soprattutto di eventi militari, di conquiste militari, collegano a queste imprese l’assetto politico del mondo e il resto conta poco. E Gesù con tutto questo non ha nulla a che fare, anche se il re Erode Antipa per un certo momento ha pensato che Gesù avesse a che fare con la politica del re e non soltanto lui. Dunque le testimonianze extra cristiane sono del tutto povere anche se dovrebbero bastare per confermarci, avallare perlomeno, il dato dell’esistenza, agli inizi della nostra era così detta cristiana, di un certo Gesù, che ha dato origine ad un movimento che in qualche modo a lui si ispirava, e ha fatto una brutta fine.

Già le fonti pagane dovrebbero bastare per confermare questo dato, però al di là di questo le fonti cristiane vengono siglate dalla prospettiva della fede e per questo, si dice, non sarebbero attendibili.

Ecco quindi che, nel secolo scorso e all’inizio di questo secolo, si sviluppano due ipotesi fondamentali per spiegare il fatto Gesù Cristo.

Una è quella della critica storica, che in un primo momento, perlomeno, conclude con l’impossibilità di conoscere qualche cosa di veramente serio riguardo a Gesù di Nazareth.

Bultmann, intorno agli anni ’20, esponente radicale di questa corrente, non ha difficoltà ad affermare che riguardo a Gesù di Nazareth, dal punto di vista storico, secondo i mezzi di rilevamento propri della metodologia storica, noi non sappiamo praticamente nulla al di là della sua esistenza, e forse del fatto della sua morte. Il cavallo di battaglia di questi autori che proclamano che il Gesù della storia è un grande ignoto è costituito dalla persuasione che i Vangeli sono testimonianze di fede, elaborate da una comunità che lavora con una fantasia creatrice enorme nel presentare, nell’annunciare nel messaggio di fede la figura di Gesù, in modo che, sotto l’influsso della creatività della comunità primitiva, praticamente nulla o quasi nulla rimane dei dati storici riguardanti la figura di Gesù così com’era.

Attraverso la testimonianza di questa gente tutta presa dalla fede non trapela nulla o quasi nulla del Gesù così come era e come aveva veramente parlato e operato.

L’idea si potrebbe riassumere nell’affermazione che Gesù era un uomo come tanti altri e che dalla fede della comunità è stato divinizzato. Tutti questi autori sono legati ad una posizione filosofica di tipo razionalistico per la quale è impossibile ammettere tutto ciò che è soprannaturale, tutto ciò che trascende la dimensione normale dell’esistenza umana. In partenza si dichiara che tutto quello che nei Vangeli ha a che fare con il trascendente, con il soprannaturale, con il miracoloso, tutto questo ripugna alla ragione che non può ammettere questi fatti, e deve essere eliminato, deve essere insomma totalmente ignorato. Quindi si dice che all’inizio del cristianesimo c’era questo uomo, che forse aveva delle particolari qualità taumaturgiche, si era presentato con delle qualifiche anche di carattere messianico, comunque i suoi seguaci lo hanno poi divinizzato.

Ma l’operazione divinizzatrice di un uomo sarebbe stata realizzata da ebrei. Altri autori, non meno critici nei confronti di Gesù rimproverano a questa tendenza di prescindere completamente dal senso della trascendenza di Dio incarnato nella cultura ebraica, di ignorare perciò tutto ciò che nella mentalità ebraica si opponeva ad un simile processo di apoteosi divinizzatrice.

La teoria della critica storica secondo la quale Gesù sarebbe appunto questa entità sconosciuta e ben presto divinizzata cozza contro lo spirito ebraico per il quale l’ipotesi di un Dio uomo divinizzato è la più blasfema, la più sacrilega, la più impossibile, a meno che a questa ipotesi qualcuno o una comunità sia stato sollecitato, sia pure incontrando resistenze, da fatti veramente straordinari.

Ecco che allora, preclusa questa soluzione divinizzazione di un uomo, altri autori propongono la teoria mitica che potrebbe ovviare ad alcuni inconvenienti della teoria precedente, ma ne presenta parecchi altri.

Teoria mitica è praticamente questa: il cristianesimo non è nato da una persona, non si ricollega ad una persona, per quanto sconosciuta, ma il cristianesimo è nato da un’idea, da un mito, dal mito ad esempio di un uomo che riscatta gli altri uomini attraverso il sacrificio redentore, espiatore.

All’inizio di tutto questo sta il mito, questa idea che poi gradualmente si è coagulata in una figura concreta, che non è mai esistita o che forse può essere esistita, ma della quale non si sa nulla, che comunque per puro caso è stata collegata a questo mito. All’inizio ci sarebbe un’idea e il mito sarebbe stato gradualmente umanizzato e attraverso un processo complicato di proiezione si sarebbe incarnato in un uomo: il Gesù di Nazareth. I sostenitori di questa idea ammettevano che era necessario parecchio tempo per poter operare questo passaggio dal mito all’incarnazione del mito in un personaggio, periodo di tempo che invece non c’è stato.

Una cosa risulta dai Vangeli - e anche dagli scritti più antichi del Nuovo Testamento, ad esempio la prima lettera ai Tessalonicesi, che è dell’anno 52 e riferisce la confessione della fede da Paolo fatta propria prima degli anni quaranta, - che il mito era già configurato, bell’é fatto.

Quindi fra la morte di Gesù e la nascita del mito dovrebbe essere passato pochissimo tempo. L’una e l’altra di queste due tesi hanno in comune la diffidenza nei confronti dei testi evangelici e del Nuovo Testamento come fonti storiche attendibili. Allora il problema è questo: questa diffidenza è giustificata? Le fonti ci parlano in termini di fede e contengono riferimenti ad aspetti trascendenti della personalità di Gesù.

Questo duplice fatto basta a screditarle dal punto di vista della critica? Oggi assistiamo ad un ritorno alla consapevolezza della attendibilità delle fonti cristiane riguardanti Gesù. Sono autori cresciuti alla scuola della critica storica che, sviluppando i loro dubbi, giungono a conclusioni alquanto diverse da quelle dei loro maestri, affermando che non è per niente giustificato uno scetticismo così radicale.

Essi affermano che la comunità cristiana ha avuto un certo peso e influsso nella configurazione della predicazione orale di Gesù e poi nella fissazione per iscritto di questa predicazione, però un influsso che non è tale da impedire che nel materiale raccolto nei vangeli confluiscano tanti dati storici veramente significativi.

Quindi alla comunità cristiana si riconosce una certa influenza nell’elaborazione di questi dati storici, ma non una manipolazione completa fino al punto da renderli irriconoscibili e così impedire qualsiasi approccio a Gesù così come egli era veramente. Inoltre si afferma giustamente che questa comunità cristiana si manifesta estremamente interessata alla figura storica di Gesù, in una prospettiva di fede - d’accordo - ma proprio dalla fede era sollecitata a cercare di conservare la memoria storica di Gesù.

Proprio perché queste comunità erano persuase che Gesù di Nazareth Figlio di Dio, morto e glorificato, era uomo decisivo per la sorte di tutti quanti gli altri uomini, proprio per questo le comunità erano sollecitate a sapere e a voler sapere che cosa aveva fatto, cosa aveva detto, come si era comportato questo Gesù di Nazareth durante la vita terrena.

Mentre Bultmann affermava che i primi cristiani erano completamente disinteressati alla vita terrena di Gesù, oggi giustamente si dice - non a priori, ma guardando ai testi evangelici - che la fede stessa moveva queste comunità cristiane ad un interesse profondo per Gesù, proprio perché in Gesù riconoscevano il Figlio di Dio e volevano anche che l’annuncio riguardante Gesù portasse dati, riferisse dati concreti riguardo ai detti, ai fatti, ai comportamenti di Gesù.

Tutto questo viene assunto in una visione di fede, però senza per questo disattendere la dimensione storica. Per cui oggi c’è una risposta veramente significativa di fiducia nei vangeli come testi attendibili dal punto di vista storico. Certo i vangeli non sono storia nel senso della storiografia moderna, non sono biografie di Gesù, come oggi si intende una biografia con criteri scientifici, sono testimonianze di fede che inglobano fatti storici, anche se non si preoccupano di una ricostruzione storico scientifica della vita di Gesù secondo quei criteri metodologici che sono sorti soltanto secoli dopo, nell’epoca moderna.

A riguardo di questa ritrovata fiducia dopo secoli di scetticismo nei confronti della dignità storica dei vangeli vorrei riportare un passo di un esegeta protestante riprodotto anche nel Catechismo dei giovani a pag. 48: Nondimeno i Vangeli non giustificano né rassegnazione né scetticismo. Essi ci rivelano invece con immediata potenza la figura storica di Gesù sia pure in maniera diversa dalle cronache e dalle descrizioni storiche. In maniera molto evidente ciò che i Vangeli riportano del messaggio di Gesù, delle sue opere e della sua storia è ancora sempre contrassegnato da un’autenticità, una freschezza e una originalità per nulla offuscate dalla fede pasquale della Chiesa, tratti questi che ci riconducono direttamente alla figura terrena di Gesù. Proprio la critica storica, rettamente intesa, ci ha aperto di nuovo la via a questa storia, facendo giustizia di tutti i tentativi di impadronirsene biograficamente o psicologicamente.

Adesso vediamo più chiaramente.

Sebbene i Vangeli non parlino della storia di Gesù, riproducono il corso della sua carriera nei suoi vari eventi e periodi, nel suo sviluppo esterno ed interno; essi parlano tuttavia di storia come fatto ed evento, e ne parlano con abbondanza di notizie. Questa opinione può essere affermata coraggiosamente nonostante tanti racconti e tanti detti possano ancora essere contestati storicamente, nonostante le tendenze che sono senza dubbio all’opera nella tradizione, e nonostante l’impossibilità di estrarre infine da singoli particolari più o meno autentici una visione di insieme più o meno sicura che potremo chiamare vita di Gesù.

Oggi nessuno più si accinge a scrivere una vita di Gesù. E’ riconosciuto come impossibile. Però questo non significa che i vangeli non siano una miniera di notizie che veramente ci informano sul Gesù terreno, come egli veramente è stato nella sua vita terrena. Dunque i vangeli ci danno gli elementi per accostarci a Gesù e ci forniscono punti importanti per la risposta all’interrogativo: chi è costui?

Naturalmente non è detto che questa certa quale fiducia recuperata nei vangeli si trovi in tutti gli autori alla stessa maniera. Si potrebbero qui indicare due tendenze antitetiche. Una tendenza che dice: riconosciuta l’attendibilità storica generale dei vangeli, di volta in volta però, singoli detti e singoli fatti vanno verificati in base a determinati criteri.

Abbiamo cioè ragioni sufficienti dal punto di vista storico per riconoscere ai vangeli una storicità globale, senza che questo ci esima dal compito di cercare di precisare e di mettere a fuoco questa storicità in rapporto a determinate parole ed episodi, usando determinati criteri.

Tre sono sostanzialmente i criteri che lungo la strada incontreremo: il criterio della dissomiglianza, della coerenza e della attestazione molteplice. Non tutti gli autori condividono la stessa fiducia. Rimane - presso autori protestanti soprattutto - il pregiudizio razionalistico, illuministico: tutto quello che sa di soprannaturale è difficile da digerire. Ma questo pregiudizio non so quanto abbia a che fare con la scientificità.

Qui è all’opera un criterio aprioristico, non di ordine storico ma di ordine filosofico, che stabilisce in partenza che certi fatti non possono essere avvenuti perché la ragione crede di dover stabilire in partenza che essi sono assolutamente impossibili.

Però fa parte della scienza positiva non lavorare con una ragione chiusa che dichiara impossibili certi fatti ma fa parte della scienza positiva l’essere disponibile a cogliere tutti i fatti purché siano sufficientemente documentati. Lì dunque il pregiudizio razionalistico pesa ancora molto nella lettura di certi testi evangelici e nella valutazione della consistenza storica di certi episodi che riguardano la vita di Gesù, episodi nei quali il trascendente, il divino è così forte e intenso; episodi che per questo andrebbero relegati fra le leggende. Ma sia pure con questi limiti per cercare di individuare in maniera storicamente più accurata la consistenza di certi episodi e di certi detti di Gesù c’è anche in questa corrente la fiducia nei vangeli come fonte storica da prendere sufficientemente sul serio perché ricca di annotazioni concernenti la vita di Gesù.

 

 

La posizione cattolica

 

La posizione cattolica è riassunta dal magistero della Chiesa in un intervento del 1964 che precede di un anno la presa di posizione fatta poi dal Concilio.

E’ una posizione molto equilibrata: da una parte si riconosce che alla stesura dei Vangeli é preceduto un lungo periodo di predicazione orale, quindi la messa per iscritto di certe fonti, ora perdute, di detti, di fatti riguardanti Gesù. Tutto questo è poi confluito nei Vangeli che noi possediamo, redazione che non raccoglie in maniera meccanica questi dati arrivati dalla predicazione orale e magari depositati già in certi testi scritti, ma che impegna i singoli autori, i singoli evangelisti come dapprima la predicazione aveva impegnato i singoli predicatori nel contesto delle loro chiese.

Quindi i Vangeli ci offrono prospettive diverse di Gesù, anche se nell’essenziale concordano. I quattro vangeli sono quattro versioni su Gesù tutt’altro che coincidenti anche se non per questo contrastanti, ma complementari. La Chiesa ci ha sempre tenuto a conservare questa complementarità anche lì dove talvolta sembra essere disarmonica. Dai Vangeli presi come fonte storica sufficientemente attendibile un dato prima di tutto risulta, un dato fondamentale: che Gesù ha predicato il Regno di Dio.

 

 

La predicazione del Regno

 

Se noi vogliamo sapere qualche cosa di Gesù non possiamo non interrogarci sul messaggio di Gesù perché sappiamo che egli ha impegnato la sua vita per proclamare un messaggio. Che messaggio? Riguardo a questo i vangeli non ci lasciano nessun dubbio: il contenuto del messaggio oggi da tutti riconosciuto è il regno, la signoria di Dio.

L’espressione regno di Dio, regno dei cieli, in Matteo, ritorna tante volte, e anche quando non c’è l’espressione ci sono tante immagini che presentano questa realtà: tutte le parabole nelle quali troviamo condensato l’annuncio di Gesù non sono che presentazioni da punti di vista diversi della grande e unica tematica centrale: la sovranità di Dio, la signoria di Dio.

Non solo, le azioni che Gesù compie le compie in vista della affermazione, della realizzazione di questo regno di Dio.

Ora questo dato è molto interessante. Proprio secondo l’applicazione di uno dei criteri di Ardusso, quello della dissomiglianza, si dice: detti o fatti di Gesù sono tanto più attendibili quanto meno risentono dell’ambiente giudaico e dell’ambiente cristiano.

Il criterio come tale ha una sua validità. Supposta una storicità generale dei vangeli che dice: lì è presumibile e molto probabile che si abbia a che fare con dati che ci presentano veramente la figura umana di Gesù come si è concretamente offerto ai suoi contemporanei, si ha a che fare con dati attendibili da questo punto di vista dove questi dati ci offrono una mentalità, una concezione, un modo di sentire le cose, o anche un linguaggio che non è quello del giudaismo contemporaneo a Gesù, né quello della Chiesa primitiva. Lì è da ritenere che si abbia a che fare con maggiore probabilità con contenuti propri del vero pensiero, della dottrina, della mentalità di Gesù.

Naturalmente il criterio va applicato con molta discrezione. Non è detto che non si possa e non si debba contestare la storicità di un detto di Gesù che risente dell’ambiente giudaico, o risente dello spirito della mentalità della Chiesa primitiva. Però dove spicca una originalità particolare non riconducibile né all’ambiente giudaico né alla comunità primitiva lì è veramente da ritenere che sia Gesù all’opera.

Ora per quanto concerne questa tematica centrale del Regno è da notare che per i Giudei al tempo di Gesù l’attesa del Regno di Dio occupava un posto notevole ma non così determinante come nel messaggio di Gesù e vedremo che la signoria di Dio, così come la pensavano i contemporanei di Gesù ha tratti ben diversi dalla signoria di Dio come la presenta invece e la proclama Gesù. Questo per quanto concerne il rapporto con il mondo giudaico, di somiglianza con il giudaismo e con la Chiesa primitiva.

Nella predicazione della Chiesa primitiva come tale non è tanto il Regno di Dio che è al centro, ma è Gesù come colui che è morto e risuscitato, Gesù come il Salvatore, come il rivelatore, non il regno di Dio. In questo senso c’è uno spostamento dell’asse della predicazione quando si passa da Gesù alla Chiesa. Qualcuno chiama questo un tradimento del messaggio di Gesù da parte della Chiesa.

La Chiesa mette al centro Gesù quando invece Gesù metteva al centro Dio con la sua signoria e la sua sovranità. Quindi il fatto che i vangeli sinottici ci presentano con tanta abbondanza e ricchezza questa tematica del regno, mentre la predicazione che noi conosciamo dagli atti degli apostoli e dalle lettere non mettono veramente al centro questo tema, fa risaltare (per il criterio della dissomiglianza) che qui, con questo argomento, ci troviamo proprio sul terreno del Gesù storico o della preoccupazione fondamentale di Gesù così come egli si è presentato ai suoi contemporanei: annunciatore, araldo del Regno di Dio, della sovranità di Dio. Ardusso dal 1961 in poi cerca di enucleare i contenuti essenziali di questa visione del regno come è propria di Gesù.

Il concetto del Regno Gesù lo ha in comune con l’apocalittica del suo tempo, una sovranità di Dio che ha a che fare con gli ultimi tempi, una sovranità che consiste nella vittoria da parte di Dio sul male che attanaglia l’uomo, su tutti i mali che dall’intervento ultimo di Dio verranno eliminati dalla condizione umana. Questa sovranità di Dio significa per l’uomo la salvezza totale, la salvezza del singolo e della comunità, salvezza dell’uomo in tutte le sue dimensioni, quella spirituale e quella corporea.

E’ da tenere presente che sempre nell’Antico Testamento Dio-re significa non un Dio tiranno e dispotico, ma il Dio che incarna, secondo la mentalità di quella gente, quello che doveva essere l’ideale di un re veramente autentico, saggio e buono, cioè un Dio che rende giustizia da sé, un Dio che stia dalla parte non dei potenti ma dei deboli per fare trionfare la loro causa.

Sovranità di Dio nell’Antico Testamento: categoria che Gesù non inventa, ma prende da tutta una tradizione, anche se Gesù le attribuisce una centralità veramente unica; la sovranità nell’Antico Testamento significa trionfo della onnipotenza di Dio come onnipotenza amica dell’uomo, che sta dalla parte dell’uomo, per liberarlo e salvarlo. Dunque annuncio di Dio, del Regno di Dio in rapporto con i tempi ultimi.

Un secondo elemento è importante e originalissimo in Gesù, elemento che non si trova nel giudaismo contemporaneo a Gesù, per cui qui vale il criterio della dissomiglianza rispetto al giudaismo. Questa signoria di Dio non è un dato riservato al futuro, non è da sperare come un evento futuro, essa è già inserita nel presente. Questo è decisivo.

Gesù è persuaso che questa vittoria dell’amore di Dio è già in atto. Quando Gesù parla di questa esprime veramente la coscienza che egli ha di se stesso. Quando Gesù propone con questa decisione e costanza la sua convinzione che il regno di Dio è già presente, egli lo fa nella consapevolezza che questa presenza della signoria di Dio, questa affermazione attuale della signoria di Dio è legata proprio a lui, Gesù.

Afferma questa presenza del Regno, della sovranità salvifica di Dio come già operante perché sente, sperimenta in se stesso che Dio è in lui, uomo Gesù, all’opera per affermare nel mondo questa sua potenza benefica nei confronti dell’uomo.

Il messaggio di Gesù, che annuncia che il Regno di Dio è vicino, anzi è ormai venuto, afferma che ormai la storia del mondo è decisa, non è più aperta a due possibili sbocchi, uno positivo e uno negativo. Il dramma del mondo e della stoia del mondo è risolto ed è risolto in maniera tale che al dramma del mondo nel suo insieme è assicurato un esito favorevole.

Il cammino della vicenda umana sfocerà non nel male o in una distruzione spaventosa, il cammino della storia umana finisce nell’incontro con Dio. Dio, in altre parole, si è ormai radicalmente compromesso con la storia umana, ha detto il sì definitivo all’uomo, un sì che non può più revocare.

Dio ha pronunciato una promessa, l’ultima e insuperabile alla quale egli non può non rimanere per sempre legato. La promessa con la quale Dio assicura all’uomo di essere per l’uomo il Dio amico. La promessa con la quale Dio dona se stesso all’uomo in modo che l’uomo, in mezzo a tutte le sue vicissitudini, può e deve confidare in questo Dio come nel Dio che garantisce, qualunque cosa accada all’uomo che si affida a lui, la salvezza definitiva.

Questa promessa, con questo dono di Dio che così si concede all’uomo è ormai un dato di fatto incancellabile nella storia umana. Dio è ormai così presente nel mondo che non può più ritirarsi da esso, per cui questo mondo, a cui Dio ha legato la sua stessa vicenda, è un mondo che non può dubitare dello sbocco positivo della sua stessa vicenda mortale.

Gesù questo annuncia, Gesù è sicuro di questo, e annuncia questo fatto non soltanto come un evento riservato al futuro, ma come una realtà già instaurata e operante nel presente. E’ giunta l’ora nella quale Dio ha assunto la storia umana come sua storia, per cui non la potrà abbandonare semplicemente allo sfacelo. Dio ha pronunciato il sì definitivo e si è donato definitivamente all’umanità. Quando Gesù annuncia il Regno, questo annuncia.

Ma da dove riceve lui questa convinzione? La ricava, - e non lo dico a priori ma sulla base dei testi del Nuovo Testamento - la ricava dal fatto che egli in persona si sente come questa presenza di Dio.

Egli si identifica con questo sì ultimo e definitivo di Dio; egli sente di essere il legame che nessuno mai potrà spezzare, il legame ultimo e definitivo che Dio liberamente ha posto per saldare a sé, per recuperare a sé l’umanità altrimenti perduta. Egli in persona si sente l’uomo nel quale Dio é presente e operante con tutte le sue energie per affermare veramente nel mondo la sua potenza vittoriosa.

 

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